Lo incontro
spesso la mattina mentre porta la sua barboncina bianca a passeggio. Come tutti
i cagnolini di piccola taglia è sospettosa e non permette che la si accarezzi,
ma ti osserva con lo sguardo curioso annusando il fondo dei pantaloni; sente
odore di una concorrente: Cleopatra.
Lui,
ottantasette anni portati bene, è un ex vigile urbano che abita nelle mie
vicinanze. Lo ricordo in divisa, trent'anni orsono, quando frequentavo da
Consigliere comunale Palazzo Frizzoni. In seguito, smessa la divisa, svolgeva
l'incarico di regolare il passaggio ai crocevia dei bambini diretti a scuola.
Ora accompagna la barboncina nel parco vicino casa e, seduto su una panchina,
la osserva mentre corre nell'erba sul tappeto di foglie gialle.
Mentre cerco
inutilmente di accarezzare la bestiolina, scambiamo quattro chiacchiere.
Nativo di
Trieste, da ragazzo aveva vissuto il periodo dell'occupazione alleata della
città. Nel 1949 aveva "varcato il confine" arruolandosi a Udine
nell'Esercito Italiano. Dopo la ferma militare aveva svolto qualche lavoretto e
successivamente si era trasferito a Bergamo.
Nella città
lombarda, dopo aver partecipato ad un concorso pubblico, era stato assunto in
qualità di Vigile Urbano, impiego che mantenne nei successivi quarant'anni.
Mi racconta
di quando, da ragazzo, abitava a Trieste in una casa di campagna. Aveva
allevato due animaletti selvatici: un corvo e uno scoiattolo.
Il corvo,
trovato da piccolo, lo nutriva con pane imbevuto nel latte e con le more
raccolte sulle siepi. «Il corvo svolazzava per casa» - racconta - «al mattino
faceva il suo giretto in campagna o sopra le case del paese, poi tornava a casa
per pranzare! Purtroppo fece una brutta fine. Sa come è morto?» - mi chiede - «Scivolando
in una vasca di calce viva. Quella che i
contadini utilizzavano da pennellare sulla corteccia degli alberi da frutto per
evitare l'assalto dei parassiti.» Poi con celia conclude: «Forse, il corvo,
voleva farsi bianco!»
Continua:
«Quella vasca, senza alcun riparo attorno, fu anche la causa della morte di un
bimbo di poco più di due anni. Cose da pazzi. La stessa fine del mio corvo.»
Conclude scuotendo la testa.
S'è fatto
tardi, un impegno mi attende. Vorrei continuare ad ascoltare i suoi ricordi ma
non ho tempo.
Mentre lo
saluto, ripromettendomi di continuare la chiacchierata in una prossima
occasione, cerco di accarezzare la testolina della barboncina, ma l'impresa è
impossibile: arretra e mostra la dentatura come in un sorriso.
M'illudo che
sia proprio un sorriso di commiato, saluto lei e il suo padrone e vado al mio
appuntamento.
Gallicus
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