Storia

Fra l’oglio e il serio
 

 
I terremoti attraverso i secoli «Quando la terrà tremò e fece eclissare il sole»
 
Secondo il monaco agostiniano Donato Calvi, a Natale 1222 un sisma provocò a Bergamo il crollo di un centinaio di case e la morte di 800 persone. Disastroso il 1661
Le torri crollate su stradine medievali, i conventi afflosciati sui monaci, le colline franate nel lago d’Iseo sono un’eco lontana del cupo brontolio della terra che trema, ormai coperto dal fragore dei secoli. Ma in periodi in cui i terremoti squarciano l’Italia e da noi ci si spaventa per un lampadario che dondola, bisogna aprire pagine ingiallite per rendersi conto che anche la Bergamasca è stata spesso squassata da disastrose scosse.
Secondo Mario Baratta nel suo «I terremoti d’Italia» (1901) «fra l’Oglio ed il Serio àvvi un centro sismico ben identificato» e «un focolare sismico si trova nei pressi di Treviglio». Infatti da quando vengono registrati i terremoti in Italia (cioè da quello che devastò Verona nel 1117) fino al 1884 ne vengono registrati dodici, fra città, Val Seriana e Bassa. «Non andò la nostra patria dal commun flagello immune, che crudelmente agitata, deplorò nelle proprie percosse la generale infelicità», scrive del sisma veronese il monaco agostiniano bergamasco Donato Calvi nella sua «Effemeride Sagro Profana» che nel 1676 raccoglie molte vicende legate ai terremoti.
È lui che racconta del sisma del Natale del 1222, che provoca ottocento vittime a Bergamo con il crollo di un centinaio di case e di alcune torri: «Insolito, & gagliardissimo terremoto in questo sagro giorno di Natale tutta la Lombardia, & altre parti d’Italia conquassò, & ciò per due settimane intiere, due volte al giorno percuotendo la terra». E poi: il 25 luglio 1249 «scosse terribil terremoto la nostra Patria, apportando alle Case rovine grandissime». Il 17 settembre 1295 «la patria nostra dall’insolito tremare della terra atterrita, et sgomenta l’ultimo precipitio, et rovina attendeva. Terminò in breve corso di poche ore con diversi crolli, havendo nelle case infiniti danni partorito».
 
Altre scosse tornano sotto le festività natalizie. A Santo Stefano del 1397 un terremoto fa crollare alcune case a Bergamo. E 1l Natale del 1347 si scatena un «terremoto terribile con morte di più centinaia di persone», ricostruisce nel 1815 Carlo Facchinetti nelle sue «Notizie patrie», nelle quali peraltro attribuisce i sismi «all’urto violento dell’aria e dell’acqua di cui ripiene si trovano moltissime caverne». Segnala poi che il 16 novembre 1570 «una scossa fece inabissare un monticello a San Martino della Pigrizia con rovina di alcune case».
Particolarmente disastroso il 1661. L’anno inizia male: il 18 gennaio un certo Marchese Clemente (citato in «Historical Seismology» di Mustapha Fréchet) scrive nel suo diario: «Venne un terremoto alquanto gagliardo che fece danno notabile». È la preparazione per lo scossone del 12 marzo: ha epicentro in Valle Seriana e una magnitudo oggi stimata a 5.1.
Padre Calvi annota: «Patria nostra fù da fierissimo terremoto crollata, che cagionò nel territorio moltissimi danni; caduta del Reffettorio de Padri di Montecchio con morte d’alcuni, conquassamento del Convento de Capuccini d’Albino, aperture voraginose della terra, staccamento de Monti dal luogo loro con altre rovine. Fù il terremoto sentito non solo hoggi, ma anco in altri giorni antecedenti, & susseguenti, ma l’hodierno riuscì più de gl’altri spaventoso». Solo otto giorni dopo la terra trema sul lago d’Iseo. Padre Calvi parla di «picciol terremoto». Ma molto «picciol» non dev’essere, visto che fa crollare una collina e semina il terrore: a «Castre cadè da un monte mezzo miglio discorso dal vicino lago tanto vasto pezzo di rupe sassosa che causò più gran rumore di qual si voglia fiero tuono. Si posero i popoli di Castre in fuga, quelli di Lovere, Pisogni, & altre terre alla gran furia del lago atterriti rimasto & il rumore dell’aqua, fù per diciotto miglia sentito. Si sconvolsero de pescatori le barche, & molti, ne rimasero affogati sembrando volesse il mondo tutto subissare». L’onda, annota la famiglia bresciana Bianchi «si porta verso la riva opposta, che rese a quelle terre molto terrore». Non solo: per padre Calvi durante le scosse «s’ecclissò alle 18 Hore il sole, così durando per quasi quattro». Ma su quello stava esagerando
di Fabio Paravisi
Il Corriere della Sera - Milano, 23 gennaio 2017
 
 
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Anniversario dell'eccidio di Cantiglio


 

L'appuntamento è per domani alle ore 8 in località Ponte del Becco, dove si prende il sentiero che porta a Cantiglio (Val Taleggio). L’occasione è la celebrazione del 73° anniversario dell’eccidio, dove nella notte tra il 3 e il 4 dicembre 1943, ebbe luogo uno dei primi rastrellamenti nazifascisti nella nostra provincia. La banda partigiana che si stava organizzando a Cantiglio venne sorpresa. Furono uccisi tre partigiani: Giorgio Issel, ebreo, imparentato con la famiglia Cima di San Giovanni Bianco, il sangiovannese Evaristo Galizzi e il pilota dell’aviazione francese Marcel Jabin.
 
La storia dei partigiani di Cantiglio:
 

Tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre del 1943 a Cantiglio, un gruppo di cascine abitate solo d’estate ai piedi del Cancervo, si era costituita una banda partigiana. Ne era comandante il maggiore "Enzo", Vincenzo Aulisio, originario di Foggia e giornalista a Milano, amico di Ferruccio Parri e dirigente di Giustizia e Libertà. Aulisio è un uomo limpido e dai saldi ideali (finirà ucciso a badilate in un lager tedesco), ma non ha la stoffa del capo. La personalità dominante della formazione diventa così ben presto quella di Giorgio Issel, ex sottotenente di artiglieria già facente parte della "Genova bene", dotato di notevole cultura e soprattutto delle capacità di comando necessarie per dare una prima organizzazione ad alcune decine di uomini di diversa origine e mentalità. Issel, ebreo nato nel 1919, era imparentato con la famiglia Cima di San Giovanni Bianco. All’indomani dell’8 settembre aveva scelto la strada della resistenza attiva entrando a far parte del gruppo Carenini che operava nel Lecchese.
 
Disperso questo gruppo, nel rastrellamento del 18 ottobre, aveva raggiunto, con alcuni compagni la Valle Brembana, scegliendo appunto Cantiglio per ricostituire la formazione, incoraggiato in questo anche dalla vicinanza e dall’aiuto della famiglia Cima. Del gruppo facevano parte numerosi altri elementi che ritroveremo nelle vicende della Resistenza bergamasca: Penna Nera, Guglielmo, i fratelli Angiolino e Valentino Quarenghi e Gastone Nulli, un ex tenente del controspionaggio che diverrà comandante della 86^ Brigata Garibaldi e soprattutto il personaggio più discusso delle vicende resistenziali in Valle Brembana. C’erano poi alcuni ex prigionieri neozelandesi, greci, francesi, inglesi e jugoslavi e una decina di giovani di San Giovanni Bianco.
 
