Come spesso accade, la verità sta
probabilmente nel mezzo. L’agguato con cavi d’acciaio «antimotociclisti» è,
senza se e senza ma, un atto vile. Non può avere alcun titolo di cittadinanza
in un normale confronto di idee, ma accende un allarme rosso sui rischi che
nascono da un’eccessiva radicalizzazione delle posizioni.
La questione relativa
al transito delle moto sui sentieri di montagna si era particolarmente accesa
lo scorso anno, dopo l’approvazione, da parte del Consiglio regionale della
Lombardia, delle deroghe per lo svolgimento di gare con mezzi a motore lungo i sentieri.
Un allentamento dei cordoni del rigore contro cui Cai Lombardia e ambientalisti
si sono scagliati con decisione, al punto che anche le successive prove
tecniche di dialogo fra Umberto Martini (presidente generale del Cai) e Paolo
Sesti (presidente della Federazione motociclistica italiana) avevano a loro
volta ingenerato dure prese di posizione all’interno del Cai.
A suon di petizioni
online, si sono formate due contrastanti scuole di pensiero: quella che vede la
natura come ambiente da tutelare al massimo e quella che invece coniuga la
dinamicità anche motorizzata dell’uomo per mantenere vive e vivibili le aree di
montagna. In questo caso c’è chi ha sottolineato (con ragioni a volte anche
evidenti) che in molte zone delle nostre valli gli unici sentieri rimasti
percorribili, grazie ad attenta e costante manutenzione, sono proprio quelli
che vedono il passaggio, responsabile, di ruote artigliate e mezzi da trial,
magari a servizio di malghe e attività alpestri. Si è in questi casi superata
con i fatti la sterilità di qualche testardo preconcetto che spesso alberga in
chi nel cambiamento vede un rischio e non un’opportunità.
D’altro canto qualche
ragione possono accamparla anche gli integralisti, dato che l’opportunità di
utilizzare mezzi a motore è scambiata spesso da qualche sconsiderato come un
lasciapassare per fare di mulattiere e sentieri un parco di divertimenti a uso,
consumo e rischio di chi sceglie i monti per un esibizionismo che nulla ha a
che vedere con l’attività sportiva o la necessità di lavoro.
Tendere cavi d’acciaio
oppure, al contrario, devastare sentieri e pascoli è in tutta evidenza stupido,
inutile e deleterio. Urge concentrare gli sforzi per costruire dialogo fra chi
è tenuto a redigere regolamenti (a volte in tali contesti la politica riesce a
essere ancor più distante del solito), associazioni sportive e di tutela e
soprattutto i residenti, che da generazioni su quei sentieri incrociano storia,
tradizione e, perché no, orizzonti di sviluppo. Altrimenti, a lungo andare, in
quelle trappole vigliacche finiranno per cadere la montagna e i suoi
valligiani.
Giambattista Gherardi – L’Eco di Bergamo, 15 aprile
2015
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