La "Resistenza" in Valserina

Per non dimenticare

Breve storia dei massacri nazifascisti in Valbrembana contro la Brigata partigiana Giustizia e Libertà “XXIV Maggio”
 
Tra il 25 novembre e il 1 dicembre 1944 la brigata “XXIV Maggio” di Giustizia e Libertà, operante in Val Serina, subì due tragici rastrellamenti a Cornalba e nella zona limitrofa che segnarono per sempre la storia della piccola località. Poco prima dell’alba di sabato 25 novembre 1944 un reparto di una cinquantina di uomini della compagnia di Ordine Pubblico di Bergamo, guidata dal sanguinario comandante, capitano Aldo Resmini, risalì la Val Serina con il preciso obiettivo di sorprendere la “XXIV Maggio” che aveva la sua base a Cornalba.
 
Giunta all’altezza dell’abitato di Rosolo, la colonna, formata da due camion scoperti, muniti di mitragliatrici e mortai e da un’autoblinda, incrociò due autobus di linea che stavano scendendo verso Bergamo. I fascisti fermarono il primo, fecero scendere tutti i passeggeri a mani alzate ed iniziarono a perquisirli. Dopo pochi minuti sopraggiunse il secondo autobus, a bordo del quale si trovavano tre partigiani, due comandati per un servizio ed il terzo sulla via di casa per un permesso. I tre erano Giuseppe Biava, Barnaba Chiesa e Antonio Ferrari.
 
Quest’ultimo, appena si accorse della presenza dei rastrellatori, tentò di fuggire, slanciandosi dal veicolo mentre era ancora in moto; nel salto finì contro il parapetto della strada ferendosi a un ginocchio, ma riuscì ugualmente a scavalcare il muretto e a raggiungere il sottostante avvallamento, qui venne colpito a morte dalle raffiche dei mitra fascisti. Gli altri due vennero subito riconosciuti, uno era in possesso di una pistola, entrambi furono immediatamente giustiziati sul posto.
 
Compiuta la strage, la colonna fascista riprese la marcia verso Cornalba, dividendosi in due gruppi: uno salì a piedi lungo la mulattiera che passa per Passoni, dove fu fermato un abitante che venne costretto a fare da guida ai rastrella tori verso Cornalba. Il grosso proseguì sugli automezzi, giunse a Serina ed effettuò un breve rastrellamento dopodiché proseguì a sua volta per Cornalba.
 
La notizia dell’imminente arrivo dei fascisti mise in allarme i partigiani e i giovani di Cornalba che iniziarono una fuga precipitosa e disordinata verso le pendici dell’Alben. Speravano di trovare via libera sulla sinistra del paese, ma furono bloccati da raffiche d’arma da fuoco del primo gruppo di rastrellatori provenienti da Serina che avevano piazzato una mitraglia su di un prato e una seconda sul campanile della chiesa. Anche coloro che cercavano di scappare sulla destra del paese furono bloccati, perché i fascisti, dopo aver occupato tutto l’abitato, piazzarono almeno due mortai e iniziarono a sparare sui fuggitivi.
 
Proprio con un mortaio venne colpito mortalmente il comandante Giacomo Tiragallo e ferito gravemente un giovane 17enne di Cornalba, Luigi Cornetti, che fu poi finito a colpi di pistola. Intanto, sul lato sinistro del paese, con estrema difficoltà, riparandosi dietro le rocce e sfruttando la nebbia che calava dalla montagna, altri uomini in fuga tentarono di raggiungere i sentieri che conducevano verso la cima del monte Alben, ma furono investiti dalle raffiche di mitraglia che colpirono mortalmente Pietro Cornetti, fratello di Luigi, Battista Mancuso e Giuseppe Maffi.
 
Mentre ancora si sparava in questa zone, non distante dal centro abitato, fu catturato il partigiano Franco Cortinovis che fu portato nella piazza del paese , brevemente interrogato, violentemente picchiato e poi barbaramente ucciso. Verso le 10 iniziò il rastrellamento nei prati, boschetti e cascine sopra il paese dove fu catturato Luigi Maver, che proveniva da Nembro in valle Seriana e poi due giovani di Cornalba, Egidio Bianchi e Luigi Carrara, nascosti in un cunicolo di roccia. Mentre questi stavano per essere interrogati, fu fermato poco lontano Callisto Sguazzi: riconosciuto partigiano fu giustiziato da un tenente fascista.
 
Il paese intanto era in preda al terrore: furono perquisite varie case, si minacciarono distruzioni e stragi, fu fatta saltare la cabina elettrica, poi, verso mezzogiorno, la colonna lasciò Cornalba con i prigionieri Egidio e Giovanni Bianchi e Luigi Maver che si aggiunsero a Lorenzo Carrara, catturato in precedenza a Serina. A Bergamo questi ultimi verranno riconosciuti amici e collaboratori dei partigiani, brutalmente torturati nella caserma dai fascisti e incarcerati a Sant’Agata.
 
Prima di lasciare la Val Serina, Resmini si fermò al Municipio di Algua e minacciò personalmente il podestà e il curato di Trafficanti, prospettando nuove azioni di rastrellamento. Intanto a Cornalba iniziò la pietosa raccolta di cadaveri: le salme furono composte nella camera mortuaria del cimitero. Il 28 novembre, malgrado l’ordine delle autorità fasciste che avevano vietato ogni cerimonia e imposto la fossa comune, il paese tributò l’estremo saluto alle giovani vittime, alla presenza dei partigiani scampati alla strage.
 
Una settimana dopo questi tragici fatti, il 1 dicembre, si ebbe una nuova azione di rastrellamento, condotta da un reparto della Scuola forestale di San Pellegrino che interessò la zona dell’Alben. Gli assalitori raggiunsero la zona da due diverse direzioni: u gruppo si portò a Dossena e da lì si diresse verso Serina, occupando i dintorni del passo della Crocetta, l’altro salì lungo la strada di Ambria. I primi, arrivati in prossimità della Crocetta, vennero notati da tre partigiani che aprirono il fuoco contro di loro, riuscendo a ferire un milite; l’immediata reazione della Forestale causò la morte dell’ex carabiniere Celestino Gervasoni, mentre i suoi due compagni riuscirono a porsi in salvo.
 
Intanto a Serina era arrivato l’altro gruppo di rastrellatori, che si diresse immediatamente verso l’Alben e, come seguendo un piano prestabilito, raggiunse una baita che fungeva da magazzino per i viveri e l’equipaggiamento della “XXIV Maggio”. A guardia della baita Cascinetto stavano cinque partigiani, quattro russi ed il 17enne Mario Ghirlandetti.
 
Nell’attacco rimasero uccisi il Ghirlandetti e i russi Angelo, Carlo e Michele, gravemente ferito, fu catturato e trasportato a Serina dove, in seguito, venne tratto in salvo da alcune persone del paese e poi curato e tenuto nascosto fino alla liberazione in casa di Serafino Cortinovis.


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La “Liberazione” di Bergamo


La prima formazione a entrare in azione fu la XXDIV Maggio, la sera del 24 aprile. Con la brigata c’era Mario Invernicci che, ricevuta la notizia, via radio, che la Prefettura stava per essere occupata in accordo con Manfred Czernin “Manfredi”, maggiore alleato, decise verso sera di dirigersi, dall’alta Val Serina, a valle e di mobilitare anche le altre brigate. 


Gli unici ostacoli erano rappresentati dai presidi fascisti di Zogno e di San Pellegrino.
Invernicci, però, si mosse con molta cautela onde evitare scontri armati, frenando anche i desideri di vendetta che i partigiani covavano nei loro cuori. Ad Ambria la formazione trascorse la notte in un’osteria. All’alba del 25 aprile, il primo treno proveniente da Bergamo fu bloccato per controllare l’eventuale presenza dei fascisti. Intanto Invernicci contattò via telefono il comandante della caserma GNR di Zogno e lo informò che tutto il paese era circondato e che dopo poco tempo si sarebbe presentato per la resa. Lo avvertì, inoltre, che in caso di reazione tutti i militi sarebbero stati passare per le armi. Così dopo non molto, Invernicci, “Manfredi”, “Renato” e “Adriano” si presentarono in caserma, chiedendo la resa incondizionata e la consegna delle armi. Alcuni giovani ufficiali, però, rifiutarono la proposta e puntarono le armi contro la delegazione.
Racconta Invernicci: “Chiamai il comandante della guarnigione a un più realistico senso della situazione, prospettandogli l’inutilità di uno spargimento di sangue. Gli ufficiali continuarono con il loro atteggiamento ostile, suscitando la comprensibile reazione del maggiore “Manfredi”, che, a sua volta, aveva tolto la sicura al suo mitra. Eravamo tutti immersi in un clima di grande tensione: anche il comandante della caserma era dubbioso ed incerto perché non poteva chiedere consiglio ai superiori. I comandi centrali fascisti di Bergamo non rispondevano alle sue chiamate e questo isolamento fece presa anche sui giovani ufficiali e giovò alla nostra causa. Si dimostrò, infine, disponibile, rifiutando tuttavia di rilasciare dichiarazioni per scritto, come sarebbe stato nostro desiderio. Ripiegammo sulla resa incondizionata di fatto, lasciando liberi gli uomini con l’obbligo di consegnare le armi prima di uscire dalla caserma”.
Conclusa l’azione di Zogno si passò a San Pellegrino dove si trovavano almeno un centinaio di brigatisti neri e quasi duecento guardie forestali.
Tra i partigiani la tensione era alta per via del rastrellamento del 1° dicembre, per opera della stessa forestale, che aveva visto cinque caduti nella loro brigata. Fu circondato il paese ed Invernicci e “Manfredi” si presentarono al colonnello Giulio Sacchi, comandante della guardia.
Ancora Invernicci racconta: “Tutto si svolse rapidamente per il fatto che  già era nota la resa della GNR di Zogno. La consegna delle armi avvenne nel cortile della caserma”.
A San Pellegrino alla XXIV Maggio si riunirono la Brigata Cacciatori delle Alpi, provenienti dall’Alta Valle Brembana e i partigiani dell’86° Garibaldi, provenienti dalla Val Taleggio e nel pomeriggio del 25 aprile, liberata la Valle, tutti insieme si diressero a Bergamo sui camion oppure in moto o in auto.
A Pontesecco già si trovava la Vittorio Veneto e qui si riunirono tutte le Brigate partigiane provenienti dalla Valle Brambana.
Tedeschi e Brigate nere occupavano con armi pesanti i dintorni dello stadio e della Morla, dove, tra l’altro, in corrispondenza del ponte, la provinciale era bloccata da un carro armato. Varie mitragliatrici erano sul piazzale  lungo la ferrovia Bergamo – Valtesse e sulle mura della Fara.
Le mitragliatrici colpivano coloro che tentavano di entrare in città , pertanto, la via d’ingresso per le formazioni partigiane provenienti dalla provinciale brembana era bloccata.
Il comando di piazza fu riunito nottetempo a Villa di Serio e nella mattinata del 26 aprile dettò le condizioni di resa per fascisti e tedeschi: consegna nelle caserme di tutte le forze militari fasciste, scarcerazione immediata di tutti i prigionieri politici, consegna al CLN  di tutti gli uffici pubblici.
Al Vescovo, Monsignor Bernareggi, fu affidata la mediazione tra le parti.  Nel pomeriggio, occupata la Prefettura, vi s’insediò nella qualità di nuovo Prefetto, Ezio Zambianchi, eletto dal CLN.Tutt’intorno, però, si continuava a sparare e in viale Roma vi era una lunga fila di carri armati tedeschi con i militari dell’OP.
I membri del CLN comunicarono al capitano Langer le condizioni della resa: questi prese tempo. I nazisti, infatti, volevano arrendersi solo all’esercito alleato, nelle vicinanze della città.
Un altro grosso pericolo era costituito dalle colonne tedesche e fasciste in ritirata. In uno scontro con una di queste colonne a Longuelo, morirono cinque partigiani.
All’alba del 27 aprile una staffetta tedesca consegnò in Prefettura due fogli di resa, agli italiani e agli inglesi. I tedeschi consegnarono le armi e affluirono al campo di concentramento della Grumellina
La città era ormai sotto il controllo completo dei resistenti.