L’armamento consisteva in vecchi fucili mod. 91 e un mitragliatore tipo Breda e assai scarse erano anche le munizioni. L’esistenza della banda non era naturalmente passata inosservata. Già a fine ottobre il Segretario del fascio di San Giovanni Bianco Carlo Galiberti ne avevainformato la Federazione fascista di Bergamo. Ci fu inoltre un delatore, Luigi Viligiardi, uno sfollato milanese che si era stabilito alla Costa San Gallo il quale, dietro compenso denunciò alla Kommandantur di Bergamo Issel e compagni. Costui verrà poi fucilato alla fine della guerra davanti al cimitero di San Giovanni Bianco. A fine novembre dunque messi sull’avviso che si stava organizzando un’operazione di rastrellamnento, la maggior parte dei componenti della banda decise di abbandonare Cantiglio, rifugiandosi sul Cancervo e in Valle Taleggio. A Cantiglio era rimasto solo un piccolo presidio capitanato da Issel che aveva ritenuto improbabile un rastrellamento a breve scadenza, vista l’abbondante nevicata che era caduta in quei giorni rendendo assai disagevoli gli spostamenti in quella zona impervia. Così invece non fu.
 
La notte tra il 3 e il 4 dicembre un centinaio di militi fascisti e una cinquantina di SS tedesche, al comando del capitano Bussolt, prendono d’assalto Cantiglio da tre diverse direzioni. Una squadra sale dalla mulattiera che proviene dal Ponte del Becco, un secondo gruppo parte dall’Orrido della Val Taleggio, i più numerosi salgono dalla Pianca dove svegliano il parroco don Ugo Gerosa che era in contatto con i partigiani e, sotto la minaccia delle armi, lo costringono a far loro da guida verso Cantiglio assieme a due ragazzi, i cugini Giovanni e Guido Dogadi.
 
"Ero di turno alla seconda centrale - racconta Giovanni Dogadi - quando un gruppo di tedeschi armati, dopo aver scavalcalo il cancello, si mise a bussare con forza al portone. Aprii e i tedeschi mi intimarono di seguirli per far loro strada verso Cantiglio. Non mi lasciarono nemmeno il tempo di mettermi gli scarponi e dovetti uscire con gli zoccoli. Fatti pochi passi lungo il ripido e sconnesso sentiero coperto di neve, gli zoccoli si ruppero e fui costretto a proseguire a piedi nudi, con continui scivoloni. Arrivati ai prati di Cantiglio, mi fu ordinato di tornare indietro, cosa che feci di corsa. Lungo la discesa, tra uno scivolone e l’altro, mi giunse l’eco dei colpi di mitraglia che si sparavano a Cantiglio”
 
"Nevicava a dirotto - racconta dal canto suo don Ugo Gerosa - ed erano circa le tre di notte. La neve rendeva arduo il cammino. Legato con una corda perché non potessi fuggire, cercai con ogni mezzo di dare qualche segnale ai partigiani del nostro arrivo. Già prima, dalla mia canonica, mentre stavano arrivando i fascisti, avevo acceso ripetutamente la luce, malgrado l’oscuramento, nella speranza che qualcuno se ne avvedesse e sospettasse che c’era in corso questa azione. Anche lungo la strada cercai di mettere sull’avviso i partigiani accendendo, col pretesto di fumare, numerosi fiammiferi. Ma tutto fu inutile. Arrivati all’inizio dei prati che si distendono sotto il nucleo delle cascine di Cantiglio, venni liberato e costretto a tornarmene a casa. Così mi fu impossibile fare altri tentativi per avvertire quei poveri sventurati che credo stessero dormendo"
 
E sicuramente era così. Colti di sorpresa, i partigiani iniziano un disperato tentativo di resistenza, ma ben presto sono sopraffatti dalle soverchianti forze nemiche. Sorpresi con le armi in pugno, vengono trucidati lssel, il francese Raimond Marcel Jabin e il sangiovannese Evaristo Galizzi. Gli altri riuscirono a stento a mettersi in salvo, mentre quattro partigiani, catturati e non trovati in possesso di armi, furono risparmiati, per finire poi in un campo di concentramento tedesco. Jabin, maresciallo aviatore di Fontainebleau, gollista, era un evaso dalla Grumellina e aveva trovato rifugio in un primo momento a Villa d’Almé presso Dami e Mazzolà, unendosi al gruppo di lssel dopo un rastrellamento. Evaristo Galizzi, nato a San Giovanni Bianco nel 1922, era uno dei tanti che avevano preferito la clandestinità piuttosto che entrare nell’esercito della Repubblica Sociale.
 
 Prima di tornare a valle, i rastrellatori saccheggiarono e incendiarono poi tutte le baite e la chiesetta della piccola frazione. L’operazione si concluse nel primo pomeriggio di quel 4 dicembre. Il giorno dopo il messo comunale di Taleggio, Abramo Bellaviti, salito a Cantiglio per ordine dei carabinieri, vi trovò il corpo dei tre partigiani, abbandonati sopra un mucchio di ghiaia. Erano crivellati di pallottole e Jabin aveva il ventre squarciato ed il volto segnato da colpi di pugnale. I tre caduti vennero portati a Pizzino con l’aiuto dei compagni superstiti e là furono sepolti tre giorni dopo, di notte, senza alcuna cerimonia. I solenni funerali avvennero solo dopo la Liberazione.
 
Ai tre caduti di Cantiglio è dedicata la piazza principale di San Giovanni Bianco.
 
Tratto da http://www.sentieriorobici.it/escursioni-estive-/2014/06072014-pianca---cantiglio/

 
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Beppe Marcarini, dai campi da calcio ai lager:
storia di un sogno nerazzurro spezzato





L’operaio della Dalmine nato nel 1922 ricordato allo stadio prima di Atalanta-Sassuolo. I coetanei: «Sapeva giocare bene ». Tornò dalle miniere in Polonia, debilitato, facendosi accompagnare al campo per sedersi su una sedia e guardare le partite. Morì nel 1946

Correva sui campi da calcio di Curnasco, da bambino. Erano gli anni in cui a Bergamo si costruiva il Brumana. E lui, Beppino, aveva un sogno: giocare nell’Atalanta. Si chiamava Giuseppe Marcarini, nato a Treviolo nel 1922: di lui hanno parlato più coetanei in un filmato realizzato degli studenti del Natta, ricordandolo come uno che con il pallone ci sapeva fare, uno che aveva classe e sapeva stare in campo. Fino alla chiamata alle armi, nel 1940, e l’arrivo sul fronte di Trieste.
Ma anche lì aveva tentato di non abbandonare la sua passione per il calcio. Almeno fino all’8 settembre del 1943 e la renitenza alla leva della Repubblica Sociale Italiana. Beppino, così lo chiamavano, fu fatto prigioniero dai tedeschi, nei campi di lavoro in Polonia, in miniera, dove aveva scritto anche un diario tra le righe di un libro di scienze che trattava come un tesoro segreto. Tornato a Treviolo nel 1945, era libero, ma non più in grado di reggersi in piedi, e aveva continuato a coltivare la sua passione per il calcio facendosi accompagnare su una sedia vicino al campo di Curnasco, a vedere le partite. Fino a quando le forze lo abbandonarono del tutto: morì nel 1946.
Una storia di vita nel dramma della Seconda Guerra Mondiale e della follia nazifascista. Sabato allo stadio, all’inizio di Atalanta-Sassuolo, il club nerazzurro ha rinunciato a 20 secondi di spazio pubblicitario video a bordo campo, proiettando spezzoni del filmato curato dagli studenti del Natta su Marcarini. Uno «spot» per la memoria accolto dalla società e voluto dall’Istituto per la Storia della Resistenza, dal Comune, dalla Uisp e dalla Lega Calcio
Armando Di Landro
Tratto dal Corriere della Sera di lunedì 1 febbraio 2016
 
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Il 27 gennaio e la memoria.





Oggi, 27 gennaio, si commemora il "Giorno della Memoria". . È stato così designato dalla risoluzione 60/7 dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1º novembre 2005, durante la 42ª riunione plenaria.  La risoluzione fu preceduta da una sessione speciale tenuta il 24 gennaio 2005 durante la quale l'Assemblea generale delle Nazioni Unite celebrò il sessantesimo anniversario della liberazione dei campi di concentramento nazisti e la fine dell'Olocausto.


