mercoledì 30 novembre 2016

Il vigile (ex) e il corvo che voleva farsi bianco.


 

 

Lo incontro spesso la mattina mentre porta la sua barboncina bianca a passeggio. Come tutti i cagnolini di piccola taglia è sospettosa e non permette che la si accarezzi, ma ti osserva con lo sguardo curioso annusando il fondo dei pantaloni; sente odore di una concorrente: Cleopatra.

 

Lui, ottantasette anni portati bene, è un ex vigile urbano che abita nelle mie vicinanze. Lo ricordo in divisa, trent'anni orsono, quando frequentavo da Consigliere comunale Palazzo Frizzoni. In seguito, smessa la divisa, svolgeva l'incarico di regolare il passaggio ai crocevia dei bambini diretti a scuola. Ora accompagna la barboncina nel parco vicino casa e, seduto su una panchina, la osserva mentre corre nell'erba sul tappeto di foglie gialle.

 

Mentre cerco inutilmente di accarezzare la bestiolina, scambiamo quattro chiacchiere.

 

Nativo di Trieste, da ragazzo aveva vissuto il periodo dell'occupazione alleata della città. Nel 1949 aveva "varcato il confine" arruolandosi a Udine nell'Esercito Italiano. Dopo la ferma militare aveva svolto qualche lavoretto e successivamente si era trasferito a Bergamo.

 

Nella città lombarda, dopo aver partecipato ad un concorso pubblico, era stato assunto in qualità di Vigile Urbano, impiego che mantenne nei successivi quarant'anni.

 

Mi racconta di quando, da ragazzo, abitava a Trieste in una casa di campagna. Aveva allevato due animaletti selvatici: un corvo e uno scoiattolo.

 

Il corvo, trovato da piccolo, lo nutriva con pane imbevuto nel latte e con le more raccolte sulle siepi. «Il corvo svolazzava per casa» - racconta - «al mattino faceva il suo giretto in campagna o sopra le case del paese, poi tornava a casa per pranzare! Purtroppo fece una brutta fine. Sa come è morto?» - mi chiede - «Scivolando in una vasca di calce viva.  Quella che i contadini utilizzavano da pennellare sulla corteccia degli alberi da frutto per evitare l'assalto dei parassiti.» Poi con celia conclude: «Forse, il corvo, voleva farsi bianco!»

Continua: «Quella vasca, senza alcun riparo attorno, fu anche la causa della morte di un bimbo di poco più di due anni. Cose da pazzi. La stessa fine del mio corvo.» Conclude scuotendo la testa.

 

S'è fatto tardi, un impegno mi attende. Vorrei continuare ad ascoltare i suoi ricordi ma non ho tempo.

Mentre lo saluto, ripromettendomi di continuare la chiacchierata in una prossima occasione, cerco di accarezzare la testolina della barboncina, ma l'impresa è impossibile: arretra e mostra la dentatura come in un sorriso.

 

M'illudo che sia proprio un sorriso di commiato, saluto lei e il suo padrone e vado al mio appuntamento.
 
 
Gallicus
 

venerdì 25 novembre 2016

Santiago


Foto di camminandopermonti.com
 

E’ il mitico mandriano che durante l’estate conduce la mandria ai 1800 metri della baita Zuccone e, in perfetta solitudine, l’accudisce. In verità, proprio solitario no, è sempre accompagnato dai suoi fedeli pastori bergamaschi pronti al suo comando a intervenire in caso di necessità.

Santiago possiede ancora l’abitazione e una stalla a Zambla Bassa, in contrada Vidali, ma in paese si vede solo nei mesi di maggio e giugno prima di transumare allo Zuccone. In inverno si trasferisce, con tutte le sue bestie, a Bossico.

La baita Zuccone è situata proprio sul sentiero che conduce a Camplano, tra le pendici orientali dell’Arera e quelle occidentali del Grem, e passando da quelle parti non puoi fare a meno di salutarlo e scambiare quattro chiacchiere. Così come diventa difficile rifiutare l’offerta di un caffè che immancabilmente ti offre.