Tratto dal libro “Le montagne di Oltre il Colle teatro delle Resistenza” di Serena Pesenti Gritti Palazzi e pubblicato con il patrocinio del Comune di Oltre il Colle e del Comune di Serina

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I Mongoli a Oltre il Colle


Trascriviamo una testimonianza, raccolta dal ricercatore storico Massimo Maurizio, di un "giovane ottantenne" di Oltre il Colle, ai tempi dei fatti narrati, giovanissimo partigiano.

Nel "45", poche settimane prima della Liberazione, arrivò ad Oltre il Colle una colonna di "Mongoli",  una sessantina di uomini dai lineamenti e dagli sguardi duri.
Erano comunemente chiamati "mongoli" ma, in verità, erano Azeri e caucasici che dopo l'invasione tedesca della Russia si erano schierati con le truppe naziste al comando del generale Vlasov.

Poco prima dell'armistizio alcune centinaia di soldati che avevano trasgredito l'ordine del comando tedesco di dirigersi verso il fronte decisero di disertare, con la collaborazione e la guida di un gruppo di partigiani della Resistenza locale. Erano solo una parte, tra le migliaia allora presenti nella provincia bergamasca, di "mongoli" come erano chiamati dalla popolazione locale colpita dai tratti asiatici di alcuni di essi.

Stanchi, affamati, privi di precisi ordini da parte di pochi ufficiali che li conducevano e che si erano abbandonati  al sonno senza avere approntato un efficiente servizio di guardia, fuggirono e risalendo le vallate bergamasche cercarono di raggiungere la Valtellina e, successivamente, l'Austria dalla quale pensavano di poter tornare nelle loro terre d'origine.

 Erano bene equipaggiati, con divise di color verde oliva, alla guida di diversi carri a quattro ruote trainati da cavalli; uno in particolare con la croce rossa sul tendone, era adibito a farmacia e pronto soccorso. (I carri vennero poi requisiti dai repubblichini di Zogno).
Lasciati i carri a Oltre il Colle raggiunsero Zambla con i cavalli e si accamparono dove oggi sorge il camping.

Mentre i soldati si sparpagliarono a bere ed ubriacarsi tra le varie osterie, i comandanti cercarono contatti con le autorità comunali in cerca di aiuto o asilo. La difficoltà nella comunicazione era tanta. Il "vecchio Parabel" si offrì come interprete conoscendo un po' di tedesco. Ma da Bergamo il comando tedesco fece sapere immediatamente che se i fuggiaschi avessero ricevuto aiuto o asilo avrebbero messo a ferro e fuoco il paese.

L'intenzione era quella di fare terra bruciata attorno a questi disgraziati per poterli attaccare in luoghi adatti ad un agguato. La paura tra la popolazione era tanta. La maggior parte se ne restava chiusa in casa. Qualche giovane partigiano spinto dalla fame e dall'incoscienza della gioventù riuscì a trafugare alcune armi e due cavalli rimasti incustoditi (I cavalli vennero nascosti momentaneamente in quella specie di ricovero che si trova al Passo della Crocetta).

Le armi andarono ad aumentare la dotazione della formazione partigiana, mentre con i soldi ricavati dalla vendita delle bestie vennero saldati i debiti fatti per necessità dalle proprie famiglie, oltre che comperare qualche sacco di farina. Nonostante la brutta fama di questi soldati non si verificò nessun incidente di rilievo.

Il giorno dopo il loro arrivo, valutata la situazione, decisero di partire, si incamminarono su per la Val Vedra e con un collegamento tra le brigate 24 Maggio e Camozzi, che li agganciarono al Passo Brachino, arrivarono a Valgoglio.


Pendughet

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Successe 70 anni orsono: 4 ottobre 1944  - 4 ottobre 2014 

la tragedia del Pezzadello 




Quel giorno era particolarmente umido e nebbioso. 


Nuvole basse coprivano tutte le cime delle nostre montagne. Un aereo B 24 LIBERATOR ( American Air Force) giunto sulla verticale del monte di Zambla cercava un pertugio tra le nuvole dove indovinare i fuochi che i partigiani avevano predisposto sui prati sottostanti.”


Così inizia il racconto che Massimo Maurizio – Pendughet – ha scritto raccogliendo le informazioni dei più anziani abitanti di Oltre il Colle e dintorni.
E continua……..

“Erano all'incirca le 17.00 e il rumore dei motori dell'aereo proveniente dalla Val Seriana aveva messo in allerta i vari gruppi di volontari dislocati lungo le pendici del Monte di Zambla.. Il pilota scopri quasi subito un buco sgombro di nuvole sulle radure proprio sopra un fuoco di avvistamento e diede immediatamente l'ordine di gettare il primo carico che arrivò paracadutato poco lontano da un volontario. Ad un successivo giro non riuscì a vedere più niente. Dal basso i partigiani continuavano a ravvivare i fuochi, ma niente. Quell'aereo proveniva dal sud Italia appena liberata. Roma era stata liberata del giugno del1944 e tutti gli aeroporti in particolare Brindisi servivano per questo genere di azioni. I bombardieri invece provenivano direttamente dal Nord Africa o dalla Francia. Era troppo anche per gli Alleati far caricare di bombe i bombardieri negli aeroporti italiani per bombardare altri italiani. 

Dopo alcuni giri sul monte l'aereo non poteva più restare. Doveva raggiungere altre mete, altri lanci. su altre montagne, forse quelle lecchesi.”


Gli orari degli “appuntamenti” dovevano essere rispettati per non essere identificati dalle truppe nazifasciste e, conseguentemente, con il rischio di ingaggiare battaglia e perdere parte dei rifornimenti ricevuti.
Continua Pendughet…….

“Il pilota decise quindi di riprendere quota e puntò verso ovest-nord-ovest.Un occhio all'altimetro,chiusura dei portelloni di lancio, motori al massimo e ripresa di quota. Ogni aviere ai propri posti con cintura allacciata in attesa del nuovo luogo di lancio.”……………………………………
“Lo schianto fu tremendo! Tre metri sotto il crinale del Pezzadello. Ancora pochi metri di risalita e l'aereo avrebbe superato il colle. 

Un boato infernale si diffuse in tutta la conca. Sorpresi e impauriti i contadini e i valligiani di Zorzone ma soprattutto quelli di Pian Bracca.. Uscirono dalle loro case e dalle loro stalle chiedendosi l'un l'altro cosa poteva essere successo. Si temeva l'inizio di un bombardamento alla laveria o alle miniere. In quel tempo in piena produzione per esigenze belliche questi potevano essere facili bersagli da bombardare. Subito il loro sguardo fu attirato da una lingua di fuoco apparsa sul crinale del Pezzadello. “

Con lo schianto persero la vita
-(dispatcher)   JAMES FERGUSON Piastrina N: 693135 

  da INTERNATIONAL FALLS - MINNESOTA 

-(gunner)        GARRET AUBREY Piastrina n. 38522361

  da MONROE - LOUISIANA 

-(gunner)        SAVAGE CARROLL Piastrina N. 38533909 
  da WHITESBORO - TEXAS 
-(gunner)        CARMACK ISAAC Piastrina n: 36303409 
  da DECATUR - ILLINOIS 
-(radio Op.)     BLACKWELL ARTHUR Piastrina n. 36596980 
  da DETROIT- MICHIGAN - 
- (engineer)     GROCHALA FRANCIS Piastrina N. 32757251 
  da TRENTON - NEW JERSEY

-(bombardier)   BROOKOUT BOB Piastrina N. O-723685 

  da SAN BERNARDINO - CALIFORNIA 

-(navigator)     REIDER IRVING Piastrina N. O-723165 

  da NEW YORK 

-(Co-Pilot)       WILSON JOHN Piastrina N. O-825354 
  da ELMIRA HEIGHTS - NEW YORK 
-(pilot)            SLOAN CHARLES Piastrina N. O - 427013 
  da DUBUQUE - IOWA

Più tre agenti speciali dell'OSS dei quali non conosciamo i nomi. Almeno uno era italiano.
A tutt’oggi nessun monumento, lapide o altra indicazione ricorda quell’episodio tragico della guerra di Liberazione e del sacrificio di tanti giovani che hanno contribuito a renderci liberi dalla tirannia fascista e dall’occupazione nazista.