Questa giornata, nella quale commemoriamo la liberazione del campo di concentramento di Auschwitz da parte dell'Armata Rossa, non può e non deve essere una mera celebrazione di una data bensì il ricordo e la testimonianza, purtroppo sempre meno numerosa di sopravvissuti, di una tragedia che ricorda altre e più recenti, vissute dalla nostra generazione.

Senza sottovalutare l'importanza della Shoah e di coloro che la subirono, quanti altri "olocausti" si sono verificati successivamente nel mondo. Quante altre tragedie hanno coinvolto persone, donne, uomini, bambini, nel nome di un'ideologia terrificante.
 E nemmeno scomodare la "Storia", o meglio la cronaca degli ultimi cinquant'anni, ne possiamo contare a decine senza che le Nazioni Unite, ovvero il massimo consesso mondiale, ne abbia preso atto e condannato, con altrettanto vigore, le atrocità commesse.
 Ripeto, e non ci si meravigli se lo ricordo in questo giorno, l'atrocità dell'uomo non ha paragoni, sotto qualsiasi forma e sotto qualsiasi ideale: etnico, religioso, ideologico. Sotto queste assurde e ambigue  giustificazioni ancor oggi assistiamo a intere popolazioni costrette a subirne le conseguenze morale e materiali.
 Nessuna "crociata" le può e le deve giustificare. Ribellarci ricordando e trasmettendo alle future generazioni la testimonianza e il ricordo di tutto questo deve essere il primo dovere di tutti noi, ormai generazione passata, ai nostri figli e nipoti.
Per non dimenticare, mai !
Gallicus
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Storie di Ebrei bergamaschi perseguitati

Quinta ed ultima parte

 


La banalità del male



Per la cattura degli ebrei bergamaschi è stato determinante l'apporto della burocrazia e delle milizie locali. Quella israelita non era infatti una comunità concentrata, ma era formata da piccoli nuclei sparsi nei vari paesi della provincia, la cui presenza poteva essere individuata solo con la collaborazioni delle autorità italiane. A Bergamo la cattura degli ebrei è stata opera quasi esclusiva di forze della Repubblica sociale italiana e non di soldati tedeschi: dei 44 catturati,  solo 3 sono catturati da tedeschi, mentre per 6 non vi è notizia certa dell’agente di cattura.

Accanto ai nomi di tanti concittadini che aiutarono la comunità ebraica di Bergamo, mettendo a rischio anche la propria incolumità,  si devono purtroppo registrare anche tanti episodi di delazione e di fattiva collaborazione per la solerte applicazione delle leggi razziali e per la cattura deportati da Bergamo. Fra i personaggi più tragicamente attivi nella divulgazione dell’odio antisemita e nella cattura degli ebrei si ricorda il sottotenente della Guardia  Nazionale Repubblicana Alessandro Ghisleni, nato a Bergamo il 9 settembre 1902, iscritto al PNF. Con la qualifica di squadrista e sciarpa littorio, fra i primi ad aderire al Partito Fascista Repubblicano il 4 ottobre 1943, è membro del triunvirato che organizza la prima struttura del Pfr. a Bergamo, nella GNR, è addetto all’Ufficio politico; al termine della guerra, il 16 maggio 1945, viene arrestato e processato; il 25 agosto 1945 verrà condannato a 24 anni di reclusione, sentenza annullata dalla Corte di cassazione il 8 gennaio 1947 con rinvio della causa al Tribunale di Brescia; emigrato in Argentina nel 1950, rientra a Bergamo nel 1956. Muore  a Nateroi (Brasile) il 20 marzo 1966

Così scriveva su “Bergamo Repubblicana” il 30 novembre 1943:

“Ebbene signori è ora di finirla! Così come è ora di finirla con gli ebrei.. La guerra l’hanno scatenata loro. Loro l’hanno voluta così come è detto nei Protocolli dei Savi di Sion (e a chi non li ha letti consigliamo di prenderne visione). Sono sempre stati i nostri nemici e ancor più lo sono oggi con la costituzione della Repubblica Sociale. E che aspettiamo a trattarli come tali? Aspettiamo forse che dopo aver nascosti e murati i loro tesori – lasciati in custodia ai servizievoli gentili – se la svignino nella ospitale Svizzera e da là continuino la loro nefanda campagna contro di noi? Basta con le parole. I fatti vogliamo, per il bene di tutti, per la salvezza della Patria” .

Il 30 maggio 1944 Ghisleni era al comando dei militi della Guardia Nazionale repubblicana (GNR)  che effettuano la retata all’istituto Palazzolo, dove avevano trovato rifugio alcuni ebrei nascosti da un parroco,  Don Tranquillo Dalla Vecchia, attivo membro della Resistenza che sarà poi arrestato e incarcerato a Milano.

All’origine della retata una delazione: un ricoverato a carico dell'Istituto nazionale fascista assicurazione infortuni sul lavoro (Infail) si era lamentato per iscritto presso il predetto Istituto perché gli ebrei nascosti presso l’Istituto Palazzolo erano trattati meglio di lui; l’Infail ha passato la segnalazione alla Prefettura che l’ha inoltrata al Servizio politico della Federazione fascista di Bergamo. I militi si presentano alle porte dell’Istituto il 30 maggio 1944 cercando gli ebrei di cui il delatore ha fatto i nomi: Colli, Tollentino e Piccini.

Alla fine furono 6 gli arrestati: i tre fratelli Vittorio, Mario e Guido  Nacamulli, Gustavo Corrado Coen Pirani,  Oscar Tollentini, Giuseppe Weinstein.

Tutti vengono interrogati a lungo, le versioni fornite dai tre fratelli Nacamulli sono evidentemente concordate: nessuno accenna alla madre o alle sorelle, mentre del padre dicono che ormai dovrebbe essere espatriato.

I tre fratelli verranno tradotti prima al carcere di Milano, poi al campo di concentramento di Bolzano e da lì il 24 ottobre 1944 deportati ad Auschwitz, dove Vittorio muore in conseguenza dei patimenti subiti il 28 gennaio 1945, quando il campo era ormai stato liberato; Mario e Guido dovranno invece affrontare la infernale marcia di trasferimento fino a Buchenwald, dove moriranno rispettivamente il 27 febbraio 1945 e il 3 marzo 1945.
 Oscar Tollentini era un maestro di canto, nel suo verbale di interrogatorio la frase di rito “il quale interrogato risponde” è sostituita da “il quale opportunamente interrogato dichiara quanto segue”, il che fa supporre il ricorso a metodi violenti. Si può notare, inoltre, che è l’unico che non riporta l’ora dell’interrogatorio, e che l’interrogato muore prima della deportazione: tradotto nel carcere di Milano, vi trova la morte in stato di detenzione il 16 agosto 1944.

Giuseppe Weinstein  avrebbe potuto salvarsi: è stato fatto fuggire dal parroco, che è stato arrestato e trattenuto in ostaggio in sua vece; saputolo, ha preferito  consegnarsi, ottenendo così il rilascio di don Dalla Vecchia.
La cattura è solo l’inizio della sua odissea, verrà tradotto al carcere di Milano, e poi, il 7 settembre 1944, al campo di concentramento di Bolzano; da lì il 24 ottobre 1944 verrà deportato a Auschwitz. Sarà ucciso all’arrivo il 28 ottobre 1944.

Gustavo Corrado Coen Pirani viene tradotto al carcere di Milano e successivamente, il 7 settembre 1944, al campo di concentramento di Bolzano, viene deportato  il 24 ottobre 1944 a Auschwitz, dove é ucciso all’arrivo, il 28 ottobre 1944.
 