Sono gli ultimi pascoli alla base della piramide granitica dell’Arera.

Durante la transumanza da Zambla Bassa allo Zuccone, Santiago, in passato, percorreva il sentiero che dalla Plassa sale alla baita Merlàs, seguito dai muli che trasportavano le provviste. Dopo la costruzione di una strada sterrata, silvo – pastorale collegata a quella che sale al rifugio Capanna 2000, il compito di rifornirsi periodicamente è affidato a un fuoristrada.

Anche i “solitari” beneficiano del progresso.
 

La baita è piccola; entrando, sulla sinistra, il grande paiolo utilizzato per la preparazione dei formaggi, di fronte i fornelli per cuocere le vivande con sopra qualche vecchio armadietto, un lettino sulla destra e alcuni attrezzi appesi alle pareti. La convivenza padrone/cani è evidente.

Ma non è il caso di sofisticare.

Potrà sembrare contraddittorio il suo carattere solitario con l’ospitalità e la cordialità con cui accoglie gli escursionisti che passano e che, con evidente curiosità, “sbirciano” l’interno della baita dall’ingresso sempre aperto.

Santiago con la sua lunga barba e con il tipico copricapo da mandriano è diventato uno dei “miti” dell’Arera.

Parecchi anni orsono fu il protagonista di un lungometraggio dedicato ai malgari che durante la stagione estiva soggiornano negli alti pascoli delle nostre montagne. Il filmato, interpretato di “attori” dilettanti residenti in valle, tra i quali mi piace ricordare Beniamino di Zambla Bassa da poco scomparso, nel tratteggiare l’ambiente e le fatiche dei mandriani ricordava una vera “storia” accaduta: il morso di una vipera e le conseguenze subite da Santiago tra il deliquio e l’incubo. La naturalezza con la quale i valligiani interpretarono il “soggetto” mi lascia, ancor oggi, esterrefatto.

Apro una parentesi per ricordare Beniamino.

Risiedeva a Zambla Bassa nella casa proprio di fronte alla chiesetta di Santa Lucia, ricevuta in eredità dalla sua famiglia; quella in cui erano conservati gli ex voto, oggetto di una mostra nel 2014 presso l’Oratorio della Frazione.
 

Lo incontravo tutte le mattine recandomi ad acquistare il Quotidiano e mi soffermavo con lui, e il suo inseparabile amico Luigi, fratello del Battistì, a commentare i titoli e le notizie riportate. Una consuetudine che si perde nel tempo, da quando soggiorno a Zambla Bassa nel periodo estivo.

Lo scorso anno, a Bergamo, leggendo lo stesso Quotidiano appresi che Beniamino aveva raggiunto altri pascoli, ancor più alti, quelli del cielo. Ne fui addolorato, un altro amico che non avrei più rivisto. E, ancor oggi, passando davanti a quella panca vuota ne sento la mancanza.

Chiusa la triste parentesi del Beniamino e riprendendo il racconto su Santiago, lo ricordo seduto su quegli sgabelli tipici del mungitore (con un’unica gamba centrale) mentre munge in mezzo alla mandria comandando, di volta in volta, ai suoi cani quale mucca scegliere per la successiva mungitura.

Ordine eseguito alla perfezione dai cani dagli occhi bicolori.

Altri mandriani e altre baite esistono nella zona, ma Öl Santiago e la sua baita allo Zuccone sono unici.
Gallicus
 
 

martedì 8 novembre 2016

Il piretro di Valerio

Una domenica pomeriggio

 

Sangalli, Sangalli… sento una voce femminile che mi chiama.

E’ quella di una signora, vecchia villeggiante di Zambla (non si offenda la signora per l’aggettivo, ma indica unicamente l a sua presenza nel luogo di villeggiatura) che con il marito e i nipotini è seduta a un tavolino del Centro Parrocchiale.