L’intero episodio è leggibile e scaricabile sul Sito  
http://ultracollem.oltreilcolle.com/index.phpidCategoria=2&idPagina=8&idRicerca=3&idCapitolo=1


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Un breve ricordo di Leopoldo Gasparotto


Chi era Leopoldo Gasparotto

Nato a Milano il 30 dicembre 1902 da Luigi Gasparotto e Maria Biglia, avvocato.

Scalatore, alpinista, autore di prime ascensioni sulle Alpi (gli è dedicata una via sul Monte Rosa), condusse esplorazioni nel Caucaso (1929), dove gli è intitolata una vetta nel massiccio dell’Elbruz, e in Groenlandia (1934). Fu anche Accademico del CAI e appartenne alla scuola militare di alpinismo.
Luminosa figura di antifascista, assieme al padre (ministro nel periodo prefascista poi nuovamente al governo nei primi ministeri democratici) e ad altri tentò di organizzare la difesa di Milano prima dell’8 settembre. Ma il comando militare di quella piazza rifiutò la collaborazione, capitolando poco dopo.
Gasparotto allora salì sui monti lombardi ove diede vita alle prime formazioni partigiane, divenendo comandante delle "Giustizia e Libertà". Eroico combattente del Partito d’Azione, "simbolo vivente di coraggio e risolutezza" (Baccino), fu il maggior collaboratore di Parri. Arrestato a Milano l’11 dicembre 1943, torturato ferocemente a San Vittore e a Verona, inviato al campo di concentramento di Fossoli, vi continuò un’attiva resistenza, fino a che il 21 giugno 1944 venne soppresso dalle SS a Fossoli di Carpi.
Fu insignito di medaglia d’oro al Valor Militare alla Memoria.
Enea Fergnani, che condivise con lui l’internamento a Fossoli, ricorda così il suo assassinio (Enea Fergnani, Un uomo, tre numeri, [Speroni editore, Milano, 1945], Multimage Firenze 2003, pp. 88-89):
"22 giugno. Alle 13.30 Poldo Gasparotto è stato assassinato. Pochi minuti dopo le 13, un inviato entra nella baracca 18 ad informare che il maresciallo (Haage, ndr.) attende Gasparotto alla sede del Comando. Poldo interrompe la colazione, si alza e va diritto verso l’uscita.

Fatti pochi passi fuori dalla baracca, rientra, chiama Brenna e gli consegna un sottile pacco di carte che toglie dai suoi calzoncini. "Tieni – gli dice – Nascondi". E si avvia ancora verso l’uscita in calzoncini e zoccoletti. I più vicini lo seguono con lo sguardo. Qualcuno esce dalla baracca e lo vede proseguire attraverso il cancelletto al di là della rete, soffermarsi un istante dinanzi a un posto di controllo per far annotare il suo numero e procedere verso la baracca del Comando.

 Qualcuno che è in quei pressi osserva che due SS ferme accanto a un’automobile fanno due passi verso di lui, e dopo un brevissimo scambio di parole gli applicano ai polsi le manette. L’autista è al suo posto. Gasparotto e i due sicari armati di mitra salgono sull’automobile che parte seguita da una SS in motocicletta. Uscita dal portone, la macchina volta a sinistra e il rombo del motore in marcia velocissima si perde nella campagna assolata.
Dopo una quindicina di minuti il motociclista rientra al campo, conferisce col maresciallo Haage e riparte. Più tardi fa il suo ingresso al campo un furgoncino dalle cui commettiture cadono sulla polvere stille di sangue.
A San Vittore e a Fossoli, dal 10 dicembre 1943, Poldo, come lo chiamavano tutti, era il simbolo vivente del coraggio, dell’ardimento, della risolutezza. Per la sua fede aveva accettato senza esitazione il rischio, aveva offerto senza esitazione la vita. Egli aveva costretto i manigoldi di Hitler e i venduti di Mussolini a scendere a patti con lui. Egli avrebbe lottato sempre, in città, in montagna, in carcere, a Milano, a Fossoli, ovunque. Pose lui stesso ai suoi nemici il dilemma: o subire la sua lotta o ucciderlo. [...]
Già il nostro animo era profondamente addolorato dalla recente partenza dei compagni. L’improvvisa tragedia ci ha percossi come un segnale di strage. I commenti sono rapidi, brevi, sommessi. I più si impossessano di due notizie vi costruiscono sopra le loro congetture: una lettera recentissima giunta da Verona al comandante di Fossoli ordinava di trattenere Gasparotto al campo; due donne sono state chiamate anch’esse al Comando dopo di lui e non sono tornate alla loro baracca fronteggiante la strada. Io non so con esattezza come questi particolari si ricollegano all’uccisione di Poldo, ma è indubbio che un legame esiste.

Una serie di fatti è certa. Gasparotto era in collegamento con l’esterno per mezzo di due persone alle quali egli, nelle ultime settimane, trasmetteva comunicazioni frequenti. Dell’arrivo di tali persone in prossimità del campo, egli riceveva di solito notizia per mezzo di una donna dal nome straniero e che risulta essere una delle due scomparse. Verso mezzogiorno del 22 egli attendeva, con lo stesso mezzo, notizie sull’esito di un tentativo di liberazione del convoglio partito il 21.

Le due persone con le quali era in collegamento erano da lui ritenute appartenenti al Partito d’Azione e, a suo dire, fidatissime. Gli risultava che erano collegate con partigiani che agivano oltre Verona dove appunto avrebbe dovuto essere tentata la liberazione. È possibile che il filo della trama sia caduto nelle mani della Ghestapo. Indice ad ammettere questa possibilità l’ordine di trattenere Gasparotto a Fossoli mentre quasi tutti i suoi diretti compagni di lotta venivano inclusi nella lista dei deportati, e la sosta di molte ore nella stazione di Carpi del treno che li trasportava."



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Leopoldo Gasparotto: Alpinismo e Resistenza


incontro pubblico con


* Silvano Pesenti e Bruno Marconi
  presentazione della serata
* Ivano Sonzogni
  i Gasparotto e la Val Brembana
* Ruggero Meles
  Leopoldo Gasparotto alpinista e partigiano
* Giuliano Gasparotto
  Leopoldo Gasparotto nel campo di concentramento di Fossoli
* Elena Magnini
  il partigiano Antonio Manzi in Val Brembana
* Pierluigi Gasparotto
  conclusioni


saranno proiettati filmati di scalate di Poldo Gasparotto

Zogno, sala blu dell'oratorio
venerdì 25 maggio 2012, ore 20.45
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Mancano poco alla Marcia Partigiana sul Monte Blum


SOTTO IL SEGNO DELLA SVASTICA: SUGLI ATTI NAZIFASCISTI IN VALLE SERIANA

Innanzitutto è doveroso portare a conoscenza una serie di atti di chiara matrice nazifascista che hanno colpito la Val Seriana e l'Alto Sebino, come già in parte denunciato dal comunicato dell'ANPI.
Ecco un breve elenco, riportando solo i fatti più gravi:

* La bandiera della 53^ Brigata Garibaldi posta al rifugio-museo della Malga Lunga è stata rimossa e strappata; * Il monumento ai 13 Martiri di Lovere è stato imbrattato; * La lapide che ricorda Bortolo Pezzutti, giovane ragazzo deportato e torturato fino alla morte nel lager di Bolzano, è stata incendiata;

* A Rovetta sono stati apposti degli striscioni inneggianti alla RSI, peraltro piuttosto offensivi per gli abitanti di Rovetta.
A questi atti - già abbastanza preoccupanti di per sé - si aggiunge la comparsa di numerose svastiche per la Valle: riportiamo qui le foto della croce uncinata vergata a fianco della piscina di Rovetta e quelle degli adesivi attaccati sulla vetrina di un negozio di proprietà di un ragazzo straniero a Clusone.
Tutte queste sono molto più che singole azioni isolate: sono i frutti che gli organizzatori del raduno nazifascista di Rovetta - quest'anno previsto per il 27 Maggio - raccolgono dopo vent'anni di agibilità che gli è stata concessa o per sottovalutazione o per compiacenza. E non è certo un caso che questi atti siano avvenuti poco dopo la capillare distribuzione del dossier e del dvd che mostrano la vera natura del raduno, smascherando la menzogna della riunione di pacifici anziani venuti a Rovetta per commemorare i commilitoni caduti. Che non siano veramente azioni, queste, avvenute per mano di anziani reduci ma piuttosto di giovani leve dell'estrema destra bergamasca ci pare infine molto più che un'ipotesi.

Non avendo più alcuna necessità di nascondere la propria convinta adesione al nazifascismo, ecco che "i soliti ignoti" si esprimono coerentemente con le proprie idee: danneggiano la memoria di chi ha combattuto per la libertà di questo Paese, si scagliano contro chi è considerato diverso a causa delle proprie origini, non provano pietà per un giovane come Bortolo Pezzutti, consegnato nelle mani del boia di Bolzano solo per aver posseduto una sciarpa con "dettagli rossi".
Di fronte a questi atti rilanciamo con ancora più forza la Marcia Partigiana sul monte Blum il 27 Maggio. Un gesto concreto di dissenso da parte di chi, oggi come allora, combatte contro il nazifascismo!


