lunedì 29 novembre 2010

Passione per i monti, sempre con prudenza

«Ero più indietro perché senza ciaspole, ma la valanga ha travolto anche me: mi sono salvato soltanto perché ho nuotato nella neve e sono riuscito a riemergere

Treviglio - «Ero più indietro perché senza ciaspole, ma la valanga ha travolto anche me: mi sono salvato soltanto perché ho nuotato nella neve e sono riuscito a riemergere. I miei tre amici erano spariti: c'erano solo i loro zaini. Ho pensato: cosa faccio adesso? Scavare da solo non posso, non mi resta che gridare aiuto. E pensare che, poco prima, Angelo mi aveva detto: io torno indietro. Poi avevamo proseguito...».
«Sono corso a chiamare aiuto»

È il drammatico racconto dell'unico superstite della spedizione maledetta di sabato sul Mortirolo, nella quale hanno perso la vita Enzo Riganti, Angelo Lazzarini e Giuseppe Parigi, tutti di Treviglio. Paolo Belotti, elettricista di 49 anni, è l'unico dei quattro che, sabato sera, è tornato vivo a Treviglio. Ancora sotto choc – ha saputo soltanto alle 23 che i tre compagni d'escursione non ce l'avevano fatta – ieri si è chiuso nel suo dolore, ospite da alcuni familiari, lontano dalla casa di via Case Operaie dove vive con la 
madre Lucia Invernizzi.

Soltanto ad alcuni parenti ha voluto raccontare, nei dettagli, il dramma che ha vissuto, l'essersi trovato all'improvviso da solo, aver compreso la tragedia e il non saper come fare per aiutare i suoi tre amici. Ai parenti ha raccontato di non aver indossato le ciaspole «perché non me la sentivo», quasi avesse un presentimento. Per questo è rimasto indietro di qualche decina di metri rispetto a Enzo, Angelo e Giuseppe.
Ma non abbastanza da essere risparmiato dalla furia della valanga, che ha travolto anche lui, però sul lato e dunque in maniera meno intensa. «Ho messo in atto tutte le mie conoscenze – ha raccontato ieri ai familiari – e ho praticamente nuotato nella neve finché ho visto una luce e sono riemerso». A quel punto Belotti ha visto soltanto gli zaini degli amici e ha raggiunto il suo, recuperando i suoi occhiali da vista (quelli da sole, che indossava, si sono persi nella neve). Non aveva il cellulare, lasciato in auto 
assieme alle sue ciaspole, e ha subito capito che mettersi a scavare, da solo, era del tutto inutile. Non gli restava che iniziare a chiedere aiuto. «Ho iniziato a correre, sprofondando con le gambe nella neve – ha riferito ai familiari – e intanto a gridare aiuto». 

Le sue grida sono state sentite, molto flebili da lontano, da due ragazzi che stavano passando nella zona con una motoslitta: i due lo hanno raggiunto. Caricato a bordo, si sono portati fino a una baita, da dove hanno chiamato i soccorsi.

Sotto choc in baita
Dieci minuti dopo la zona era già sorvolata dall'elicottero e passata al setaccio dai soccorritori, che hanno poi recuperato i tre escursionisti travolti. Intanto Paolo Belotti è rimasto nella baita: sotto choc, i soccorritori gli hanno acceso un fuoco, gli hanno dato un asciugamano e lasciato un cellulare per contattarli. Ha riportato soltanto una escoriazione a una gamba. Il gruppo si è trovato sul percorso troppa neve: uno dei quattro ha detto, prima di partire, di conoscere il percorso e che non era pericoloso. Invece la realtà si è purtroppo rivelata del tutto diversa. La valanga che ha ucciso i tre trevigliesi aveva un fronte di circa duecento metri. 