I nipotini di Mila, questo il nome della signora che mi chiama, assieme a tanti altri bambini, sono immersi nei giochi dei “gonfiabili” sistemati sul piazzale antistante al Centro.

Mi avvicino e ricevo i complimenti per le mie divagazioni pseudo letterarie che pubblico su Facebook. Mi dice che legge con interesse i miei racconti e si rammarica che i ragazzi del giorno d’oggi ignorino le vecchie tradizioni e non abbiano la fantasia che noi, alla loro età, eravamo costretti a utilizzare per giocare e divertirci.

Il marito dice che stanno leggendo un giallo, di un autore tedesco, ambientato a Milano, zona Piazzale Loreto e dintorni negli anni ’70, e poiché in quella zona hanno vissuto molti anni, si ritrovano nelle descrizioni di quegli anni.

Le prometto di regalarle un libretto “I racconti del nonno”, nel quale ricordo la mia infanzia nel dopoguerra e la vita che gli altri ragazzi della mia età conducevano senza incorrere nelle limitazioni e nei pericoli che oggi sono costretti a subire in nome della “salvezza della specie”.

Si avvicina anche Gabriella, mia moglie, e le “nonne” iniziano una disquisizione sui rispettivi nipoti e sui loro comportamenti scolastici. Nonne che conservano il buon senso dei vecchi tempi e si fidano delle esperienze vissute.

Con la promessa di ritrovarci Gabriella e il sottoscritto, continuiamo la passeggiata lungo la via principale della frazione.

Dopo esserci soffermati con altri amici e conoscenti, in maggioranza nonni e nonne con nipotini al seguito, e aver scambiato convenevoli e le notizie della giornata, incontriamo Valerio che c’invita a visitare la sua stalla e i tre cavalli che li ospita.

Sopra la stalla, Valerio, ha ricavato un locale accogliente, rivestito con perlinatura di legno e con le indispensabili comodità per ricevere gli amici- Preferiamo sederci all’aperto mentre i cavalli si avvicinano alla staccionata chiedendo con sbuffi e soffiate e con gesti del capo molto eloquenti, lo zuccherino di cui sono golosi.

Davanti ad bicchiere di acqua fresca e dissetante (Gabriella preferisce il the), parliamo della Conca e della fatica che un amministratore pubblico deve mettere in conto per mantenere, e possibilmente migliorare, la vita della comunità tra limitazioni finanziarie e personalismi tipici della gente di montagna.

Quanta differenza esiste con il contenuto della novella del Verga titolata “La roba”? Diversa la latitudine ma la psicologia umana è la stessa.

Valerio ci fa notare un bellissimo cespuglio di “piretro” fiorito. Una macchia bianca che i cavalli si guardano bene da toccare. A Gabriella quel nome ricorda una poesia del Carducci, (deformazione professionale), ma è solo un parziale accostamento di termini. (Il termine contenuto nella poesia “Piemonte” del Carducci era “piropo”).

Nell’orto, sotto la stalla, sono maturati gli zucchini e Valerio ce ne offre alcuni con la gioia di Gabriella: domani zucchine trifolate e fiori di zucchino in pastella.

I rintocchi delle campane ci avvertono che sono le diciannove e che gli ospiti, come il pesce, dopo un certo tempo, iniziano a puzzare. E’ tempo di rientrare e preparare la cena e lasciare a Valerio il compito di dare la biada ai suoi impazienti e curiosi cavalli che dall’altra parte della staccionata continuavano a osservarci tra il nervoso scalpitio e gli sbuffi impazienti. Anche per loro è giunta l’ora di cena.

Una leggera brezza ci accompagna mentre facciamo il sentiero a ritroso per tornare a casa.


Una domenica pomeriggio tra amici.

 
  
 

 

 

martedì 1 novembre 2016

La Cattedrale vegetale all'alba

Una magica foto di Gina Gelmini
 
 
Uno dei tanti gioielli della Conca di Oltre il Colle