ROVETTA, 28 APRILE 1948
Rovetta è un piccolo paese della provincia bergamasca: 4000 anime ai piedi della Presolana, in alta Val Seriana.
Dal 1986, ogni anno simpatizzanti e nostalgici camerati provenienti da tutta Italia si riuniscono nel piccolo cimitero del paese per commemorare i miliziani della RSI della Legione Tagliamento fucilati dai partigiani, in quello che nel corso degli anni è diventato uno dei maggiori raduni nazifascisti in Italia.
E come ogni anno si ritroveranno, il 27 Maggio 2012, in una parata di effigi naziste, teste rasate, saluti romani e inni al Duce; il tutto alla luce del sole, tra il silenzio-assenso delle istituzioni e la benedizione del loro prete in camicia nera: Padre Tam.
È proprio questa che si ritrova a Rovetta ogni anno quell'Italia che vuole oltraggiare la memoria di chi ha lottato per la liberazione della nostra terra dalla follia fascista, celebrando come martire una delle più feroci ed efferate squadracce del periodo più buio della storia del nostro Paese.

Quest’anno però non ci si limiterà a ricordare solo i fatti che servono a giustificare l’illegalità delle loro azioni e dei loro valori. Quest’anno la Storia dei fatti che si svolsero a Rovetta quel 28 Aprile del 1948 verrà ricordata con degli Appunti di Resistenza (che trovate nei links), nei quali troverete i protagonisti di allora e di oggi.
L'obiettivo di questo lavoro è quello di mostrare il vero volto che si cela dietro il raduno di Rovetta: un bieco tentativo di mistificazione storica che vuole stravolgere la realtà dei fatti, ma teme di mostrarsi per ciò che in realtà è,  nascondendosi dietro l'apparenza del semplice ricordo di vecchi amici scomparsi.
Quest’anno prima della loro commemorazione si terranno una serie di incontri – dei Percorsi di Resistenza - nei paesi che questa liberazione l’hanno vissuta sulla propria pelle in quei giorni: incontri per non dimenticare, per non farci ingannare, per alzare fiero il nostro grido di Libertà!

I RIBELLI DELLA MONTAGNA
Il percorso dei Ribelli della Montagna nasce da molto lontano. I Ribelli della Montagna sono un gruppo eterogeneo di persone che operano in realtà molto diverse tra di loro. I Ribelli della Montagna vengono da Rovetta ma non solo, vengono da realtà limitrofe e anche lontane e sanno quanto è difficile a volte relazionarsi e "farsi accettare" (o forse farsi capire) dalla "gente della valle". Gente che ha paura o che semplicemente non vuole che nessun estraneo vada "in casa loro".

Gente che teme questi Ribelli esattamente come teme quei fascisti che ogni anno invadono il loro cimitero. Gente che non sa, non ricorda, oppure sa ma non vuole ricordare. L'obiettivo principale del percorso dei Ribelli della Montagna è proprio quello di farsi ascoltare, di dare modo a questa gente di ricordare, di capire, di scegliersi una parte e, nel caso, poter dire la propria, di poter dire, magari "no, voi a Rovetta non potete entrare".
I Ribelli della Montagna hanno l'umiltà però di sapere quanto questo possa essere difficile. Il non essere radicati nel territorio, l'essere sempre e solo un estraneo qualunque, come loro, è la loro debolezza, ma anche la loro forza. La consapevolezza di non doversi nascondere, del poter stare a testa alta ed agire sempre, alla luce del sole.

IL DOSSIER
L'idea del dossier nasce dall'esigenza di rompere la coltre di indifferenza e disinformazione che circonda il raduno di Rovetta.
In poche pagine si è tentato di dare una descrizione il più possibile fedele ed oggettiva di cosa succeda realmente a Rovetta ogni ultima domenica di Maggio da più di vent'anni.
Abbiamo già detto come il raduno sia molto di più di una semplice commemorazione, ma peccheremmo di superficialità se ci fermassimo unicamente alla sua descrizione come di una "semplice" parata di apologi del nazifascismo. Il raduno di Rovetta è un laboratorio politico, una scuola di formazione delle nuove generazioni: i vecchi repubblichini vedono nei giovani camerati coloro che possono raccogliere la bandiera della RSI e portare avanti i "valori" che li hanno animati mentre collaboravano con i nazisti tedeschi.
Per fare questo in tutta tranquillità hanno bisogno di nascondere la vera natura della commemorazione: negli anni sono stati in grado di far passare la versione secondo cui il raduno non sarebbe altro che una pacifica riunione di anziani signori venuti a ricordare i propri amici caduti in guerra.
La diffusione di questa visione distorta è stata aiutata anche dal fatto che le istituzioni preposte ad intervenire sia politicamente che penalmente di fronte ad una palese apologia di fascismo hanno preferito lasciare correre, considerando il raduno come il "minore dei mali". Una contrapposizione, secondo loro, avrebbe portato più problemi che altro.
È anche grazie a questo atteggiamento che negli ultimi anni al raduno di Rovetta partecipano sempre più persone, e sempre più giovani. In contemporanea con la falsificazione della vera natura del raduno viene propagandata una memoria distorta dei fatti di Rovetta: la fucilazione dei repubblichini non è più un atto di guerra, ma una vendetta sanguinosa e barbara operata da feroci partigiani a guerra finita. Anche quest'opera di disinformazione è strumentale ad ottenere agibilità politica per il raduno. Agibilità politica data a revisionisti, storici autoproclamatasi tali da case editrici e mezzi di informazione e politici compiacenti, che ha permesso di far sedimentare la distorsione della memoria fino a farla diventare vulgata corrente.
Il successo di questa campagna di disinformazione è dovuto al fatto che essa è inserita in una più vasta opera revisionista tesa ad attaccare la Resistenza mettendone in primo piano singoli fatti decontestualizzati, perdendone l'impianto complessivo: una popolazione che si è ribellata alla dittatura e di cui si celebrano le gesta ogni 25 Aprile, viene ridotta a pochi manipoli di banditi sanguinari.
Grazie alla distorsione della verità storica gli organizzatori del raduno di Rovetta hanno potuto agire indisturbati e far inserire il paese della Valle Seriana nell'elenco dei luoghi di rilevanza nazionale per i nazifascisti.
Le pagine che leggerete hanno lo scopo di servire da stimolo affinché il raduno di Rovetta non sia più l'occasione perché si faccia apologia e propaganda del nazifascismo. Se da queste pagine nascerà una mobilitazione in grado di impedire che ciò avvenga, sarà il segnale che si è pronti a rispondere alle spinte autoritarie che in questo periodo di crisi economica iniziano a fare capolino in Europa, dall'Ungheria alla Francia, passando per la Germania e l'Inghilterra, fino ai singoli atti di terrorismo eversivo di stampo nazionalista, come gli attentati e l'omicidio di massa ad opera di Breivik in Norvegia.
1200 copie del dossier sono state realizzate e distribuite (con un dvd in allegato) in tutte le cassette postali del territorio del comune della Val Seriana.
Due giorni dopo a Clusone è andato in scena lo spettacolo Mai Morti, con Bebo Storti, al teatro Tomasini e la partecipazione (e l'interesse per il lavoro su Rovetta) è stata molto alta.
La notte successiva qualcuno ha esposto degli striscioni minacciosi nel paese e a Lovere, paese sul Lago d'Iseo a 10 km da Rovetta, delle targhe di Partigiani e vittime della Tagliamento sono state incendiate (vedi rassegna stampa).

I PROSSIMI INCONTRI
Domenica 27 Maggio alle ore 9 (ritrovo dalle ore 8.00 nel piazzale ex cinema Mirage di Clusone)
Marcia partigiana sui sentieri del Monte Blum
Sarà attivo il servizio bus navetta da Bergamo e dal parcheggio di Clusone per il luogo della partenza a Rovetta.
Da qui inizierà la camminata fino alla cima del Monte Blum: in poco tempo raggiungeremo la vetta dove si terranno una serie di iniziative di sensibilizzazione, con musica, cibo e racconti partigiani! A breve nuove info!
In caso di maltempo la Marcia verrà rimandata.

LA MARCIA PARTIGIANA
Il 27 Maggio i Ribelli della Montagna organizzano una Marcia Partigiana sui sentieri del Monte Blum. Ȉ l'ultimo passo dei Percorsi di Resistenza. Una Marcia come punto finale di un lavoro di sensibilizzazione e informazione sul raduno nazifascista che si svolge ogni anno a Rovetta: proprio nel giorno della marcia centinaia di nazifascisti si ritroveranno nel cimitero del paese per celebrare le "gesta" dei repubblichini della legione Tagliamento. Gesta, le loro, che includono torture, incendi di interi paesi della Val Seriana, omicidi e deportazioni.
Una Marcia per ripercorrere i percorsi di chi ha liberato questo paese dal nazifascismo, perchè ogni passo renda più viva e attuale la memoria di chi è stato in grado di ribellarsi all'autoritarismo.
Il percorso: tempo andata ore 1,40 - Ritorno ore 1,15. Si percorre la strada carreggiabile (praticabile con automezzi fuoristrada) che da Rovetta sale in direzione nord. Continuando per il vallone boscoso, ci si porta al di sopra di Gratarolo dove la strada continua a mezza costa, lasciando a destra il bivio per Paré (ore 0,50). Usciti dal bosco, si raggiunge, dopo alcuni tornanti, il colle di Blum (m. 1230 ca.); qui si può salire più direttamente per il sentiero del Bot, che dai prati di Zenier raggiunge la carrozzabile oltre la Cascina Bianca (Itin. 2 -2a). In pochi minuti, per pascoli, si raggiunge l'ampia cima di Blum (m. 1297), ottimo punto panoramico sull' Altipiano e sulla Val Borlezza (ore 0,50 - in totale ore 1,40).
Caratteristiche tecniche: Tempo richiesto: 3 ore circa. Dislivello da superare: 600-650 m circa. Difficoltà : T-E. Pericoli: nessuno, occorre solo attenzione nella discesa della mulattiera della Val Serraia in caso di terreno umido. Riparo in caso di maltempo: alcune baite lungo il percorso e in località Blum. Preparazione fisica richiesta: buona. Consigliata dagli 8 anni in su. Tipo di substrato: calcareo.