Sono 44 gli ebrei arrestati a Bergamo e provincia, Dei 44 deportati, 7 sono ultra sessantenni, 5 hanno meno di 18 anni, fra loro due bambini di 3 e 7 anni.
Riportiamo qui i loro nomi, aggiungendovi anche i 3 componenti della famiglia del direttore dell’ospedale psichiatrico, dottor Giuseppe Muggia, censita come ebraica a Bergamo ma arrestata a Venezia, e i 4 componenti della famiglia Piperno, censita nel 1938 a Scanzorosciate e tornata a Milano nel 1941
L’elenco quindi comprende 51 nominativi, di questi solo 3 si sono salvati da un destino atroce.

1          AGASTEIN CHARLIEL PERLA nata a Horodenka (Polonia) i1 2/03/1904

2          AGASTEIN STOLZBERG CZAMA nato a Horodenka (Polonia) il 05/07/1900

3          IDA EUGENIA CANTONI nata a Este (Ferrara) il 24 marzo 1891, figlia di Giulio ed Eugenia Mortara, coniugata con Tito Finzi. Ultima residenza nota: Milano. Arrestata a Calolziocorte nell'ottobre del 43 da italiani. Detenuta nel carcere di Bergamo e nel campo di Fossoli.Deportata da Fossoli ad Auschwitz il 5 aprile1944. Uccisa all'arrivo ad Auschwitz il 10 aprile 1944. Fonte Ia, convoglio 09.

4          ELENA  COEN nata a Milano il 25 gennaio 1893, figlia di Marco e Ida Finzi. Arrestata a Bergamo nel marzo 1944 da italiani. Detenuta nel carcere di Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportata ad Auschwitz il 16 maggio 1944. Deceduta in data e luogo ignoti. Fonte la, convoglio 10

5          GUSTAVO COEN PIRANI nato a Pisa il 19 maggio 1885, figlio di Achille e Clotilde Di Veroli,.Ultima residenza nota: Genova. Arrestato a Torre Bordone il 30 maggio 1944. Detenuto nel carcere di Bergamo, in quello di Mlilano e nel campo di Bolzano. Deportato da Bolzano il 24 agosto  1944. Ucciso all'arrivo ad Auschwitz il 28 ottobre. Fonte Ib, convoglio 18.

6          TITO FINZI nato a Milano il 5 settembre 1881, figlio di Paolo Fausto  ed Erica Guastalla, coniugato con Ida Cantoni. Ultima residenza nota:Milano. Arrestato a Calolziocorte il primo febbraio 1943, trasferito nel carcere di Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportato da Fossoli il 5 aprile 1944. Ucciso all'arrivo a Auschwitz  nell’aprìle 1944. Fonte la, convoglio 09.

7          ERMANNO FONTANELLA nato a Parma il 12 gennaio 1906, da Ciro e Jole Tedeschi, ultima residenza nota: Milano. Arrestato a oltre il Colle il 22 ottobre 1943 da tedeschi. Detenuto  a Milano e nel campo di Fossoli. Deportato  a Auschwitz il 2 agosto 1944. Deceduto in evacuazione da Auschwitz  il 19 gennaio 1945. Fonte la, convoglio 14.

 8          ANNA MARIA GOTTLIEB nata a Budapest (Ungheria) il 29 filgia di Alberto e Margherita Frommer. Ultima re…-Hume. Arrestata a Bergamo il (...) da italiani. Detenuta a Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportata ad Auschwitz il 5 aprile 1944. Liberata ad Auschwitz.

 9          CLARA GUTTENTAG nata a Nagykanisza (Ungheria) il 14 gennaio 1877, figlia di Ignazio e Veronica Fischer. Ultima residenza nota: Fiume. Arrestata a Bergamo nel giugno 1944. Deportata ad Auschwitz. Uccisa all'arrivo ad Auschwitz.

 10        ELISABETTA HAFTER nata a Brno (Cecoslovacchia) il 10 ottobre 1908, figlia di Hermann e Amalia Gruenwaid, coniugata con Bernardino Zenger. Ùltima residenza nota:'Cosenza. Arrestata in provincia di Bergamo da italiani. Detenuta nel carcere di Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportata da Fossoli ad Auschwitz il 5 aprile 1944. Deceduta in luogo e data ignoti. Fonte 1a, convoglio 09.

 11        REGINA HAZAN nata a Smime (Turchia) il 20 dicembre 1905, figlia di Jacob e Sarà Margounato, coniugata con Alberto Levi. Ultima residenza nota: Milano. Arrestata a- Trescore nel febbraio 1944 da italiani. Detenuta nel carcere di Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportata il 5 aprile 1944 ad Auschwitz. Deceduta in luogo e data ignoti. Fonte la, convoglio 09.

 12        LEOPOLDA KOSICEK nata a Ksnova (Cecoslovacchia), figlia di Joan e Hanna Weingartner, coniugata con Erwin Schrecker. Arrestata a S. Giovanni Bianco da italiani. Detenuta nel carcere di Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportata da Verona a Bergen Belsen il 2 agosto 1944. Liberata

 13        MARCO KRYS nato a Leopoli (Polonia) il 2 aprile 1877, figlio di Simone e Berta Schneit, coniugato con Giuseppina Weinberger. Ultima residenza nota: Cosenza. Arrestato in provincia di Bergmo da italiani. Detenuto nel carcere di Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportato da Fossoli ad Auschwitz il 5 aprile 1944. Ucciso all'arrivo a Auschwitz il 10 aprile 1944. Fonte la, convoglio 09.

 14        CLARA LEVI nata a Cesano Mademo il primo marzo 1929, figlia di Guido ed Emma Bianca Tedeschi. Arrestata ad Ambivere il primo dicembre 1944 da italiani. Detenuta nel carcere di Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportato da Fossoli ad Auschwitz 5 aprile 1944. Deceduta a Bergen Belsen il 31 maggio 1945 dopo la liberazione. Fonte la, convoglio 09.

 15        DONATELLA LEVI nata a Genova il primo giugno 1927, figlia di Salvatore e Margherita Viterbo. Ultima residenza nota: Milano. Arrestata a Nembro il 23 febbraio 1944 da italiani. Detenuta nel campo di Fossoli. Deportata da Fossoli ad Auschwitz il 5 aprile 1944. Deceduta ad Auschwitz nel 1944. Fonte la, convo­glio 09.

 16        ELDA LEVI nata a Modena il 13 agosto 1894, figlia di Sansone e Rosa Levi. Ultima residenza nota: Bergamo. Arrestata ad Ambivere il primo dicembre 1943. Detenuta nel carcere di Bergamo carcere e nel campo di Fossoli. Deportata da Fossoli ad Auschwiiz il 5 aprile 1944. Deceduta in luogo e data ignoti. Fonte la, convoglio 09.,

 17        ESTER VITTORIA LEVI nata a Milano il 19 gennaio 1941, figlia di Alberto e Regina Hazan. Ultima residenza nota: Milano. Arrestata a Trescore nel febbraio 1944 da italiani. Detenuta nel carcere di Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportata da Fossoli ad Auschwitz il 5 aprile 1944. Uccisa all'arrivo ad Auschwitz il 10 aprile 1944. Fonte la, convoglio 09.

 18        LAURA LEVI nata a Cengio l'11 settembre 1922, figlia di Guido ed Emma Bianca Tedeschi. Arrestata ad Ambivere il primo dicembre 1943 da italiani. Detenuta nel carcere di Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportata da Fossoli ad Auschwitz il 5 aprile 1944. Liberata ad Auschwitz. Fonte la, convoglio 09.

 19        LIA:MARTA LEVI nata a Modena il 23 marzo, 1888, figlia di Sansone e Rosa Levi. Arrestata ad Ambivere il primo dicembre 1943 da italiani. Detenuta nel carcere di Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportata da Fossoli ad Auschwitz il 5 aprile 1944. Deceduta in luogo e data ignoti. Fonte la, convoglio 09.

