mercoledì 3 aprile 2013

«Pericolo elevato, in questi giorni meglio stare a casa»


I consigli del delegato del soccorso alpino. Ranza: la montagna non è un parco giochi allarme valanghe

«Quando c'è il rischio valanghe a livello 3 bisogna fare una sola cosa: stare a casa a giocare a briscola». Elia Ranza, delegato del Soccorso Alpino, in queste ore in cui rimbalzano da ogni dove notizie di slavine e distacchi di masse di neve, non si stanca di raccomandare prudenza.

«Ma sì, molta gente pensa che il livello 3 corrisponda ad un pericolo medio-basso (il massimo è 5), invece è elevato. Bisogna tenerne conto e non sottovalutarlo».

Forse la scala del pericolo andrebbe articolata meglio.
«È una scala europea, non è che ognuno sia libero di interpretarla come vuole. Piuttosto, chi va in montagna ha il dovere di informarsi meglio prima di avventurarsi in mezzo alla neve».

Qual è la prima cosa da fare?
«Avere una buona conoscenza del territorio. Non tutti i versanti e le cime sono uguali. Ai Campelli di Schilpario, per dire, il rischio di slavine è molto meno elevato che altrove. Ma detto questo, se vengono emessi i bollettini neve che indicano livelli di pericolo non bisogna far altro che rispettarli. Meglio pazientare qualche giorno piuttosto che rischiare la pelle».

Invece voi del Soccorso Alpino anche in questi giorni vedete un sacco di gente sulla neve.
«Purtroppo sì. Molti hanno un'idea sbagliata, da fumetto o da film, della neve. La confonde con l'immagine dei fiocchi che scendono dal cielo. Ma la neve ha una forza spaventosa. Mi si passi la provocazione. Fosse per me costringerei chi vuole fare scialpinismo a spalare un metro cubo di neve. Solo così, forse, si renderebbe conto di cosa significa finirci sotto».

Se la percezione del pericolo non c'è di chi è la colpa?
«Penso sia un problema di cultura e di comunicazione. Lo dico anzitutto ai giornalisti: smettetela di dipingere il Soccorso Alpino come gli angeli della montagna. Siamo uomini come tutti gli altri, con le stesse capacità e le medesime paure. Il rischio è di trasmettere un messaggio sbagliato: quello, cioè, di ritenere che comunque ci sarà qualcuno che ci tirerà fuori dai guai».

Voi siete straordinari in questo.
«Io mi dedico ai soccorsi da 40 anni. Ho estratto dalla neve solo dei morti. Li troviamo, certo, ma a cosa serve? Io so cosa vuol dire essere travolti dalla neve. Ci sono finito sotto anch'io una volta. Per fortuna mi è rimasta fuori la testa e mi sono salvato. Ma per tirarmi fuori c'è voluta un'ora e mezza. I novanta minuti più lunghi e angoscianti della mia vita. Non riuscivo a muovere un dito».

Racconti drammatici come il suo vengono diffusi spesso dalla stampa. Possibile che non facciano breccia nella mente delle persone?
«Pochissimi conoscono la montagna, anche tra gli alpinisti, compresi quelli esperti. Lo ripeto, è completamente sbagliato l'approccio. La montagna non è Gardaland, non è un luogo fiabesco. È un ambiente naturale straordinario, con le sue bellezze e le sue suggestioni. Ma anche ricco di insidie. Per viverla al meglio bisogna conoscerla. Ci vuole l'umiltà di imparare, la pazienza di studiare. Per praticarla d'inverno è necessario averla conosciuta anche d'estate. Sembrano richiami rituali, per qualcuno anche superflui. Ma non smetteremo mai di rilanciarli».

Le pare di predicare nel deserto?
«No, non esageriamo. Però va detto con forza che troppe volte siamo costretti a rischiare la nostra vita per comportamenti leggeri o irresponsabili. Per cui lo ripeto ancora: prudenza, prudenza, prudenza. Anche nei prossimi giorni sono previste abbondanti nevicate. Teniamo alta la guardia. E impariamo ad avere pazienza. Se ci buttiamo nella neve al primo raggio di sole sappiamo a cosa possiamo andare incontro...».

Cesare Zapperi
Il Corriere della Sera - 3 aprile 2013 | 10:27


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