Il Monte Blum è "la montagna" di Rovetta: e non potrebbe essere altrimenti, visto che il paese è sorto proprio ai suoi piedi.
In qualunque punto di Rovetta ci si trovi è infatti sufficiente alzare gli occhi al cielo per vederne la cima.
Meta fra le più frequentate dagli escursionisti rovettesi, in quanto palestra ideale per le prime uscite di stagione o per un'abitudinaria passeggiata in montagna, essa è molto apprezzata anche dai numerosi turisti della zona.
Per salire al Blum si possono seguire numerosi sentieri che si intrecciano lungo tutto il monte, costellato da diverse cascine ancor oggi saltuariamente abitate.
C'è però una strada montana, percorribile anche con fuoristrada, che rappresenta la via più utilizzata.
Questa alterna tratti abbastanza impegnativi con altri quasi pianeggianti, così da consentire anche all'escursionista poco allenato di salire senza eccessivi sforzi.
Il primo tratto si snoda lungo un vallone boscoso; da qui si prosegue a mezza costa, con tratti molto dolci che lentamente portano fuori dal bosco. Con un paio di tornanti si giunge ai piedi della cappella degli Alpini. Da qui il panorama è eccezionale: a sud lo sguardo può spaziare su tutto l'altopiano che da Clusone sale fino al Passo della Presolana, oppure spingersi lungo la Valle Borlezza fino al Lago Sebino.

LE ADESIONI
All'iniziativa "Se anche stanotte durasse cent'anni" hanno aderito:
Comitato Amici della Piazza - Cividate al Piano
Collettivo Tanaliberatutt* - Treviglio
csa Pacì Paciana - Bergamo
cs 28 Maggio - Rovato
Giovani Comunisti - Bergamo
Kag - Pisogne
Partigiani in ogni quartiere - Milano
Prc - Bergamo
Radio Onda d'Urto Vallecamonica
Rete Antifascista Bresciana
Zam - Milano
Spazio Underground - Bergamo
Reality Shock - Padova

I COLLEGAMENTI
Il dossier:
http://issuu.com/ribellidellamontagna/docs/rovetta_-_se_anche_stanotte_durasse_cent_anni

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Rinviata la  a causa del maltempo la Visita Guidata sul Sentiero Partigiano Martiri di Cornalba a data da destinarsi.
Carissimi amici, simpatizzanti e tesserati dell’ANPI,   ieri sera abbiamo presentato ed illustrato con successo il Sentiero Partigiano Martiri di Cornalba alla presenza del Sindaco, del Parroco, del Vice Presidente dell'ANPI provinciale, di esponenti della Tavola della Pace, del CAI e dell'ANPI di Valle Brembana e di alcuni cittadini, molto interessati, di Cornalba e limitrofi.  

Gradevole, lucida e commovente è stata la testimonianza della signora Olga Mantovani, allora ostetrica del paese, che a novantatre anni ci ha raccontato dei primi soccorsi prestati con Serafino Cortinovis al partigiano russo georgiano Scialico Giogavaz - sopravvissuto all'attacco del 1° dicembre 1944 dove perirono altri tre partigiani russi e il Ghirlandetti - ferito ad una gamba ed all'aiuto continuo prestato a ebrei, anche partorienti, e altri partigiani in fuga sul territorio rischiando in prima persona anche la fucilazione!  

Il bel sentiero è ora completato con una bacheca storico-naturalistica all'inizio, le frecce direzionali sul percorso e la nuova targa "per non dimenticare" affissa accanto ad un bronzo scultoreo "Madonna con Cristo" voluto, trasportato e messo in opera dal sig. Gritti e figlio sulla Baita Cascinetto.  

Ma qui arriva la brutta notizia: a causa del maltempo previsto per domenica prossima 20 maggio ed alle basse temperature registrate in questi giorni siamo costretti, onde evitare malanni, disagi e pericoli, a rimandare la Visita Guidata sul Sentiero Partigiano Martiri di Cornalba a data da destinarsi.   Scusandoci per l'inconveniente ricordiamo invece che il Viaggio della Memoria al Sacrario della Benedicta in programma per domenica 27 maggio p.v. è confermato sempreché si raggiungano le iscrizioni di almeno 40 partecipanti.

Pertanto vi invitiamo a prenotare entro mercoledi 23 la vostra adesione (vedi sotto).  

Direttivo ANPI - Sezione di Valle Brembana














Presentazione del Sentiero Partigiano “Martiri di Cornalba”

L’ANPI Val Brembana invita alla presentazione del Sentiero Partigiano “Martiri di Cornalba” che si terrà  alle ore 20,30 presso il Comune di Cornalba e alla successiva Visita Guidata che effettueremo Domenica 20 maggio – Ritrovo/Partenza alle ore 8,30/9 presso la cappella-monumento ai caduti partigiani di Cornalba adiacente la parrocchiale e il cimitero con parcheggio (come da programma di seguito).

L’itinerario escursionistico parte da Cornalba (893 m s.l.m.) e si sviluppa su un percorso ad anello, paesaggisticamente notevole e panoramico, della durata totale di 4 ore c.a, sviluppato sui sentieri CAI 502 e 503. La sosta si effettuerà presso la baita Cascinetto (1580 m s.l.m.) a 2 ore c.a dalla partenza. Acqua non disponibile sul percorso.

La sottoscrizione della quota di partecipazione di 5 € comprende il libretto “Sui Sentieri della Libertà”, un marsupio della Tavola della Pace di Valle Brembana, caffè e fetta di torta.

Il pranzo personale al sacco si effettuerà nei prati adiacenti la Baita Cascinetto, luogo dell’uccisione dei partigiani Mario Ghirlandetti, Angelo, Carlo e Michele e del ferimento di Scialico Giogavaz (tutti della Brigata XXIV Maggio di Giustizia e Libertà), durante il rastrellamento fascista del 1° dicembre 1944, dove poseremo una targa “per non dimenticare”.

Direttivo A.N.P.I. – Sezione di Valle Brembana


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La Brigata 24 Maggio e la sua storia


Tra le principali formazioni attive nella Resistenza bergamasca si colloca la brigata GL 24 Maggio, il cui nome rimane legato a due elementi di ben di versa natura: il tragico eccidio di Cornalba e la vivace attività operativa esplicata nel tardo inverno e nella primavera del 1945, fino alla partecipazione in primo piano alla liberazione della Valle Brembana e della stessa città di Bergamo”.

Sulla nascita della formazione esistono pochi documenti, che presentano inoltre varie contraddizioni: incerta la data di costituzione, che viene collocata tra la fine di maggio e gli inizi di agosto del 1944; incerta la. consistenza dei primo nucleo di uomini, da sei e dieci. Vi è invece concordanza sul fatto che quegli uomini erano poco armati e male equipaggiati e sul nome del primo comandante, Giuseppe Baroni “Rossi”.

Una relazione post-insurrezionale così presenta le origini della formazione:
In data 5 maggio 1944 in località Oltre il Colle (Valle Senna) per ordine del Capitano Duzioni Norberto “Cerri, Roberti” venne costituito il primo nucleo della Brigata XXIV Maggio composto da 10 uomini comandata dal Serg. Baroni Giuseppe “Rossi”.

Scopo principale era lo studio della zona per eventuale controllo, ricerca di campi di lancio, ricupero armi e reclutamento valligiani.

Sistemati nelle baite del Monte Menna il piccolo nucleo era continuamente in ricognizione e svolgeva opera di propaganda portando in breve tempo i suoi effettivi ad una trentina di uomini.

Molte volte questo gruppo fu sul punto di sfasciarsi per mancanza di mezzi ma la buona volontà di parecchi elementi ha sempre evitato questo, sopportando con rassegnazione molti critici ed essendo così d’esempio ai pochi tentennanti.
Più circostanziata — trattandosi di una memoria diretta — una recente testimonianza dello stesso Giuseppe Baroni:
A fine maggio 1944, Duzioni Norberto, a conoscenza che volevo fare qualche cosa per la resistenza, mi fissò un appuntamento per sentire se ero disponibile per recarmi ad Oltre il Colle r organizzare una formazione partigiana.
Accettai con entusiasmo l’incarico e le prime istruzioni furono quelle di vedere e studiare possibilità, se la zona si prestava dal punto di vista logistico, alla creazione di una banda arata.
Venne subito dato il nome di “Brigata 24 Maggio” ed a me quello di “Rossi”.
Ai primi di giugno 1944 mi recai pertanto ad Oltre il Colle dove presi contatto con il valligiano Gotti Gino “Gino” che aveva cinque o sei uomini nascosti nella villa Battagion di cui lui a depositano delle chiavi.
Se non vado errato gli uomini erano: Gotti Mario “Mario”, Picenni Mario “Pantera”, Pronzi Giulio “Giulio”, Gamba Antonio “Tonio”, “Milanes”, i fratelli Maurizio Cesare e Carlo Oltre il Colle e Ceroni Casimiro “Miro” (laureando in medicina, pure di Oltre il Colle). Con questi uomini mi portai alla “casta” del Monte Menna, luogo per il momento ideale che perché dominava la vallata e perché l’abitazione di “Gino», ben visibile dalla Casera, Serviva magnificamente per istituire un servizio di collegamento e informazioni a mezzo lenzuola stese in un certo modo sul prato per segnalare “pericolo” o necessità che qualcuno scendesse  in paese per urgenti comunicazioni .
Nell’estate del 1944 la situazione di Senna e della sua valle non era dissimile da quella di parecchi altri centri della media montagna bergamasca ~. Il paese ospitava un numero considerevole di “sfollati”, trasferiti dalla città alla campagna per l'incalzare dei bombardamenti alleati: a Serina si passa alle 156 unità del gennaio 1943 alle 778 del novembre dello stesso anno. Inferiore, ma sempre notevole, la presenza degli “sfollati” nel 1944: sono 14 nell’aprile e ancora 366 nel mese di agosto.

