domenica 13 novembre 2011

L’analisi del geologo del Cnr sul territorio orobico


«Troppe ruspe e cemento. La Bergamasca è fragile»
«Evitare nuove strade che tagliano i pendii e laghetti per fare neve artificiale: si contribuisce all’erosione»

«Prima ci prendono per profeti di sventura, poi per avvoltoi. I geologi hanno la vita dura» Sergio Chiesa, bergamasco, dirigente di ricerca del Cnr, da sempre si batte per il controllocostante del territorio.

Adesso che i macigni piovono anchein bergamasca, se fosse un sindaco invece che un geologo, che farebbe?«La Bergamasca è un territorio molto fragile perché al 60% di montagna, abitato e lavorato da secoli. Bisogna fare attenzione allo spostamento terra, anche per la costruzione di piste di sci. Attenzione alla costruzione di case: anche quando sorgono su zone sicure non è detto che la strada che poi bisogna costruire per raggiungerle non alteri un equilibrio delicato.
Marne e argilla provocano frane in Val Imagna, Val Brembilla, Val Serina, Val Seriana medio-bassa. I disastri causati da precipitazioni brevi ma intense derivano da condizioni atmosferiche che si formano all’imbocco delle valli, in particolare della Val Seriana, per esempio a Gazzaniga.
Poi ci sono le strade che tagliano i pendii». «Se fossi un sindaco – continua Chiesa – eviterei il collegamento tra Mezzoldo e San Simone perché la valletta è dissestata da una serie di microfrane.
A Foppolo avrei evitato di pompare l’acqua dei laghetti in quota per fare neve artificiale perché si sposta una quantità d’acqua che poi contribuisce all’erosione del suolo. Ci penserei prima di mandare le ruspe sui pendii a smuovere terra per le piste di sci.
C’è la frattura nel territorio di Branzi e frane a Bracca e San Giovanni Bianco. Delicate anche la Val del Lujo, Gandellino, il versante dell’Albenza, la zona delle cave sul Sebino. A Schilpario, in Val di Scalve, starei attento con le piste di sci: è un’area danneggiata dai tempi della diga del Gleno e non ha ancora recuperato il suo equilibrio».
Insomma, secondo l’esperto del Cnr tutta la montagna è costellata da situazioni di potenziale rischio.

«Le strade storiche di collegamento nelle Prealpi e nelle Alpi corrono alte. Sono scomode per i viaggiatori, ma stare in alto evita le conseguenze di frane e valanghe».

Ma come fare prevenzione?«Regione Lombardia ha censito tutte le Prealpi con l’interferometria radar che registra l’eventuale spostamento di punti che riflettono le onde radar come i tetti. Il sistema fa parte di Tre, Tele rilevamento Europa e la misurazione è mensile. I dati si incrociano con i rilievi e le posizioni segnate dagli strumenti tradizionali a terra. Poi occorre fare manutenzione: il reticolo di canalette che servivano a irrigare i prati, i muri a secco che spanciano. Attenzione alla pulizia dei corsi d’acqua minori perché ogni ostacolo causa una deviazione dell’acqua».
Anche l’acqua è aumentata e rappresenta un problema. «È aumentata la quantità d’acqua rilasciata nel terreno a fronte dei consumi degli acquedotti, e bisogna far manutenzione alle sorgenti. Gli strumenti per controllare l’evoluzione della situazione ci sono, i terreni edificabili sono catalogati con quattro gradi di fragilità crescente, in montagna di solito il grado uno non c’è mai e quando si tocca il territorio bisogna fare in modo da non peggiorare la situazione di rischio.

Bisognerebbe sviluppare l’economia ambientale, in grado di esprimere il valore del territorio, il suo deprezzamentoin termini finanziari, allora forse si capirebbe il danno»

Ci sono Comuni virtuosi?«Molti hanno fatto lo sforzo di dotarsi di Gis, il sistema informatico che permette l’aggiornamento di tutti i dati necessariper l’azione della protezione civile: sapere dove si trovano le persone e le strutture maggiormente a rischio. Il problema è il controllo dell’aggiornamento dei dati perché il territorio cambia e va seguito nella sua evoluzione, i consorzi di comuni qui sono indispensabili. Un buon esempio, perché vicina come territorio e problemi, è il sistema messo a punto dalla Comunità montana di Tirano in Valtellina».
Ma gli interventi di prevenzione hanno un costo e tutto diventa una questione di risorse e di scelte. «Il problema dei fondiè che ce ne sono troppo pochi per la prevenzione e poi ne arrivano troppi quando accadono i disastri e non sempre vengono utilizzati bene. Dopo l’alluvione in Valtellina sono state realizzate delle briglie che adesso i comuni stanno demolendo per ripristinare il corso dell’Adda».

In conclusione, quanto la bergamasca è a rischio?
«Bisogna capirsi: la pericolosità è un concetto che riguarda il territorio, è la probabilità che un evento si verifichi, ed è variabile. Da questo punto di vista, il nostro territorio è fragile perché modellato dall’acqua e dalla ripidità dei versanti. Il rischio, invece, è un concetto economico e riguarda la valutazione del danno nel caso che un fenomeno si verifichi.

Bisogna concentrare gli interventi là dove il rischio è grande perché ci sono case e gente. Per il resto, si può solomonitorare»

SUSANNA PESENTI - L'Eco di Bergamo - Domenica 13 novembre 2011, pag. 36

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