Secondo Guido Salvetti, volontario del Soccorso alpino della Quinta delegazione bresciana, all'origine della valanga che ha travolto i tre ci sarebbe stata un'errata valutazione delle condizioni del manto nevoso. Salvetti è stato tra i primi a intervenire per i soccorsi: «Alle 16 abbiamo avviato le ricerche – spiega –, alle 17 è arrivato il buio, ha ripreso a nevicare e non abbiamo potuto fare tutte le valutazioni del caso per capire come abbia fatto la neve a staccarsi dalla montagna. Forse una valanga spontanea, o indotta dal sovraccarico dovuto alle persone che salivano. Una nostra unità cinofila ha fiutato la presenza di una persona sotto la neve: abbiamo iniziato a scavare, estraendo il primo uomo».
«Il secondo – prosegue – lo abbiamo trovato a una distanza di circa due metri. Entrambi erano sotto un metro di neve. Il terzo, invece, era nove metri più a monte, coperto da uno strato di 60/70 centimetri di neve. Purtroppo erano dotati solo di ciaspole e scarponi: non avevano né Arva, né pala da neve né sonda per le ricerche, strumenti che noi consigliamo vivamente a tutti gli escursionisti e scialpinisti».


I parenti: vista la notizia ai tg, chi pensava a loro?
«Esperti da anni, non erano degli sprovveduti»

Ripensano agli ultimi istanti passati con loro, ma anche a tutta la vita dei loro cari finita così drammaticamente, i familiari di Enzo Riganti, Angelo Lazzarini e Giuseppe Parigi, nelle case di via Santa Lucia, dei Mille e Petrarca a Treviglio. Angelo Lazzarini era nato il 7 gennaio del 1942 a Treviglio e da giovane aveva abitato in via Portaluppi: fin da subito aveva seguito le orme del padre Antonio, storico meccanico della città. «Lo aveva affiancato fin da ragazzo – racconta la moglie Elena Fornasier –, poi era subentrato alla guida dell’officina dal 1973».

Da almeno cinquant’anni l’officina si trova in via dei Mille, al pianterreno della palazzina dove Angelo abitava con la moglie. Angelo lascia tre figli «Amava la montagna – racconta –, ma in generale era un uomo molto sportivo e dinamico. Era anche grande appassionato di immersioni subacquee, per anni era stato il presidente dell’associazione Asso Sub, con la quale ancora collaborava. 
Era appena tornato da Sharm El Sheik, dove aveva partecipato a delle immersioni con dei ricercatori del Cnr e dell’Università di Pisa, ottenendo anche un attestato. Appena poteva, poi, andava in montagna con il gruppo di amici del Cai: era appassionato da una decina d’anni. Due anni fa era salito sul Bianco».

Sabato mattina Lazzarini era partito attorno alle 6,15: «Paolo, il superstite, ha poi raccontato che erano in orario con la tabella di marcia quando è scesa la valanga che li ha travolti», riferisce la moglie, che sabato pomeriggio, appreso della tragedia, si è recata a Edolo con i familiari. Angelo Lazzarini lascia tre figli: Adriano, di 32 anni, che lavora nell’officina di famiglia, Alessio, di 33, e Alessandro, di 38. Giuseppe e l’impegno in Africa. Lo stesso dolore si respira anche nella casa di via Petrarca dove Giuseppe Parigi abitava con la madre, Bambina Aloardi. Parigi era nato a Treviglio il 22 luglio del 1963 e da ragazzo aveva studiato come meccanico. Da diversi anni lavorava alla Same, il colosso trevigliese dei trattori: entrato come operaio, da qualche anno era diventato impiegato del reparto tecnico. Giuseppe era il terzo di cinque tra fratelli e sorelle: Enrico, Antonietta, Fausto e Camilla.

Oltre alla passione per la montagna, che aveva coltivato soprattutto negli ultimi due anni, Parigi dedicava parte del suo tempo anche al volontariato, aderendo a diversi progetti. «Era venuto diverse volte con me in Africa – racconta il fratello Enrico – per portare a termine un progetto in Mali del Celim di Bergamo, per la costruzione di una scuola professionale, mentre più di recente aveva aderito a un progetto del comitato Banantoumou per l’acquisto di un’ambulanza per la popolazione del Mali. Era inoltre impegnato con gli scout». «Sabato abbiamo sentito la notizia della valanga al tg, senza lontanamente immaginare che fosse coinvolto il gruppo di Giuseppe – spiega ancora il fratello –, anche perché, oltre a essere attrezzati, erano sempre molto prudenti. 
Avevano deciso giovedì sera di fare questa escursione. Giuseppe era una persona molto socievole: amava stare con gli altri e stare in contatto con la natura. Di qui la sua passione per la montagna». ■

Fabio Conti - L'Eco di Bergamo - Lunedì 29 Novembre 2010 PROVINCIA, pagina 16

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