La grande maggioranza proveniva da Milano (molto meno numerosi i trasferimenti da Bergamo e da altre province): si trattava in buona parte di persone che già frequentavano Serina e la sua valle per la villeggiatura estiva e parecchi vi possedevano una Casa propria.
Un altro elemento di cui occorre tener conto per inquadrare le origini e gli sviluppi della Resistenza nella zona è la presenza, sin dal settembre del 1943, i gruppi di ex prigionieri alleati di varie nazionalità, fuggiti dal campo di concentramento della Grumellina — nelle immediate vicinanze della città di Bergamo — all’arrivo dei tedeschi e dispersi per tutta la provincia (il loro numero è imprecisato, ma fonti tedesche lo indicano in circa 2.500), di militari sbandati, a cui si uniscono via via volontari antifascisti e renitenti sbandati di leva della Repubblica di Salò.
La presenza di questi gruppi, in particolare degli ex prigionieri, interessa anche la Valle Senna — dalla quale è possibile raggiungere la Svizzera attraverso la Valtellina — e qui, tra Oltre il Colle e Zambia, un primo gruppo di sbandati e di renitenti si aggrega attorno al capitano degli alpini Aldo Bonetti, istallandosi verso i primi di ottobre al Colle di Zambla, presso il roccolo di proprietà della famiglia Gasparotto (Poldo Gasparotto, stretto collaboratore di Ferruccio Pani, aveva partecipato attivamente all organizzazione della lotta armata anche nel Bergamasco; arrestato, verrà fucilato a Fossoli).

Dopo alcune vicende controverse, che causano critiche al comportamento del capitano Bonetti, a metà ottobre quest’ultimo si allontana dalla zona. Vi subentra Cesare Bonino, che riceve l’incarico di guidare il gruppo di Zambla dal Comitato di liberazione, formatosi a Bergamo subito dopò l’8 settembre e di composizione esclusivamente azionista ~.
Verso là fine di dicembre giunge a Zambia dalla Valle Seriana con un gruppo di quindici partigiani Dante Paci, attivo nell’organizzazione clandestina comunista ancor prima dei quarantacinque giorni.
Nel frattempo Bonino aveva spostato i suoi uomini verso la Vai di Vedro, ritenendola zona più sicura, e il gruppo guidato da Paci prende posizione al roccolo Gasparotto.
Il 15 gennaio un rastrellamento raggiunge il roccolo; nello scontro cade Vaido Eleuterio. Soverchiati dai nazifascisti, Dante Paci e i suoi partigiani vengono catturati (Paci verrà fucilato nel luglio deI 1944).
L’inverno 1943-44 è caratterizzato da gravi difficoltà per l’intera Resistenza, sia per la situazione complessiva di tutta l’Italia occupata (i nazifascisti organizzano. e attuano, duri rastrellamenti; i partigiani sono generalmente poco armati e male equipaggiati), sia per ulteriori problemi di ordine locale (quasi tutti i componenti del primo Comitato di liberazione vengono incarcerati; vengono catturati inoltre parecchi tra i primi organizzatori delle bande armate).
Buona parte di coloro che erano sui monti della Valle Senna riparano nella zona di Oltre il Colle e trovano “rifugio” come lavoratori nelle miniere della SAPEZ.

Nella tarda primavera del 1944, si riprende l’organizzazione della lotta armata e si costituisce — come si è visto — il primo nucleo della brigata 24 maggio. Nello stesso periodo sorge nella zona una formazione di Fiamme verdi,  che assumerà la denominazione di Primo Maggio, comandata da Pier Luigi Guerrieri Gonzaga “Gianni”; in essa confluiscono anche i componenti del gruppo Bonino. La Primo Maggio non svolgeva allora però una vera e propria attività operativa, tanto che molti degli uomini che ne facevano parte continuavano a lavorare nelle miniere ~.
Per quanto riguarda la 24 Maggio, il mese di luglio e di agosto sono dedicati all’organizzazione della formazione, di cui ha nel frattempo assunto il comando il tenente degli alpini Giacomo Tiragallo “Ratti”.

Gli spostamenti del gruppo in questa fase sono così ricostruiti da Luigi Carrara:
Verso la fine di luglio il comandante giudicò più opportuno spostare i suoi uomini sul Monte Alben ma, l’11 agosto, contro la piccola formazione ci fu un primo rastrellamento.
Lo scarso armamento non permise alla formazione di prendere contatto con il nemico e fu costretta a spostarsi nelle stalle del Corone, piccola frazione fra Dossena e Lepreno che domina Serina dall’ovest. Bisognava agire con grande cautela.
I paesi della Valle erano affollatissimi di sfollati e villeggianti tra i quali potevano facilmente nascondersi spie fasciste, inoltre a Senna, dalla fine di luglio al 20 agosto, si stabilì un forte distaccamento della Scuola Allievi Militi Forestali di stanza a San Pellegrino (..).
Verso la fine di agosto ritornarono sull’Alben e si stabilirono nelle diverse baite lasciate libere dai mandriani che, finito l’alpeggio, erano discesi a valle.

Erano una trentina di uomini male equipaggiati, sufficientemente armati.
L’attività operativa rimaneva assai modesta, né si riscontrano vere e proprie azioni militari organizzate e di rilievo. Una relazione post-insurrezionale afferma che nell’agosto del 1944 la brigata compì le seguenti azioni:
1.           Cattura e fucilazione di spie della Valle.
2.           Attacco e sabotaggio di un automezzo della X Mas.
3.           Cattura di tre ufficiali tedeschi e loro fucilazione ~.
I riscontri e le testimonianze, tuttavia, fanno dubitare dell’esattezza di queste notizie (va anche tenuto conto che l’estensore della relazione, il comandante Fortunato Fasana “Renato”, era giunto in zona molto più tardi).
Il sequestro di un motocarro della X Mas, che aveva un reparto distaccato a Selvino, avvenne con buona probabilità alla fine di ottobre e l’azione fu condotta dallo stesso “Renato”, che allora operava però soprattutto con la brigata GL Camozzi della Valle Seriana, anche se all’azione partecipò forse qualche elemento della 24 Maggio. Per quanto riguarda la cattura di tre ufficiali tedeschi e la loro fucilazione — stando almeno a quanto affermato da alcuni documenti — si può ipotizzare che si sia trattato di un’azione isolata, compiuta da uno dei gruppi sparsi nella zona. La prima vera azione militare fu compiuta nel mese di settembre, dopo che dalla brigata Camozzi vennero cedute quattro pistole mitragliatrici, che migliorarono l’armamento della formazione. Si trattò dell’attacco , con un’operazione a sorpresa, della postazione di avvistamento di San Pietro d’Orzio, sopra San Giovanni Bianco. Il bilancio fu di due nemici morti e di due partigiani feriti, ma il bottino non fu prelevato a causa della resistenza opposta dagli avversari.
La formazione, che ormai andava acquistando una sua fisionomia, era collegata con il comando provinciale (JL (di cui era commissario Mario Invernicci “Mario”) tramite il capovalle Mario Colombo “Zani” o “Filippo”, che risiedeva a Zogno. Quest’ultimo, oltrea4 assicurare contatti con il comandante della 24 Maggio “ Ratti” (specie attraverso Pasqualino Carrara, uno dei più audaci collegatori ed organizzatori della Resistenza bergamasca), si occupa anche di un nucleo di partigiani — denominato Mario Maini, dal nome del partigiano caduto in un’imboscata a Zogno in data 18 settembre 1944 — dislocati sui monti sopra Zogno: una quarantina di uomini, che si uniranno alla 24 Maggio nel mese di ottobre.

La formazione è ormai organizzata stabilmente ed è del 28 ottobre la nomina ufficiale di “Ratti” a comandante della 24 Maggio. Nella comunicazione inviatagli da Mario Invernicci tramite “Zani” si legge: “Ti raccomandiamo nuovamente di attenerti a tutte quelle disposizioni generali impartiteti dal nostro comando”. Pare esistere da parte del comando della Divisione Orobica GL una certa preoccupazione che la brigata agisca in maniera scollegata e autonoma rispetto alle direttive.
Scrive il commissario “Mario” a “Zani” il 10 novembre, sempre a proposito della 24 Maggio:
Ti raccomando di essere molto vicino alla formazione e di soddisfare al massimo (s’intende secondo le possibilità) le richieste della stessa.
Intanto ti raccomando comunicazioni giornaliere anche se negative, usando corrieri nuovi e sospendendo momentaneamente gli altri in attesa di un po’ di luce sui ns. compagni fermati
In effetti la brigata rimaneva piuttosto debole sotto il profilo organizzativo (per non parlare del più vasto e complesso problema della carenza di “coscienza politica”, che non riguarda certamente solo una singola formazione e che richiederebbe un ben più ampio discorso), per cui, quando si decise di affrontare il problema dell’autofinanziamento con un colpo al deposito del monopolio di Zogno — che fruttò un notevole quantitativo di tabacco e di sale — si crearono gravi problemi all’interno della formazione  e alcuni partigiani fecero “smercio” privato di quei generi allora preziosi.