 20       NORA LEVI nata a Cengio il 9 dicembre 1920, figlia di Guido ed Emma Bianca Tedeschi. Arrestata ad Ambivere il primo dicembre 1943. Detenuta nel carcere di Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportata da Fossoli ad Auschwitz il 5 aprile 1944. Deceduta a Bergen Belsen il 31 maggio 1945 dopo la liberazione. Fonte la, convoglio 09.

 21        SALVATORE LEVI nato a Dronero il 16 marzo 1883, figlio di Daniele ed Enrichetta Levi, coniugato con.Margherita Viterbo. Ultima residenza nota: Milano. Arrestato a Nembro il 23 febbraio 1944 da italiani. Detenuto nel carcere di.Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportato da Fossoli ad Auschwitz il 5 aprile 1944. Ucciso all'arrivo ad Auschwitz il 10 aprile 1944. Fonte la, convoglio 09.

 22        VITTORIO LEVI nato a Milano il 6 novembre 1932, figlio di Abramo Alberto e Regina Hazan, ultima residenza nota: Bergamo. Arrestato a Trescore nel febbraio 1944 da italiani. Detenuto nel carcere di Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportato da Fossoli il 5 aprile 1944. Ucciso all'arrivo ad Auschwitz il 10 aprile 1944. Fonte la, convoglio 09.

 23        FERRUCCIO MILLA nato a Cento (Ferrara) il 27 marzo 1888, figlio di Ernesto e Giulia Levi. Ultima residenza nota: Milano. Arrestato a Verdello il 13 ottobre 1943 da tedeschi. Detenuto nel carcere di Bergamo e in quello di Milano. Deportato da Milano ad Auschwitz il 6 dicembre 1943. Ucciso all'arrivo ad Auschwitz l'11 dicembre 1943. Fonte la, convoglio 05

 24        UGO MILLA nato a Vignola il 14 novembre 1894, figlio di Er­nesto e Giulia Levi, coniugato con Lea Milla. Ultima residenza nota: Milano. Arrestato a Verdello il 13 ottobre 1943. Detenuto nel carcere di Bergamo e in quello di Milano. Deportato da Mi­lano ad Auschwitz il 6 dicembre 1943. Ucciso all'arrivo ad Au­schwitz l'il dicembre 1943. Ponte la, convoglio 05

 25        JOSEF MILSTEIN nato a Varsavia (Polonia) il 24 agosto 1898, figlio di Lazar e Mirka Dworeska, coniugato con Elsa Knister. Ultima residenza nota: Cosenza. Arrestato a Bergamo il 30 novembre 1943 da italiani. Detenuto nel carcere di Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportato da Verona ad Auschwitz il 2 agosto 1944. Deceduto in luogo e data ignoti. Fonte Ib, convoglio 14. -

26        GUIDO NACAMULLI nato a Istanbul il 10 aprile 1911, figlio di Davide e Margherita Raffael. Ultima residenza nota: Milano. Arrestato a Torre Boldone il 30 maggio 1944 da italiani. Detenuto nel carcere di Bergamo, Milano e nel campo di Bolzano. Deportato da Bolzano ad Auschwitz il 24 ottobre 1944. Deceduto a Buchenwald il 3 marzo 1945. Fonte la, convoglio 18

 27        MARIO NACAMULLI nato a Istanbul il 7 maggio 1920, figlio di Davide e Margherita Raffael. Ultima residenza nota: Milano. Arrestato a Torre Boldone il 30 maggio 1944 da italiani. Detenuto nel carcere di Bergamo, Milano e nel campo di Bolzano. Deportato da Bolzano ad Auschwitz il 24 ottobre 1944. Deceduto a Buchenwald il 27 febbraio 1945. Fonte la, convoglio 18

28        VITTORIO NACAMULLI nato a Milano il 22 marzo 1924, figlio di Davide e Margherita Raffael. Ultima residenza nota: Milano. Arrestato a Torre Boldone il 30 maggio 1944 da italiani. De­tenuto nel carcere di Bergamo, Milano e nel campo di Bolzano. Deportato da Bolzano ad Auschwitz il 24 ottobre 1944. Deceduto ad Auschwitz il 28 gennaio 1945 dopo la liberazione. Fonte la, convoglio 18.

 29        MOISE NACHMANSOHN nato a Ekaterinoslav (URSS) il 15/05/1866

 30        SIGISMONDO OFFNER nato a Rabi (Cecoslovacchia) il 16 settembre 1884, figlio di Giuseppe e Giovanna Forges. Arrestato a Bergamo il 23 maggio 1944 da italiani. Detenuto nel carcere di Bergamo, Bologna e nel campo di Fossoli. Deportato da Fossoli ad Auschwitz il 26 giugno 1944. Deceduto in luogo e data ignoti. Fonte la, convoglio 13

 31        BELLA MARIANNA ORTONA nata a Casale Monferrato (Ales-sandria) il 24 febbraio 1874, figlia di Consiglio e Giuditta Valenza, coniugata con Amleto Sonnino. Arrestata a (...) (Nossa, ndr) nel febbraio 1944 da italiani. Detenuta a Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportata da Fossoli il 5 aprile 1944 ad Auschwitz. Uccisa all'arrivo ad Auschwitz il 10 aprile 1944. Fonte la, convoglio 09.

 32        ERWIN SCHRECKER nato a Praga (Cecoslovacchia) nel 1898, figlio di Moritz ed Enrichetta Reininger, coniugato con Leopolda Kosicek. Ultima residenza nota: Cosenza. Arrestato a San Giovanni Bianco il 30 novembre 1943 da italiani. Detenuto nel campo di Fossoli. Deportato da Verona ad Auschwitz il 2 agosto 1944. Deceduto in luogo e data ignoti. Fonte la; convoglio14

 33        TIBURZIO SOMOGY nato a Fiume il 16/06/1910

34        ILDA SONNINO nata a Genova il 17 luglio 1904, figlia di Amleto e Bella Marianna Ortona, ultima residenza nota: Bergamo. Arrestata a (...) (Nossa, ndr) nel febbraio 1944 da italiani. Detenuta a Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportata da Fossoli il 5 aprile 1944 ad Auschwitz..Deceduta a Bergen Belsen dopo il febbraio 1945. Fonte la, convoglio 09.

35        PILADE SONNINO nato a Livorno il 26 giugno 1900, figlio di Amieto e Bella Marianna Ortona. Arrestato a Nossa (Bergamo) il 17 agosto 1944 da (...). Detenuto nel carcere di Milano e nel campo di Bolzano. Deportato da Bolzano ad Auschwitz il 24 ottobre 1944. Deceduto a Mauthausen il 29 aprile 1945, matricola numero. 126531. Fonte la, convoglio 18. Il suo nome compare anche nell'elenco (4518 nominativi) di deportati italiani morti a Mauthausen, allegato al libro «Tu passerai per il Camino», di Vincenzo Pappalettera (Mursia 1965).

36        RACHELE LEA STERNER nata a Tarnopol (Polonia) l'U set­tembre 1889, figlia di Joseph e Sofìa Hassner, coniugata con Ma-nas (...). Ultima residenza nota: Fiume. Arrestata a Treviglio nel dicembre 1943. Detenuta nel carcere di Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportata da Fossoli ad Auschwitz il 22 febbraio 1944. Deceduta in luogo ignoto dopo il 16 agosto 1944.

37        ISRAEL STOLZBERG nato a Kamionka (Polonia) il 05/09/1906

38        ADA TEDESCHI nata a Firenze il 3 febbraio 1883, figlia di Emanuele e Amalia Latis. Ultima residenza nota: Milano. Arrestata ad Ambi vere il primo dicembre 1943 da italiani. Detenuta nel car­cere di Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportata da Fossoli il 5 aprile 1944. Uccisa all'arrivo ad Auschwitz il 10 aprile 1944. Fonte la, convoglio 09.

