Fotografia del Corriere della Sera
L’ultimo nato tra i percorsi attrezzati delle Orobie è protetto da 700
metri di corde fisse
Ritrovarsi da
solo su una parete a quaranta chilometri da Bergamo in una domenica di agosto
non capita di frequente. Eppure quest’oggi sui pilastri calcarei dell’Alben non
c’è nessuno. Sto percorrendo la ferrata Maurizio, l’ultimo nato fra i percorsi
attrezzati delle Orobie. Ma l’arrampicatore rimasto senza compagni, che si
stanno godendo gli ozi delle spiagge, si ritrova più impegnato di quanto
credeva da quello che aveva ritenuto un semplice ripiegamento. La verticalità
della parete, interrotta da qualche piccolo strapiombo, obbliga a una rude,
quanto aerea ginnastica, anche se l’attrezzatura della via è perfetta: corde
metalliche ben tese con frequenti ancoraggi e gradini nei tratti più erti.
L’idea della guida alpina Nadia Tiraboschi
Di ferrate
nelle Orobie non ce ne sono molte. Qua e là si incontra qualche sentiero
attrezzato, anche molto panoramico, come il Passo della Porta sulla Presolana.
Ma l’appassionato della verticalità protetta, che in Dolomiti trova pane per i
suoi denti, sulle montagne bergamasche resta a bocca asciutta. Anche per questo
la ferrata dell’Alben è una lieta sorpresa, benché il deserto di questa
domenica estiva faccia pensare che siano ancora in pochi a conoscerla. L’opera
è stata voluta dalla guida alpina Nadia Tiraboschi di Oltre il Colle per
ricordare il suo compagno di cordata,
l’alpinista
bergamasco Pierangelo Maurizio, disperso sull’Everest nel maggio del 2007.
Nonostante l’ostilità del Cai di Bergamo, che è contrario all’apertura di nuove
vie ferrate, Nadia ha pazientemente raccolto i fondi e, grazie al decisivo
contributo della Provincia di Bergamo e del gruppo alpinistico Fancy Mountain,
ha potuto completare il tracciato nel 2013.
I pilastri di roccia
Torno quassù
dopo quasi quarant’anni. Poco più che adolescenti, insieme a un compagno di
scuola, avevamo aperto una via sul Monte Croce, che scorgo alla mia destra tra
le folate di nebbia. Roba da ubriachi, con assidua mobilitazione di santi
protettori. Avevamo ottenuto due biglietti gratis sul pullman di Oltre il Colle
e avevamo voluto sfruttarli al meglio, anche se il ritorno avvenne in autostop
a causa del nostro rientro a valle sciaguratamente tardivo. Intanto, mentre
salgo, comincio a rendermi conto dell’errore di un tempo. Quello che credevamo
l’Alben è in realtà l’anticima quotata 1.900 metri, su cui si svolge la ferrata.
Sorge a est del Monte Croce e ha un aspetto molto severo e dolomitico, con
pilastri di una roccia calcarea grigia e compatta, che si sta dimostrando molto
arrampicabile. Devo riconoscere che solo in alcuni tratti della Presolana si
trova nelle Orobie una roccia di una qualità paragonabile.
La conca, i campanacci e le nebbie sfilacciate
Sono partito
con molta calma dopo le 11 dalla Conca dell’Alben, sopra Oltre il Colle, invasa
dai gitanti del pic nic domenicale. I campani delle mucche al pascolo sotto lo
skilift hanno accompagnato la prima mezz’ora di salita fino al terrapieno
eretto in difesa degli impianti, che sembra la morena di un ghiacciaio
scomparso. Le pareti dell’Alben si ergono altissime, avvolte da lembi di nebbie
sfilacciate, oltre le quali si intravvede un azzurro folgorante. Ad accentuare
la severità del luogo contribuisce l’esposizione nord, che ripara dal sole, ma
immagino renda impercorribile la ferrata fino a tarda primavera. Il percorso si
stende per quasi un chilometro fra i 1.500 e i 1.900 metri, protetto da 700
metri di corde fisse. È diviso in due parti: la prima risale lo zoccolo di
vegetazione e rocce, che difende l’accesso alle torri sommitali. Qui la corda
metallica serve prevalentemente per reggersi sul sentierino viscido e ripidissimo.
La al Serina dall’alto
La vera e
propria ferrata comincia più in alto, una volta che si è raggiunto una specie
di aereo pulpito. Una traversata protetta permette di arrivare all’inizio delle
difficoltà, valicando un canale roccioso. Si parte sotto un tettuccio,
traversando su parete verticale con l’aiuto di una serie di staffe metalliche,
e si sbuca su un bel diedro sempre verticale, ma anche questo ottimamente
attrezzato. Provo ad arrampicare senza servirmi degli ancoraggi. Ho portato le
scarpette da roccia e la parete è ricchissima di appigli naturali. Una
soluzione consigliabile e non rischiosa per chi voglia aggiungere un po’ di
impegno alla salita. La verticalità non molla, le nebbie si stanno sciogliendo
e la Val Serina appare verdissima e punteggiata di abitati, circondata dalle
cime incappucciate dell’Arera e del Grem. Un atletico camino conduce al culmine
del primo pilastro, da cui si traversa verso l’inizio del secondo per un breve
sentiero. Il tratto che segue è leggermente più impegnativo e in un passaggio
dentro una larga fessura ci si trova proiettati oltre la verticale. Ma non dura
molto e presto la parete si spezza in una sequela di salti, che conducono sulla
cresta sommitale.
Il Monte Croce
Le difficoltà
sono terminate. Una stretta dorsale erbosa, interrotta da qualche nuovo salto
di roccia, conduce sulla cima, da cui in breve si arriva a un bivio: a destra
si sale al Monte Croce, a sinistra si scende verso il Passo della Forca, da cui
si può raggiungere in una mezz’ora la vetta più alta dell’Alben o ripiegare
verso Zambla. Il silenzio è rotto a tratti dalle folate di vento che salgono
dalle torri rocciose. Portano qualche clacson lontano e le voci degli
escursionisti stesi a prendere il sole sui prati. Il panorama si allarga sempre
più e le Orobie sono un mare di cime, che sfumano fino alla catena azzurra
delle Alpi innevate. Eccomi finalmente sul Monte Croce. Butto lo zaino a terra,
vuoto avidamente la borraccia e mi stendo al sole caldo del pomeriggio. Se
chiudo gli occhi, mi ritrovo accanto l’adolescente scapestrato che ero. È
rimasto quassù ad attendermi da quella domenica degli anni Sessanta, quando su
questa cima dell’Alben sedevamo orgogliosi come se avessimo conquistato
l’Everest.
di Franco
Brevini
Corriere della Sera - 29 agosto 2015
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