Alla vigilia del rastrellamento, la formazione aveva però raggiunto la consistenza ragguardevole di un’ottantina di uomini “armati di 12 sten, 2 fucili mitragliatori, 65 fucili calibro 91, provveduti di circa 15 quintali di viveri, 3 quintali di tabacco, 2 quintali di sale” .
Sull’afflusso degli uomini alla 24 Maggio è lecito tuttavia porsi alcune domande:
Questo afflusso era dovuto a una effettiva capacità di aggregazione del comando Ratti o non piuttosto a una raccolta indiscriminata di fuggiaschi?
Angelo, ispettore delle Brigate Garibaldi, inviato dalla Federazione bergamasca dei PCI a prendere contatto con la XXIV Maggio, trova presso Ratti parecchi partigiani della 53.a che — a suo dire — sarebbero stati convinti a rimanere in Vai Senna dalla falsa notizia dello scioglimento della loro brigata di provenienza, che in realtà era solo ridimensionata.
Sempre Angelo sostiene che la formazione di “Ratti” era di circa 12 uomini, in questo periodo di rastrellamento è diventata di circa 70 uomini tutti armati, fra russi, slavi, cecoslovacchi, francesi, ecc.
 
Il comando della brigata risiedeva a Cornalba, mentre il grosso della formazione era stanziato in diverse baite sul monte Alben.
Il rastrellamento del 25 novembre 1944— non imprevedibile — giunge comunque tragicamente imprevisto.
Verso le ore sette e trenta di sabato 25 novembre 1944 un reparto della compagnia OP di Bergamo, al comando del tristemente noto capitano Aldo Resmini, inizia un rastrellamento in VaI Senna. La colonna, composta da due camion scoperti e da un’autoblinda (circa 50 uomini), risale la valle e appena prima della frazione di Rosolo incrocia e blocca la corriera di linea Zambla - Bergamo. Mentre si compie la perquisizione dei passeggeri, sopraggiunge la seconda corriera, che abitualmente seguiva la prima di pochi minuti. Vengono fermati, riconosciuti ed uccisi sul posto i partigiani Giuseppe Biava, Barnaba Chiesa e Antonio Ferrari.
La colonna fascista si divide in due gruppi: il primo prosegue lungo la provinciale per Senna, il secondo sale attraverso l’abitato di Passoni. Qui è fermato Giovanni Bianchi (abitante in questa località) e costretto a far da guida ai rastrellatori verso Comalba.
E’ chiaro l’intento dei militi di attaccare contemporaneamente da destra e da sinistra chiudendo l’abitato a “sacca”: l’unica via d'uscita è costituita dalle mulattiere che salgono sul monte Alben, che verranno però tenute sotto controllo dalle mitraglie.
Frattanto il primo gruppo di fascisti giunge a Senna ed effettua un breve rastrellamento nella zona centrale del paese: molti uomini e giovani del posto si danno alla fuga e riescono con difficoltà a raggiungere i sentieri nei boschi. Qui viene fermato Lorenzo Carrara che è costretto a salire sul camion militare. Il gruppo dei repubblichini prosegue per Cornalba, ma sbaglia direzione e prende per Valpiana, nella zona detta del “ristoro” si accorge dell’errore e inverte la marcia; ciò consente a diversi altri uomini di fuggire.
Intanto a Cornalba la notizia del rastrellamento giunge attraverso due fonti: una telefonata alla trattoria “della Serafina” è a viva voce, grazie all’avvistamento dei fratelli Luigi e Carlo Carrara, che, usciti di buon mattino per. andare a caccia, scorgono. la colonna fascista sulla strada di Rosolo dalla zona di San Pantaleone.
Il gruppo che sale da Passoni lancia un razzo di segnalazione per dare l’allerta ai camerati provenienti da Senna e immediatamente dopo apre il fuoco con armi leggere.
Inizia una fuga precipitosa e disordinata verso le pendici dell’Alben da parte dei partigiani e di giovani di Cornalba. E’ molto probabile che ds parte partigiana non si risponda minimamente al fuoco nemico.
Ormai anche il primo gruppo di rastrellatori  provenienti da Senna ha raggiunto il piazzale della chiesa parrocchiale di Cornalba. Partigiani e uomini in fuga, che speravano di trovare via libera sulla sinistra del paese, sono bloccati da un fuoco intensissimo: una mitraglia è piazzata su di un prato, una seconda, ancora più micidiale, sul campanile della chiesa. Sorte non migliore aspetta chi cerca scampo verso la destra dell’abitato: i fascisti, che ormai occupano tutto il paese, piazzano almeno due montai e tirano sui fuggitivi, favoriti anche dal fatto che la vegetazione — siamo alla fine di novembre — è completamente spoglia.
Proprio con il mortaio viene colpito mortalmente il comandante “Ratti” e ferito gravemente Gino Cometti (un giovane di Cornalba di appena diciassette anni), che verrà “finito” immediatamente con due colpi di pistola.
Intanto, sul lato sinistro dell’abitato, con estrema difficoltà, riparandosi dietro le rocce e sfruttando la nebbia piovigginosa che cala dalla montagna, altri uomini in fuga raggiungono i sentieri alti e corrono disperatamente verso la cima del monte Alben. In questa fuga cadono mortalmente feriti Pietro Cometti (fratello gemello di Gino), Battista Mancuso e Giuseppe Maffi.
Mentre ancora si spara in questa zona, non distante dal centro abitato, è catturato il partigiano Franco Cortinovis. Portato nella piazza del paese viene sommariamente interrogato, violentemente malmenato e ucciso sul posto dallo stesso Resmini.
Intorno alle ore dieci è dato il “cessate il fuoco”. Inizia ora il rastrellamento nei prati, boschetti e cascine sopra l’abitato: viene subito fatto prigioniero Luigi Maver, che proveniva da Nembro in Valle Seriana. Vengono pure catturati, nascosti in un anfratto di roccia, due giovani di Comalba, Egidio Bianchi e Luigi Carrara; stanno per essere interrogati quando, non lontano, viene fermato Callisto Sguazzi “Peter”. Riconosciuto come partigiano, è immediatamente assassinato da un tenente della OP con due colpi di pistola.
Il paese è nel terrore: vengono perquisite varie case, si minacciano distruzioni e stragi, viene fatta saltare la cabina elettrica.
Alle dodici la colonna lascia Cornalba con i prigionieri Egidio Bianchi, Giovanni Bianchi e Luigi Maver che si aggiungono a Lorenzo Carrara, catturato in precedenza a Senna. Prima di lasciare la Vai Senna, Resmini si ferma al municipio di Bracca, sito in Algua, e minaccia personalmente il podestà e il curato di Trafficanti, prospettando nuove azioni di rastrellamento.
Inizia la pietosa raccolta dei cadaveri a Cornalba e le salme vengono composte nella camera mortuaria del cimitero: è stata vietata ogni cerimonia e imposta la fossa comune.
Pur con la paura di nuove azioni contro la popolazione, vengono fatte costruire delle bare e la commozione e la partecipazione nell’omaggio ai caduti è generale. Martedì 28 novembre si svolge la cerimonia funebre, che è controllata e difesa da un gruppo di partigiani in armi.
Egidio Bianchi, Giovanni Bianchi, Luigi Maver e Lorenzo Carrara vengono riconosciuti amici e collaboratori dei partigiani, selvaggiamente torturati nella caserma della OP a Bergamo e incarcerati a S. Agata (Lorenzo Carrara morirà, causa le torture subite, due anni dopo).
La formazione, dispersa sull’Alben, è faticosamente ricomposta nella zona di Zambia, per iniziativa del nuovo comandante “Renato”.
Sabato i dicembre 1944, quindi esattamente una settimana dopo i fatti di Cornalba, si ebbe una nuova azione di rastrellamento in Senna ad opera dei militi della Guardia forestale che provenivano dalla caserma di San Pellegrino Terme.
In un primo conflitto a fuoco sulla strada che conduce al comune di Dossena, nei pressi del Passo Crocetta, veniva mortalmente ferito il partigiano Celestino Gervasoni.
Un altro gruppo di militi, partendo dall’abitato di Serina, prese la direzione dell’Alben sorprendendo in una baita alcuni partigiani che si stavano preparando a lasciare la zona per raggiungere il resto dei superstiti della brigata. Nell’imboscata morirono tre partigiani di nazionalità russa, “Carlo”, “Michele” e “Angelo”, e un giovanissimo partigiano di appena diciassette anni, Mario Ghirlandetti.
Un altro partigiano russo, “Scialico”, ferito ad una gamba veniva catturato e portato a Senna. Qui, aiutato da alcune persone del paese, trovava rifugio in una abitazione privata fino alla primavera del 1945 e ai giorni della Liberazione.
Il rastrellamento di Cornalba del 25 novembre e quello successivo del i dicembre sul monte Alben, oltre ad aver portato un durissimo colpo alla formazione 24 Maggio (che quasi rischiò di disgregarsi totalmente sia per le perdite subite, sia per il morale dei superstiti), rappresentano anche un punto di svolta nella vita del paese: da quel momento in poi non si vedranno più se non sporadicamente partigiani armati nel centro abitato. La formazione (o meglio, quel che ne rimaneva) sotto la guida del nuovo comandante “Renato”, si trasferì prima in Vai Canale presso la Brigata Camozzi, poi ai Laghi Gemelli dove già operava la banda Secondo Dio Sciatori e infine al Lago Nero dove svernò
Solo agli inizi di febbraio la formazione tornò in Valle Senna, ma questa volta si stanziò sopra Zorzone, con sessanta uomini armati, quattro ufficiali e quattro sottufficiali.
Già dal gennaio 1945 la brigata è impegnata a far fronte ai rastrellamenti e a esplicare, specie dal febbraio alla liberazione, una vivace attività operativa, così riassunta in una relazione:
Gennaio 1945
1)           Rastrellamento ai laghi Gemelli
2)           Imboscata ad un automezzo fascista ai ponte delle Seghe con l’uccisione di 2 ed il feri¬mento di altri 12 (in cooperazione alla Brig. Camozzi)
3)           Attacco a forze nemiche in rastrellamento a Branzi: 2 uccisi e 4 feriti (in collaborazione con i Cacciatori delle Alpi)
Febbraio
1)           Trasferimento in Vai Senna
2)           Attacco su Selvino con disarmo della X Mas e Questura. 2 nemici uccisi più 2 feriti
3)           Attacco ed incendio di un automezzo tedesco a Camerata Cornelio —2 tedeschi uccisi
4)           Disarmo posto di blocco di Torre Boldone 1 nemico ucciso
5)           Fucilazione 3 spie
6)           Rastrellamento del paese di Ranica — i nemico catturato e fucilato Marzo
1)           Azione contro pattuglie in Seivino – Gazzaniga – Vertova – Cespedosio – Ambria - S. Giovan¬ni Bianco - Zogno
2)           Azione contro forze rastrellanti a Monte di Nese
3)           Cattura e fucilazione di 2 spie      -
Aprile
1)           Assalto al presidio di Branzi in aiuto ai Cacciatori delle A4pi —8 nemici uccisi e parecchi feriti
2)           Imboscata a Fondra contro automezzo nemico —10 nemici. uccisi e molti feriti
3)           Azione contro il posto di blocco di Sedrina, fallita per tradimento
4)           Vari disarmi di militari e di fascisti
5)           Azione di disturbo su Anibria, Selvino, Gazzaniga con cattura di un appartenente al¬l’Ufficio Politico della Questura
6)           Disarmo di 85 russi appartenenti alle S.S. tedesche (14)
Nel mese di marzo gli effettivi erano saliti ad ottanta partigiani e ciò consentì alla Brigata di creare tre distaccamenti.
L’efficienza della formazione attirò sempre nuove adesioni, tanto che ai primi di aprile la 24 Maggio raggiunse le duecentocinquanta unità. Così il comandante “Renato” ricorda come in formazione avveniva il necessario addestramento:
Facevamo l’addestramento sui prati: come si procede in terreno scoperto, come si fa la guerriglia in attacco e in difesa, come si piazzano le mitragliatrici, i mortai, come si dirige una squadra sotto il fuoco continuo e d’appoggio: se siamo inventi uomini, dieci avanzano e dieci stanno fermi e sparano; poi gli altri si fermano, sparano, e gli altri avanzano... In ordine sparso... Poi sfruttare al massimo il terreno.., la mimetizzazione... i rudimenti fondamentali del combattimento insomma.
Ma ci voleva anche tanta inventiva. Era necessario fare guerriglia impegnando il meno possibile l’uso delle armi e quindi diventava fondamentale la sorpresa... con la sorpresa l’altro non poteva mai reagire... perché cogliere un nemico di sorpresa ha un doppio effetto e psicologicamente fa un’impressione tre volte di più. E i fascisti non si sentivano più sicuri, non uscivano più dalle caserme...mettevano i sacchetti di sabbia alle entrate, i mattoni alle finestre, avevano paura... paura perché non sapevano quando e come li avremmo colpiti.
I rapporti con la popolazione erano soddisfacenti e la disciplina partigiana intervenne a punire severamente ogni abuso, anche se commesso nei mesi precedenti la riorganizzazione della brigata: in questo periodo venne fucilato il partigiano “Sofia”, che da indagini svolte risultò colpevole di rapine e furti durante la sua appartenenza alla formazione del comandante Ratti.