39        EMMA BIANCA TEDESCHI nata a Firenze il 13 febbraio 1887, figlia di Emanuele e Amalia Latis, coniugata con Guido Levi. Arrestata ad Ambivere il primo dicembre 1943. Detenuta nel carcere di Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportata da Fossoli il 5 aprile 1944. Deceduta in luogo e data ignoti. Ponte la, con­voglio 09.

40        OSCAR TOLENTINI nato a Trieste nel 1884, è un maestro di canto, risiede a Milano,arrestato a Bergamo,  tradotto nel carcere di Milano, vi troverà la morte in stato di detenzione il 16/8/1944.

41        MARGHERITA VTTERBO nata a Torino il 9 giugno 1892, figlia di Gustavo e Amalia Levi, coniugata con Salvatore Levi. Ultima residenza nota: Milano. Arrestata a Nembro il 23 febbraio 1944 da italiani. Detenuta nel campo di Fossoli. Deportata da Fossoli ad Auschwitz il 5 aprile 1944. Deceduta in luogo e data ignoti. Fonte la, convoglio 09.

42        GIUSEPPINA WEINBERGER nata a Vienna il 25 ottobre 1878, figlia di Giuseppe e Carlona Spitz, coniugata con Marco Krys. Ultima residenza nota: Cosenza. Arrestata in provincia di Bergamo il (...) da italiani. Detenuta nel carcere di Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportata da Fossoli ad Auschwitz il 5 aprile 1944. Uccisa all'arrivo ad Auschwitz il 10 aprile 1944. Fonte la, convoglio 09.

43        Giuseppe Weinstein è di origini cecolosvacche è nato Banov nel 1876, commerciante, arrestato a Bergamo,verrà deportato a Auschwitz. Sarà ucciso all’arrivo il 28/10/1944

44        HARRY ZENGER nato a Vienna (Austria) il 18 agosto 1937, figlio di Bernardino ed Elisabetta Haftel. Ultima residenza nota:

Cosenza. Arrestato in provincia di Bergamo il (...) da italiani. Detenuto nel carcere di Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportato da Fossoli ad Auschwitz il 5 aprile 1944. Ucciso all'arrivo ad Auschwitz il 10 aprile 1944.


Deportati censiti come ebrei a Bergamo nel 1938, arrestati e deportati da altre città

45        GIUSEPPE MUGGIA nato a Busseto (Parma) il 25 aprile)I877 ;

figlio di Emilio e Cesira Basola, coniugato con Maria Ester Levi. Ultima residenza nota: Venezia. Arrestato a Venezia il 5 dicembre da italiani . detenuto nel carcere di Venezia e nel campo di Fossoli (Modena). Deportato da Fossoli il 22 febbraio 1944 ad Auschwitz. Ucciso all'arrivo ad Auschwitz il 26 febbraio 1944. Fonte Ib, convoglio 08.

46        FRANCA MUGGIA nata a Venezia il 15 aprile 1909, figlia di Giuseppe e Maria Ester Levi. Ultima residenza nota: Venezia. Arrestata a Venezia il 5 dicembre 1943 da italiani. Detenuta nel

carcere di Venezia e nel campo di Fossoli. Deportata da Fossoli il 22 febbraio 1944 ad Auschwitz. Deceduta in luogo e data ignoti. Fonte Ib, convoglio 08.

47        MARIA ESTER ANNA LEVI nata a Treviso l’8 giugno1884, figlia di Perfetto e Giuseppina Coen. Ultima residenza nota: Venezia. Arrestata a Venezia il 5 dicembre 1943 da italiani. Detenuta nel carcere di Venezia e nel campo di Fossoli. Deportata da Fossoli il 22 febbraio 1944 ad Auschwitz. Uccisa all'arrivo ad Auschwitz il 26 febbraio 1944. Fonte Ib, convoglio 08.

48        SINIGALLIA LIVIA  nata a Milano il 24/06/1906, figlia di Mario e Emilia Jacchia

49        PIPERNO ODORICO nato Alessandria d’Egitto il 18/6/1911 figli di Menotti e Valentina Benedetti

50        PIPERNO  RAMBALDO nato a Milano l’8/09/1930  figlio di Odorico Piperno e Livia Sinigallia

51        PIPERNO RENZO nato a Milano l’1011932 figlio di Odorico Piperno e Livia Sinigallia


Sono  molti gli episodi raccolti nelle memorie di ebrei fuggiti alla cattura grazie a numerosi atti di eroismo, grandi e piccoli di nostri concittadini.

I bergamaschi iscritti nell’elenco dei Giusti fra le nazioni sono : Lydia Gelmi Cattaneo, il capitano Benedetto de Beni, la famiglia Bonaiti di Calolzio.

Accanto a questi nomi va ricordata l’azione organizzata da reti quali quella dei gruppi giustizia e libertà o da sacerdoti come don Eugenio Bussa e Don Tranquillo dalla Vecchia, un elemento di rilievo nei gruppi che aiutavano ebrei, prigionieri di guerra e partigiani a nascondersi ed espatriare.

Ma accanto a questi nomi ne dovrebbero comparirne molti altri, perché furono molti che , anche rischio di gravose conseguenze e mettendo a repentaglio la loro stessa vita, agirono per salvare le vite di numerosi ebrei.

Riportiamo qui per tutte le due testimonianze apparse sull’Eco di Bergamo del 27/1/03

Testimonianza di Eurosia Frosio : Eurosia Frosio abita in viale Alle Fonti, a Sant'Omobono. Per decenni ha condotto l'albergo Moderno quando le terme di Sant'Omobono erano frequentate dai «signori», da gente che arrivava da ogni parte d'Italia e anche dall'estero. Eurosia ha 88 primavere sulle spalle, ma la mente è lucida, certi ricordi sono rimasti vivaci, ….

"Qui ce n'erano tanti di ebrei. Fino a un certo punto erano qui come confinati, io non ricordo di preciso quando. Poi li portavano via tutti e allora li abbiamo nascosti. Tanti siamo riusciti a salvarli, qualcuno no.

Li abbiamo nascosti anche nella chiesa, persino sul pulpito. Qualcuno non l'abbiamo salvato. Come quel bambino che aveva sei o sette anni ed era a scuola. Qualcuno fece una spiata, arrivarono le SS a scuola, fecero dire che c'era il papà per il bambino che si chiamava Haller. Purtroppo il bambino si alzò dal banco. Non l'abbiamo più visto. Andarono a prendere anche suo padre e sua madre. Ci dissero che vennero uccisi, a Bergamo. Chissà se è vero. Ma non sono più tornati»….

«Noi abbiamo nascosto qui una famiglia di ebrei, il Cassetti aveva su almeno venti persone, il Cefis altre due famiglie. A un certo punto gli ebrei erano nascosti anche nelle grotte come il Bus del Valù; grazie al parroco don Filippo Longo, gli ebrei vennero nascosti anche nel campanile e persino sul pulpito, quello che c'era in alto, in chiesa, da dove il parroco predicava nell'ora della dottrina. Ne ha aiutati anche lui di ebrei. Una volta c'era un rastrellamento dei tedeschi, portavano via gli uomini del paese. Era domenica pomeriggio, c'era dottrina. Il parroco in bergamasco disse: "Tócc i omegn i e scàpe! Perché gh'è i todè-sc!" e il paese si fece deserto».

….La signora Eurosia è seduta al tavolo del soggiorno, …dice che la memoria vacilla, fa fatica, non ricorda bene. Ma non è vero. Racconta: «Ci sono stati tanti episodi, ma io ne ricordo pochi. Una volta ricordo che c'erano un giovane e una giovane…quel giovane e quella giovane parlarono con il Piero Moscheni che aveva i roccoli su alla Passata, dove c'è lo spartiacque fra la nostra valle e Carenno, la zona di Lecco. Seppi poi che il Moscheni li aveva aiutati a passare davvero a Lecco. Poi gli ebrei salivano in Valtellina e riparavano in Svizzera».

