Ho
frequentato la montagna da ragazzo, poi, con il passare del tempo, con
ascensioni sempre più difficoltose e impegnative.
L'esperienza
che ho acquisito, dapprima con i consigli di mio padre, anche lui amante della
montagna, e successivamente da un compagno esperto, mi ha sempre accompagnato
nei momenti in cui la prudenza doveva necessariamente avere il sopravvento
sull'istinto.
Scelte
difficili specialmente quelle che dovevo assumere a pochi metri dall'obiettivo,
cullato e progettato da tempo. Scelte che, in alcuni casi, sono stati
provvidenziali ad evitare di compromettere la mia integrità fisica e,
altrettanto importante, di colui che mi accompagnava o di coloro che sarebbero
dovuti soccorrermi.
Ho sempre
ritenuto che la "passione" non dovesse prevalere rispetto alla
sicurezza mia e degli altri.
Per questo
motivo non comprendo la faciloneria e la presunzione di coloro che affrontano,
specialmente in situazioni particolarmente negative, i rischi che possono
correre.
Siamo
all'inizio dell'inverno e già molti incidenti, di cui alcuni con esito letale,
hanno trovato spazio nell'Informazione. Alcuni, purtroppo, che hanno coinvolto
anche persone esperte e attrezzate, altri, molte altre, causati dall'incoscienza
di chi li ha subiti.
Nonostante
le raccomandazioni che vengono ampiamente pubblicizzate, si verificano
incidenti incomprensibili, che mettono in evidenza la completa mancanza di
rispetto della natura e la presunzione di "superiorità" con la quale la si affronta.
Moniti che
si perdono nel deserto della superficialità umana.
Situazioni
che mettono a rischio l'altrui incolumità.
Una partita
a dadi con il destino.
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