domenica 15 gennaio 2012

Emergenze in alta quota? «Teniamo aperte le baite»


La proposta del responsabile scout Agesci: si prevedano ripari
E dopo le ultime disavventure aggiunge: corsi col Soccorso alpino

Baite aperte d'inverno in alta quota. È la proposta di Cristiano Baroni, responsabile degli scout bergamaschi dell'Agesci dopo la disavventura del gruppo sorpreso dalla bufera di vento e soccorso la scorsa settimana sul monte Grem.
A chi gli fa notare come il Soccorso alpino sia un po' stanco di recuperare scout dispersi in montagna in braghe corte, come al Telini alla vigilia dell'Epifania e ad Ambria lo scorso novembre, Baroni così replica: «È vero che qualcuno è un nostalgico della divisa scomoda, ma l'associazione prescrive che si affrontino le varie situazioni all'aria aperta con l'attrezzatura giusta. Penso anche che ormai sono molte le persone che vanno in alta montagna d'inverno fra ciaspole, sci alpinismo e camminatori».
Poi la proposta: «Perché non provare a lasciare aperte le baite, in aggiunta agli invernali dei rifugi, come ripari di emergenza? Parliamone: con il Cai, con chi va in montagna, con i proprietari degli alpeggi».
E Baroni cita il Cai non a caso, a riprova, dice, che le due realtà non sono poi così lontane. «Molti scout sono anche iscritti al Cai – spiega –. Inoltre da tempo collaboriamo per fare in sicurezza attività in grotta o di arrampicata. Ora vorrei contattare il Soccorso alpino per vedere se è possibile organizzare specifiche iniziative di formazione alla sicurezza in montagna».
Percentuali e competenzeCerto le ultime disavventure che hanno avuto per protagonisti gli scout farebbero concludere che non sono più quelli di una volta, esperti di tutto. «Una volta erano anche meno numerosi – replica il responsabile degli scout bergamaschi dell'Agesci –. E sul totale degli scout, la percentuale di chi si perde non è alta – il 5 gennaio, per esempio, c'erano almeno altri tre gruppi di scout sui sentieri alti delle Orobie e tutto è andato bene –, ma è innegabile che troppa vita di città fa male e il livello di competenza tecnica si è abbassato.

L'associazione organizza perciò campi nazionali di specializzazione per i capi, uno sulla montagna d'inverno viene fatto da tre anni in Valcanale».
E anticipa: «Di sicuro noi dedicheremo il prossimo tema annuale di zona alla competenza in montagna e potremmo anche formalizzare specifiche pattuglie tecniche con capi esperti a disposizione dei gruppi che vogliono fare attività impegnative».

Da mettere in calendario comunque, perché «un po' di avventura è stimolante. Le attività pratiche sono parte integrante del metodo scout, irrinunciabili. C'è tutta una metodologia che lega il fare, l'imparare, il simbolo, la crescita personale in funzione di un miglior servizio agli altri».
Infine una provocazione: gli scout oggi hanno ancora senso? «Gli scout bergamaschi sono circa 1.700 – spiega Baroni –, con 280 volontari che per diventare capi seguono un iter di formazione. È un metodo educativo che copiano tutti perché se applicato bene insegna l'indipendenza, la stima di sé, la solidarietà. E mi sembra che ce ne sia bisogno ancora. Il punto è che per imparare a far le cose da soli, i ragazzi devono essere lasciati andare. Il capo bravo è quello che lascia sbucciare le ginocchia, ma è capace di circoscrivere il rischio alle sole ginocchia sbucciate».

Susanna Pesenti - L'Eco di Bergamo - Domenica 15 Gennaio 2012 PROVINCIA, pagina 37


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