sabato 30 aprile 2011

«Fu popolare la Resistenza in Val Brembana»

«Onesto» il libro di Bottani, Giupponi, Riceputi. Ricorda l'aiuto della gente e la partecipazione di giovani nati sotto il fascismo. Ma anche gli abusi.

Della nuova, terza edizione, «corretta e ampliata» (Corponove, pp. 316, euro 16) de La Resistenza in Val Brembana e nelle zone limitrofe, di Tarcisio Bottani, Giuseppe Giupponi e dello scomparso Felice Riceputi, ha già riferito, sulle pagine di questo giornale, Paolo Aresi, il 3 novembre 2010. Ma contributi di notevole interesse sono emersi dalla viva voce degli autori, e del presidente Isrec, Angelo Bendotti, che il volume hanno presentato alla Sala Ubik di via Sant'Alessandro 1, in questi giorni dedicati al ricordo della Liberazione.

Un lavoro «ponderoso, capillare», introduce Bendotti, eseguito da «un ricercatore, studioso, insegnante» come Bottani, e da un «partigiano, uno che la Resistenza l'ha vissuta in prima persona, quando era solo un ragazzo», come Giupponi. La Resistenza, infatti, sottolinea con forza il presidente, «fu fatta in larga misura da giovani, riguarda principalmente i giovani. In alcuni casi i giovanissimi. Le classi che hanno dato più partigiani sono il '24, '25 e '26. Giovani nati e cresciuti sotto il fascismo. Che avevano studiato nelle scuole fasciste, su libri fascisti, ascoltato la radio fascista…». Una ricostruzione attenta, quella di Bottani e Giupponi, «di una situazione complessa, sia sul piano geografico che "ideologico".

La Resistenza in Val Brembana è una realtà poliedrica, fatta di orientamenti profondamente diversi: Fiamme Verdi, Giustizia e Libertà, comunisti ispirati alla Garibaldi, piccole formazioni non inquadrabili in queste categorie». Una realtà partigiana «corposa». Il tessuto che l'ha resa possibile è «il rapporto molto stretto con la popolazione, che, nel suo complesso, ha dato un aiuto forte». Soprattutto «la gente più umile, povera: sono quelli che hanno meno a dare di più». Di qui il «carattere popolare della Resistenza, che non vuol dire che l'ha fatta il popolo, ma che, senza questo tipo di retroterra culturale, essa sarebbe stata qualcosa di completamente diverso».

Un libro, infine, «onesto, che non ha paura di toccare anche gli aspetti "scomodi", come le violenze commesse anche dai partigiani».
«La Resistenza è stata durissima», esordisce Giupponi. «La gente ci ha aiutato continuamente, ma dopo tanti mesi diventi pesante, la gente comincia a fartelo sentire, capire. Quando requisisci una mucca, a cui i contadini tenevano incredibilmente, e dai in cambio un biglietto, un pezzo di carta con scritto "pagherò a guerra finita", diventa difficile anche stare insieme.

La convivenza è diventata difficile nelle difficoltà. Nella continuità pericolosa di una presenza – venti mesi – che richiede attenzione, cibo…». E però «senza la gente saremmo stati come i pesci senz'acqua. Nei momenti duri chi ci avrebbe dato da mangiare? Se non queste persone che rischiavano tremendamente. Quando salivano i rastrellamenti, tedeschi o fascisti, bruciavano le stalle, le case di chi ci dava ospitalità. E c'era sempre qualcuno che parlava troppo. Ci hanno detto: "È stato tutto facile. Scappavate sempre". E per fortuna. La guerra partigiana doveva essere quella dei gappisti: colpire e sparire. Ogni azione con la sicurezza di una via d'uscita. Molti invece hanno peccato di coraggio inutile.

A comandare, in Val Taleggio come altrove, c'erano militari che venivano dalla Grecia, dalla Russia… Pensavano di fare la guerra normale. Ma non c'erano trincee, mitragliatrici, cannoni. I camion tedeschi portavano davanti sempre un paio di prigionieri che venivano fucilati al primo sparo dei partigiani. La gente veniva messa nelle chiese perché per ogni tedesco ucciso ci sarebbe stata rappresaglia. Noi sapevamo queste cose. La libertà, con i partigiani, andava conquistata con la disciplina. Con l'organizzazione. Solo con la disciplina siamo diventati uomini. E mai toccare le cose degli altri. Quel rubacchiare che poi è stato sfruttato dai denigratori. Ci hanno chiamato anche "grattigiani". Anche nell'ambiente partigiano ce n'erano tanti che meritavano di essere allontanati. Molti lo sono stati. Molti si sono allontanati da soli. Per la paura dei rastrellamenti. I comandanti che non sapevano fare i comandanti, o troppo coraggiosi o inutili, li abbiamo pagati cari».

Un ottimo comandante, invece, «è stato Vitalino Vitali, un contadino della Val Taleggio. Conosceva i posti come le sue tasche. Non ha nemmeno accettato gradi e promozioni». La Resistenza «vera, come intende qualcuno, non era possibile. La gente non l'ha mai capito, ma nemmeno l'ambiente partigiano è stato capace di spiegarlo a tutti». Altra critica: «"Avete fatto la lapide dei fascisti". I caduti vanno riconosciuti tutti. C'è in giro chi dice che sono morti tanti fascisti.

Abbiamo voluto dare un nome a ciascun caduto. Abbiamo cercato la verità storica».

Vincenzo Guercio - L'Eco di Bergamo - Sabato 30 Aprile 2011 TERZA, pagina 56

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