Realtà che sembra romanzo, fughe, terrori, ingiustizie terribili. «Un'altra volta - racconta Eurosia Frosio - era sera e l'albergo era chiuso, io penso fosse la primavera del 1944. Sentimmo bussare, aprimmo. C'era il Sami e con lui altre sette, otto persone, erano tutti ebrei. Ricordo che avevano le scarpe ai piedi e un altro paio in mano e mio papa li fece entrare e gli chiese che cosa facevano con le scarpe in mano. Il Sami ha risposto che servivano delle scarpe di riserva perché sarebbero fuggiti su per la montagna e per i boschi. Poi ricordo che mio padre riattizzò il camino per fare bollire l'acqua per preparare una camomilla, qualcosa per loro, ma loro gli dissero di spegnere subito perché altrimenti le SS avrebbero visto il fumo del camino e si potevano insospettire…. Noi in albergo avevamo una famiglia di quattro persone, papa, mamma e, i due figli, uno era ingegnere, l'altro studiava. Erano ebrei, erano ricchi, tutti gli ebrei erano molto ricchi. All'inizio erano qui e tutte le domeniche alle 10 dovevano andare a firmare in caserma. Dopo 1'8 settembre del 1943 la situazione è peggiorata e loro sono scappati. Avevano qui da noi quindici bauli. Quando scapparono, di notte, non presero con loro niente, hanno lasciato qua tutto e preso soltanto una borsa con soldi e oro. So che si salvarono, che arrivarono in Svizzera anche se gente della valle gli portò via la borsa. Noi gli nascondemmo i bauli in solaio, sotto la legna. So che si salvarono perché dopo la guerra tornarono a prendere la loro roba e restammo amici, mi mandarono un orologio d'oro per ringraziamento. Brava gente» 

Paolo Aresi dall’Eco di Bergamo del 23/1/03

Testimonianza di Fausto Asperti. Il ricordo di Fausto Asperti, 75 anni, conosciuto in città anche per la sua attività di fotografo come "Foto Express», riporta all'estate del 1944, all'ultimo anno di guerra. Siamo nel cuore di Bergamo, nella piazzetta Santo Spirito di Borgo Pignolo, In quell'estate, Fausto Asperti aveva 17 anni, abitava a Valtesse, sfollato

«Eravamo sfollati a Valtesse, dalla nonna, era estate. Ricordo perfettamente quel giorno. Tornai a casa improvvisamente, faceva caldo. Stavamo in piazzetta Santo Spirito. Aprii e vidi in casa mia dodici o tredici persone... Rimasi di stucco. Seppi poi che erano ebrei che la mia famiglia alloggiò in attesa che fuggissero verso la Svizzera… mio padre e mia madre non volevano coinvolgerci in queste vicende, l'ho capito dopo. Ricordo che facevo le scuole a Calmine e studiavo musica. Quel giorni mi accorsi che mi mancava un libro, uno spartito, non ricordo bene. Cosi presi la bicicletta e tornai nella mia casa della piazzetta, salii le scale, aprii la porta e vidi quella dozzina di ebrei. Dovevano essere tre famiglie, c'erano anche dei bambini. Si spaventarono, poi facemmo qualche parola. Erano di provenienza slava, venivano dalla Romania, dalla Jugoslavia, non ricordo bene. Scesi, andai a chiamare mio padre in pasticceria, lui mi portò su, mi presentò, disse che ero suo figlio, di non preoccuparsi. Ma soltanto dopo la guerra venni a sapere che erano ebrei. Mia madre restò in contatto con loro per molti anni, conservava le tre sterline d'oro che le donarono quando se ne andarono. Non so bene come fosse il meccanismo, ma penso che salissero in treno fino a Piazza Brembana e che poi scappassero in Svizzera attraverso il Passo di San Marco o qualcuno dei passi lì attorno».

Paolo Aresi , dall’Eco di Bergamo del 27/1/03
 
Fonti:
 
Articoli di Silvio Cavati,  Mauro Danesi e interviste di Paolo Aresi dall’ Eco di Bergamo del 17 genanio 2003 e 27 gennaio 2004

Silvio Cavati “EBREI A BERGAMO 1938-1945: la deportazione Parte Prima *- Studi e ricerche di storia contemporanea (rassegna dell’istituto ISREC”) n.60-dicembre 2004

 Silvio Cavati “EBREI A BERGAMO 1938-1945: la deportazione Parte Seconda *- Studi e ricerche di storia contemporanea (rassegna dell’istituto ISREC”) n.61- gennaio  2005

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Storie di Ebrei bergamaschi perseguitati -  Parte Quarta 
  

Ancora altre famiglie.

 


Foto di repertorio

Ancora altre famiglie.



Pochissime sono le notizia che abbiamo di questa famiglia, poco più dei dati anagrafici ed un elenco di beni, prevalentemente vestiario, contenuti in cinque casse e sequestrati nella Villa dell’erba di Treviglio.
Eppure bastano questi dati per darci conto di una storia terribile, quella di Rachele e del marito, e di una finora sconosciuta storia d’amore e di solidarietà, quella di una delle due figlie.
Rachele Lea  Stern è nata a Tarnopol in Polonia l’11 settembre 1889, non sappiamo dove incontra Simeone Manas, ebreo romeno nato a Galatz il 25 settembre 1884.
A Vienna nascono le due figlie: Charlotte il 25 maggio 1910 e Cecilia l’11 luglio 1923.
 Non sappiamo quando la famiglia Manas giunge in Italia, probabilmente a Milano, fuggendo dall’Austria occupata dai nazisti nel 1939; in tempi successivi si sono o sono stati trasferiti nell’Italia del sud come molti altri ebrei stranieri, all’anagrafe di Treviglio vengono registrati come provenienti da Polla (Salerno) il 15/3/1942.
La registrazione anagrafica presenta alcune anomalie: contrariamente ad altri internati liberi, sono regolarmente iscritti nell’anagrafe, sulle schede non è riportata la loro cittadinanza, benché da un altro documento, rinvenuto presso il Comune di Serina, risulti chiaramente il loro status di stranieri internati liberi.
La figlia Cecilia ha conosciuto probabilmente durante il soggiorno al sud un ufficiale dell’esercito, Gerardo Politi, con cui ha contratto matrimonio religioso, che non ha potuto essere registrato nello stato civile a causa delle leggi esistenti.
E’ da notare che il marito, ufficiale dell’esercito e ingegnere chimico, che ha messo a repentaglio la propria posizione per sposare Cecilia, deve godere di cospicui appoggi se riesce ad ottenere un trattamento di attenzione nei confronti della moglie.
L’ordinanza di polizia della RSI del 30 novembre 1943 sconvolge anche la vita della famiglia Manas: Rachele viene arrestata nello mese di dicembre, portata prima al carcere di Bergamo, poi al campo di Fossoli, partirà per Auschwitz il 22 febbraio 1944, morirà in luogo e data ignoti dopo il 16 agosto 1944.
Simeone troverà la morte prima della moglie: è deceduto il 30 gennaio 1944 per emorragia cerebrale, impossibile sapere se dovuta a cause naturali o a violenza.
Le due figlie sfuggono invece alla cattura.
Sappiamo che a Treviglio altri ebrei hanno trovato rifugio sia presso le suore sia presso famiglie di privati, l’unico dato certo è che Cecilia viene raggiunta dal marito e il 30 gennaio 1945 viene celebrato da monsignor Egidio Bignamini il matrimonio religioso.
Non sappiamo cosa abbia indotto gli sposi a ripetere la cerimonia, ma possiamo supporre l’impossibilità di procurarsi la documentazione del primitivo matrimonio e necessità connesse all’occultamento o alla fuga di Cecilia; il matrimonio è registrato nei registri dello stato civile del Comune di Treviglio al termine della guerra.
Le sorelle Manas  verranno cancellate d’ufficio dall’anagrafe di Treviglio per irreperibilità al censimento del 1951; troviamo però alcune altre notizie di Cecilia nell’anagrafe del comune di Polla: viene infatti iscritta in quel comune il 23 novembre 1953 proveniente da Napoli, in cui risulta essersi censita; Cecilia si fermerà a Polla fino al 1970 quando verrà cancellata per emigrazione negli Stati Uniti.
 