Il primo aprile venne organizzata la commemorazione dei partigiani caduti nel rastrellamento di Cornalba, come risulta da una lettera,, datata 8 aprile 1945, che fu inviata dal commissario della formazione, Adriano De Vecchi, al Comandante regionale lombardo e al Comandante della Divisione Orobica:
Portiamo a Vostra conoscenza che il 1° aprile u.s. a Cornalba di Serina (Valle Serina), presenti i Commissari di Zona, di Valle e di Brigata, una rappresentanza della Brigata “XXIV Maggio” col proprio comandante ha commemorato nel cimitero del luogo gli undici caduti della formazione stessa trucidati dalla barbarie fascista (OP Resmini) il 25 novembre s.a.

Alla suddetta commemorazione è intervenuta spontaneamente e totalitariamente la popolazione del luogo, dando indubbia prova di fervente solidarietà con la causa per la quale si combatte.
La formazione, dunque, è ormai in grado di controllare tutta la zona:
Gli effettivi della Brigata salirono a centocinquanta i primi di aprile mentre i distaccamenti erano ormai quattro. Le nostre forze erano dislocate lungo la Valle a forma di quadrilatero indipendenti ciascun distaccamento per i servizi logistici ma tuttavia legati ad un piano unico di attacco e difesa in caso di rastrellamento (...).
Si preparò un campo di lancio sull’Alben ma questo si fece attendere fino al 18, giorno in cui arrivò la missione inglese che provvide a richiedere un nuovo lancio. Qualche giorno prima dell’arrivo ed il transito di oltre quattrocentocinque russi fuggiti ai tedeschi dietro nostra propaganda, aveva considerevolmente appesantito lo sforzo logistico. L’armamento però procuratoci con il loro parziale disarmo permise di portare gli effettivi a 200 (...).
Ricevuto un aviolancio di due aerei si organizzò la Brigata in rapporto alle armi ricevute intensificando l’addestramento in vista di azioni di maggior respiro nella Valle Brembana. L’armamento del reparto, frutto del lancio e delle azioni precedenti, era costituito da 4 mortai pesanti, 6 leggeri, 2 pugni corazzati, munizioni per moschetto, 2 mitragliatrici Breda, 8 mitragliatori, quello individuale da moschetti, fucili, bombe a mano, rivoltelle.
Si arriva così al 24 aprile.
Ecco come il comandante “Renato” descrive le fasi salienti della partecipazione della sua formazione alla liberazione:
Il 24 sera la formazione lasciate le sue posizioni in montagna, con un reparto provvedeva ad occupare la stazione di Ambria e la strada. Nel frattempo il Maggiore Manfredi e il Commissario Mario si recava presso il comando della Forestale per la resa senza condizioni di tutte le forze fasciste della valle. La risposta in merito doveva essere data per le ore dieci del 25 aprile. Però alle ore ventidue un reparto della Brigata attaccava il presidio di Zogno e lo catturava al completo (trentadue prigionieri).
Al mattino il Cap. Renato prendeva il comando delle forze dislocate nel fondo valle in attesa del resto della formazione che dovevano raggiungerlo per marciare poi su San Pellegrino. Ma notizie che disordini erano iniziati in paese facevano rompere gli indugi e si procedeva alle otto e trenta alla occupazione di San Pellegrino disarmando il Corpo Forestale e la sua scuola allievi.
Alle ore quattordici tutta la formazione si dirigeva autotrasportata su Bergamo.
Ma all’altezza del Ponte di S. Caterina gli ufficiali ed alcuni patrioti della Brigata, con il Maggiore Manfredi, che avevano preceduta la colonna dovevano arrestare perché ostacolati da un’autoblinda e da un carro armato, e dal fuoco di armi pesanti che dalla Caserma dei Mille e da altre case era stato aperto su loro. Nel combattimento restava ucciso  un tedesco ed uno ferito. -
Nostre perdite, un patriota ucciso e ferito il Commissario Adriano.
La formazione intanto si disponeva a Ponte Sècco in attesa di ordini del Comando Generale di Zona e del risultato delle trattative con il presidio tedesco.
Frattanto un reparto della 24 Maggio si era portato tempestivamente su Città Alta ed attaccava il Comando Tedesco (...).
Il mattino del 26 aprile la Brigata 24 Maggio entrava in città affiancata dalla 56.a Brigata Garibaldi da Borgo S. Caterina e da Borgo Palazzo. Contemporaneamente un reparto di questa Brigata unitamente ai Cacciatori delle Alpi occupava Città Alta e raggiungeva la Prefettura.
Alle ore dieci e trenta tutta la formazione era riunita e messa a disposizione del Comando.
Al di là. dei toni inevitabilmente stereotipati e un po’ trionfalistici, tipici delle relazioni immediatamente successive alla liberazione, si legge tra le righe il legittimo compiacimento per l’efficienza organizzativa e operativa della formazione. Del resto va riconosciuta alla 24 Maggio una capacità d’attrazione che rende questa brigata meno spiccatamente “autoctona” di altre della Resistenza bergamasca e infatti il reclutamento delle forze non avviene esclusivamente nella Valle Senna, zona di stanziamento, ma parecchi partigiani provengono da altri centri delle Valli Seriana e Brembana e della provincia (19)
I rapporti con la popolazione, tuttavia, furono indubbiamente facilitati dalla presenza di tanti partigiani serinesi e furono comunque oggetto di attenta e particolare cura da parte del comando, come ricorda “Renato”:
Soprattutto quello che io insistevo... il rispetto della popolazione.. questa è gente dei nostri paesi, sono i nostri naturali alleati.. Quindi siate sempre rispettosi, entrate nelle case, ma chiedete il permesso... La partecipazione della popolazione fu grandissima... pur con tutta la prudenza che i momenti dettavano... ~.
Il tragico esito del rastrellamento di Cornalba aveva senza dubbio segnato uno spartiacque anche nell’organizzazione della vita partigiana e il ricordo — così drammatico e “vicino” — dei compagni uccisi non mancò di avere un peso determinante per la prosecuzione della lotta nelle condizioni difficilissime dell’inverno 1944-45, fino alle giornate di aprile che, come si è visto, trovarono la 24 Maggio tra le formazioni più combattive e maggiormente impegnate nelle operazioni insurrezionali.