martedì 26 aprile 2011

L'intervista Paolo Valoti Presidente uscente del Cai

«Col Palamonti il Cai è più aperto e abbiamo portato le Orobie in città»

Paolo Valoti, 50 anni, dal 2001 presidente del Cai, si appresta a passare il testimone ...
Alle spalle il ritratto di Antonio Curò, sulla scrivania le foto del Palamonti. Paolo Valoti, classe 1961, ricercatore agronomo, se ne sta lì, nel mezzo, seduto tra questi due estremi che rappresentano per intero la storia della sezione bergamasca del Cai. Ed entro i quali si gioca anche quella della sua presidenza ormai agli sgoccioli. Perché tra poche ore scadrà definitivamente pure il suo terzo mandato. Questa sera il Consiglio rinnovato del Cai (con l'ingresso di sette nuovi consiglieri, di cui 4 giovani) eleggerà il suo successore. Questi dieci anni – dal 19 aprile 2001 con uno stop nel 2004 per consentire la rielezione l'anno seguente – resteranno quasi certamente nella storia del Cai come la sintesi tra la grande tradizione del sodalizio, quella che si rifà direttamente al fondatore Antonio Curò, e la sua evoluzione ben rappresentata dalla sede di via pizzo della Presolana, il Palamonti appunto.
 
Allora presidente che Cai ha trovato e che Cai sta lasciando?
«Quello di dieci anni fa era il Cai di via Ghislanzoni, un Cai in fase di ripiegamento soprattutto per via della mancanza di spazi adeguati. L'idea della nuova sede, avviata già durante la presidenza di Nino Calegari e maturata attraverso la battuta d'arresto del progetto a Longuelo, ha rappresentato una svolta sia dal punto di vista logistico, ma anche della filosofia del sodalizio. Un vero e proprio salto culturale che ha portato all'attuale casa della montagna e a una mentalità di grande apertura verso il mondo esterno con una dimensione sociale, culturale ed educativa di grande respiro. I risultati non sono mancati: oggi lasciamo una famiglia rinnovata, accresciuta numericamente (oltre diecimila soci, ndr) e consapevole del ruolo dell'associazione come strumento di progresso all'interno della comunità».

Resterà quindi come il presidente del Palamonti?
«Sicuramente è stato un progetto che ha assorbito moltissime energie e se il Livrio aveva rappresentato un'intuizione felicissima per la sezione dal punto di vista alpinistico e patrimoniale, il Palamonti, la cui prima pietra è stata posata quasi in concomitanza con la dismissione del rifugio allo Stelvio, ne rappresenta l'evoluzione: una struttura dedicata alla montagna in città. Una ventata d'aria fresca che ha contribuito a far conoscere tutte le potenzialità del mondo in quota, sgombrando il campo da quell'idea un po' polverosa di un Cai eccessivamente concentrato su se stesso e autoreferenziale».

All'inizio però non tutti erano d'accordo e anche oggi c'è chi sostiene che si è persa un po' di vista l'anima alpinistica del sodalizio.
«Nel lavoro di preparazione che era durato più di un anno, avevamo cercato di coinvolgere tutte le sezioni affinché le stesse si identificassero nel progetto. L'idea era ed è quella di considerare l'alpinismo come la punta di diamante dell'attività dell'associazione, non a caso l'inaugurazione del Palamonti era coincisa con la spedizione al Nanda Devi, la prima organizzata dalla sezione dopo uno stop durato parecchi anni. Contemporaneamente si è cercato però di sviluppare tutte le potenzialità della montagna operando su molti altri fronti grazie a un corpo sociale che in questo modo si è fatto conoscere e che ha messo in risalto la vera forza del sodalizio: quel volontariato fatto di giovani, uomini e donne in grado di incarnare al meglio i valori di solidarietà e generosità che sono la vera essenza della gente di montagna e al quale deve andare necessariamente il mio grazie più sentito».

Palamonti a parte, quali sono gli altri progetti che l'hanno appassionata?
«Tra i tanti non posso dimenticare la costituzione all'interno dell'associazione di nuove scuole dedicate alla montagna, a partire da quella di escursionismo dedicata a Giulio Ottolini fino ad arrivare all'ultima nata di alpinismo giovanile. Per il resto uno dei fronti di maggior impegno è stato quello dei rifugi intesi come presidi culturali e ambientali aperti a tutti. Gli interventi di adeguamento e valorizzazione non sono mancati, ma vorrei ricordare soprattutto la ristrutturazione dell'Alpe Corte, diventata la prima struttura a misura di disabile, senza dimenticare l'Orobieskyraid, iniziativa in grado di promuovere l'intera rete dei rifugi sul sentiero delle Orobie grazie allo spettacolo di una gara che si rifà comunque alla tradizione escursionistica».

Una gara che tra l'altro l'ha vista partecipare più volte.
«Sì, una grande soddisfazione. In tutti questi anni ho sempre cercato di coniugare l'attività istituzionale con quella alpinistica e di frequentazione della montagna, come nel 2007, quando ho affrontato la traversata delle cosiddette "sei sorelle" in dieci ore. Una passione personale, ma anche la volontà di valorizzare ulteriormente il grande patrimonio delle Orobie».

Il futuro del Cai Bergamo?
«Mi auguro che il percorso avviato col Palamonti possa proseguire attraverso una federazione bergamasca di tutte le sezioni orobiche con una forma giuridica in grado di tenere unite anche quelle che oggi non appartengono al Cai di Bergamo. Una sorta di Sat (Società alpinisti trentina, ndr) adeguata alla nostra realtà».
 
Mentre quello di Paolo Valoti?
«Resterò a disposizione del Cai e in quel mondo della montagna legato al territorio bergamasco dove ho avuto modo di conoscere gente concreta che mi piace definire con una triplice A: alpinisti, alpini e amici».

Emanuele Falchetti - L'Eco di Bergamo - Martedì 26 Aprile 2011 CRONACA, pagina 22

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