martedì 16 settembre 2014

Il territorio che si sgretola. La politica del dissesto

Il territorio che si sgretola. La politica del dissesto
Frana di Rosolo by camminandopermonti.it

Se imparassimo a camminare nuovamente il nostro territorio, potremmo capire, studiare soluzioni ascoltando chi ancora conosce la geografia profonda

Venerdì, percorrendo la strada che da Ambria sale in Val Serina, dieci mesi dopo la frana del dicembre 2013 a Rosolo, dopo l’orrido di Bracca, ho svoltato al bivio dove la strada sale verso Serina: una lunga e tortuosa deviazione, necessaria per giungere nella bella conca sotto l’Alben. Conosciamo il problema, abbiamo sentito le giuste rimostranze di chi deve percorrere ogni giorno questa vallata e sappiamo che non è semplice mantenere la viabilità in montagna. Ma dopo dieci mesi, la via a una soluzione resta lunga e tortuosa.

Andiamo a Castione della Presolana: strada da Lantana al Colle Vareno e al Monte Pora; nel 2010 ha richiesto spese sinistramente esorbitanti per la «messa in sicurezza» di trenta metri di sede rotabile. Quei sei chilometri sono sempre a rischio; quando, a piedi, seguo la strada storica che da Lantana va a Predusolo e quindi si biforca per Vareno o per i Valzelli e Malga Pora, penso a quei montanari «ignoranti» che avevano già disegnato una strada adatta, calata nel contesto. Conoscevano il territorio e la sua composizione. Sapevano dove scavare. E la strada è ancora lì, intatta.

La viabilità secondaria, un tempo primaria, è una metafora interessante per valutare chi amministra i nostri voti; se percorri ogni settimana sentieri e mulattiere storiche a qualsiasi quota, nelle Orobie, la visione si fa nitida. Sempre venerdì ho risalito la Strada Taverna, che dai sei ponti di Sedrina in Val Brembana porta alla splendida contrada di Catremerio e al Pizzo Cerro.
Una mulattiera consolidata nel ripido versante idrografico sinistro della Val Brembilla, non frequentatissima eppure eccola lì, tra forre, rocce calcaree, boschi, terrazzamenti e borghi antichi: intatta. Da secoli. In quella montagna, c’era l’uomo che conosceva la montagna, proprio come nelle nostre pianure c’erano i contadini che conoscevano le pianure, i fontanili, le risorgive, dove operare e dove no: non si costruiva su paludi o zone umide, ad esempio. Non un ospedale, giusto per dire.

A chi dirige la vita sociale di un milione di bergamaschi, va ricordato che la nostra è una provincia varia e principalmente montuosa; che le Orobie sono un tesoro geologico e culturale. Che la montagna non è un luna park per estrosi geometri. Il progetto di collegamento da Valcanale a Roncobello, dal passo del Branchino, ne è un esempio calzante: milioni di euro per creare altri problemi che poi andranno nel catalogo «dissesto idrogeologico».

Il dissesto, la vera frana, è quella culturale e politica, intesa come espressione di noi cittadini. Nessuno è innocente. Neanche chi non va a votare. Se quei milioni di euro andassero al recupero e alla valorizzazione della rete viaria «secondaria» migliaia di cittadini imparerebbero dalla montagna e da chi la rese abitabile e percorribile secoli fa quando non si progettavano vie di comunicazioni inutili. Ma chi ci amministra, di tempo per camminare, studiare storia e geografia, dunque di osservare e poi elaborare progetti sensati, pare non ne abbia.

Il dissesto idrogeologico consegna numeri impietosi. Ma quale percentuale è da attribuire al dissesto dell’uomo non più in contatto con il contesto territoriale? Quando cammino sento la montagna parlare ancora all’uomo che ascolta(va). In tanti borghi abbandonati, si vedono edifici ancora lì, dopo secoli, muti e impietosi verso la nostra ignoranza o mala fede. La via al cambiamento è culturale.

Se imparassimo a camminare nuovamente il nostro territorio, potremmo capire, studiare soluzioni ascoltando chi ancora conosce la geografia profonda: un patrimonio umano la cui lingua, quella della terra che è chiara e intransigente, non è biforcuta.

Davide Sapienza
Il Corriere della Sera - 15 settembre 2014

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