martedì 23 giugno 2015

Chi fa cassa con la montagna

Dai due euro per raggiungere in auto 
il Monte Avaro al Lago di Cassiglio


Quanto costa la bellezza? Quanto costano lo svago, il relax, l’aria buona, il panorama? Non sono più domande retoriche, sono domande che dobbiamo cominciare a porci, per il momento dirigendoci verso l’alta Val Brembana, ma andando avanti presumibilmente sempre più spesso. Da subito sappiamo che l’incanto dei Piani dell’Avaro costa due euro. A seguire, pagheremo anche per gustarci il Lago di Cassiglio. La novità è di questi giorni, una novità per niente marginale, anche se è passata via nella generale indifferenza. Lo trovo sbagliato. Il tema è serio e importante, dovremmo parlarne di più e meglio. Con maggiore partecipazione, con istintiva passione.

È evidente: gli enti locali hanno sempre meno soldi, inevitabile che nelle loro riunioni scatti la tentazione molto umana di fare un ragionamento piuttosto semplice, signori, non c’è cassa per tenere in ordine la strada verso l’Avaro e per fare manutenzione ai luoghi più frequentati, dunque mettiamoci sopra un bel ticket. Da ora in poi, chi consuma bellezza dovrà contribuire a mantenerla. Una mano sul cuore e una sul portafoglio, prego. Ammettiamolo: non c’è niente di scandaloso. Gli amministratori locali vanno capiti: l’invasione del turismo sulle montagne, ai laghi, nei luoghi storici comporta consumo di questi beni, normale che i consumatori paghino il biglietto per lo spettacolo. Per mantenere integro lo spettacolo. L’idea non nasce certo sul Monte Avaro: è da anni che in Austria i ciclisti pagano il pedaggio per scalare diversi passi, sulle nostre stesse Dolomiti il dibattito è molto acceso, perché l’invasione biblica di certi periodi implica inesorabilmente costi aggiuntivi e molti trovano necessario istituire il casello d’ingresso. Sì, il problema del consumismo ecologico e bucolico è decisamente serio, gli amministratori locali chiamati a gestirlo vanno capiti.

Una volta capiti loro, qualcuno però dovrà capire anche noi. Noi contribuenti. Non è per vittimismo italiota che ci ritroviamo a dover ricordare - anche senza rinfacciare - quale livello record tocchi il nostro contributo fiscale. La nostra obbligazione e il nostro impegno per i beni collettivi sono già ai tetti massimi. È da questo presupposto, da questo punto di partenza che allora dovremmo muoverci - noi e gli amministratori pubblici - per decidere se sia giusto ficcarci le mani in tasca anche per accedere a una strada di montagna o a uno spettacolo naturale. In linea di principio, molti la fanno facile: si paga per entrare agli Uffizi e al Cenacolo di Leonardo, perché non dovremmo pagare anche per goderci la visione del Lago di Cassiglio e del Sassolungo? Andiamoci piano, però, con i facili paralleli. C’è un limite preciso, ci deve essere. Altrimenti arriveremo al punto di trovare equo e logico anche un ticket sull’aria che respiriamo.

Non dimentichiamolo: un certo patrimonio naturale - boschi, pascoli, sentieri, valichi, vedute panoramiche - è di per sé ad azionariato popolare. Cioè di tutti, imprescindibilmente di tutti. Che poi ci siano costi di manutenzione non può cambiare la natura di questo possesso. Per i costi di manutenzione sono già previste le voci del grande salvadanaio pubblico, cui ciascun contribuente concorre ogni anno in misura proporzionale. Ma questi fondi non bastano più, urlano affranti i gestori della grande bellezza collettiva. Benissimo, anzi malissimo. Il problema però non può ricadere di nuovo, come un sadico e perverso automatismo, su chi ha già dato. Su chi una domenica vuole semplicemente usufruire dell’angolo di mondo che ci siamo misteriosamente trovati a portata di mano dall’origine dei tempi.

Fatemi pagare la seggiovia, che è una comodità e un optional, ma non la strada per arrivarci. Chiedetemi se mai un contributo libero e volontario, multatemi se mi muovo come un vandalo, ma non imponetemi per decreto anche la tassa sul creato. C’è una zona verde e azzurra - dove l’anima respira, dove tutto è libero e gratuito per legge naturale - che l’avidità del fisco deve evitare. Se ne stia fuori, giri alla larga. Almeno lì, dove andiamo proprio per dimenticare.


Cristiano Gatti – Corriere della Sera 22 giugno 2015 

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