Regina Hazan è nata in Turchia a Smirne il 20 dicembre 1905, non sappiamo se ha conosciuto il futuro marito sulle coste dell’Egeo o a Milano, dove Abraham Levj risiede dal 30 giugno 1927, è certa invece la data del matrimonio: il 12 novembre 1931.
Milano è la città dove si svolge la vita della coppia fino all’emanazione delle leggi razziali ed è qui che il 6 novembre 1932 nasce il primo figlio, Vittorio.
I coniugi Levi non posseggono la cittadinanza italiana: Abrham Levj, nell’atto di nascita del figlio Vittorio (1932), è qualificato come cittadino portoghese, la moglie Regina, nell’atto di nascita della figlia Ester Vittoria  (1941), è qualificata come cittadina portoghese, ma è in possesso anche della cittadinanza turca, così almeno risulta all’anagrafe di Milano nel 1942.
La promulgazione delle leggi razziali induce la coppia alla fuga: Levj Abraham viene cancellato dall’anagrafe di Milano per l’estero il 2 marzo 1939.
La fuga all’estero però non riesce: non ci sono notizie della famiglia Levj fra il 1939 e il 1941, impossibile quindi dire se anche loro hanno tentato, senza successo, di raggiungere la Palestina attraverso la Libia, come molti ebrei stranieri residenti in Italia, o se hanno cercato di raggiungere un’altra nazione sicura: di certo qualcosa non ha funzionato, ed entrambe sono di nuovo a Milano, in via Bottesini 18, quando il 19 gennaio 1941 nasce Ester Vittoria; all’anagrafe di Milano risultano però reiscritti d’ufficio, a quell’indirizzo, soltanto il 6 febbraio 1942: segno inequivocabile che i coniugi Levj non hanno ritenuto opportuno segnalare il loro rientro alle autorità.
Forse è da collegarsi alle leggi razziali e a questo periodo tormentato un altro fatto curioso: Abraham Levj  - così compare all’anagrafe e negli atti di nascita dei figli - preferisce usare il nome italianizzato Levi e farsi chiamare Alberto, probabilmente un secondo nome, e in tal modo si firma anche nelle lettere che indirizza al Prefetto di Bergamo dopo la Liberazione.
La presenza in Milano non è destinata a durare a lungo: nell’anno 1943 Regina Hazan con i figli  e il marito è confinata a Trescore Balneario, come ci informa lo stesso Comune.
Non conosciamo le condizioni economiche della famiglia in questo periodo, anche se è facile dedurre una situazione piuttosto critica: alla nascita del primo figlio (1933), Abraham si dichiara commerciante; alla nascita della figlia, nel 1941, venditore ambulante; la famiglia doveva avere raggiunto una certa tranquillità economica: la casa di Milano nel contesto della documentazione appare di loro proprietà, ma le leggi razziali e la fuga all’estero hanno certamente aggravato la loro situazione: l’appartamento di Trescore e i beni lì sequestrati non descrivono una situazione florida, e Abraham nelle lettere scritte dopo la liberazione dichiara apertamente la propria difficile situazione economica.
E’ probabilmente la necessità di procurare da vivere alla famiglia che porta Abraham ad allontanarsi da Trescore ed è questo che lo salva: non è in casa quando un giorno del febbraio 1944 militi italiani della Rsi  si presentano alla porta dei Levj e arrestano la madre e i due figli.
Possiamo quasi vedere Regina avviarsi verso la camionetta dei militi tenendo  in braccio la piccola Ester Vittoria, che ha appena due anni,  e Vittorio, che ne ha 11, seguirla impaurito, ma forse anche eccitato per l’insolita avventura.
 
 
La destinazione è prima il carcere di Bergamo, poi il campo di concentramento di Fossoli.
Malgrado quello che compare nelle comunicazioni del comune di Trescore, Regina Hazan non è apolide, bensì cittadina turca, paese ancora neutrale nel 1943, e i figli Vittorio e Ester Vittoria sono cittadini portoghesi, ed anche il Portogallo è ancora un paese neutrale, ma questo non basta a salvarli dalla deportazione.
Il 5 aprile 1944 un treno li porterà ad Auschwitz; sullo stesso treno vi sono altri 19 ebrei catturati in provincia di Bergamo, fra cui altre due famiglia con eguale cognome: i tre membri della famiglia di Salvatore Levi e i sette membri della famiglia Levi di Ambivere.
Regina e i figli arrivano ad Auschwitz il 10 aprile 1944: Vittorio e Ester Vittoria, troppo piccoli per essere in qualche modo sfruttati verranno subito uccisi; Regina morirà più tardi, ma non si conoscono il luogo e la data esatta
 L’atto di morte registrato allo stato civile del comune di Milano ci informa: “La suddetta Hazan Regina è morta in seguito ad asfissia nelle camere a gas (in deportazione)  ed è stata sepolta e la salma cremata nel campo stesso”
 
Le vicende delle famiglie Schwamenthal e Zimet,  possono essere assunte come paradigma delle condizioni degli “internati liberi”.
La famiglia Schwamenthal è internata nel campo di Ferramonti di Tarsia il 23 luglio 1940, ad oltre un mese dallo scoppio della guerra e venti giorni prima che l’internamento venga codificato in legge, evidentemente i primi provvedimenti erano stati presi per pura via amministrativa.
Il 4 di ottobre, gli Schwamenthal  sono trasferiti al nord, prima destinazione Trescore Balneario e subito dopo Clusone, dove giungono l’ 8 o il 9 di ottobre
Gli internati dovono presentarsi giornalmente a firmare il registro di presenza alla stazione dei carabinieri e ricevono un sussidio dallo stato:…
Il sussidio non è sufficiente a garantire la sopravvivenza, …
Gli internati ebrei cercano pertanto di arrotondare il magro sussidio con varie attività, come viene riferito da diverse testimonianze:
Il marito di Alice Redlich riesce a guadagnare qualcosa rivendendo tessuti che gli vengono affidati da alcuni negozianti di Ardesio, girando a piedi nelle frazioni tra Gromo e Ardesio.
Diversi si guadagnavano la vita lavorando ritagli di pellicceria o vendendo le pellicce così confezionate alla popolazione. Il comportamento esemplare degli internati ha valso a conquistare loro la stima non solo della popolazione del paese, ma anche delle Autorità.
Gli ebrei ricevono in genere la solidarietà della popolazione, ma destano anche l’ostilità di esponenti fascisti antisemiti presenti nei più importanti paesi delle valli: alle lamentele di questi personaggi  viene attribuito lo spostamento degli internati in paesi più piccoli e decentrati:
La famiglia Schwamenthal viene trasferita a Gromo il 31 maggio 1942, ma l’ordine di trasferimento era già pervenuto il giorno venti.
La famiglia Zimet e altre due famiglie internate a S. Giovanni Bianco nel corso dell’estate vengono trasferite a Serina.
Gli Zimet e gli Schwamenthal riescono a fuggire sottraendosi al terribile destino che hanno incontrato altre famiglie di “internati liberi” .
Tratto da http://viali2.altervista.org/documenti/27.htm
 Segue
 
 
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Storie di Ebrei bergamaschi perseguitati
Terza parte -  Altre famiglie tra salvezza e deportazione
 

 

Altre famiglie tra salvezza e deportazione


 Marco Krys è un ebreo di origini polacche, è nato a Leopoli (Polonia) il 2 aprile 1877, è sposato con Giuseppina Weinberger, nata a Vienna il 25 ottobre 1878.

Non sappiamo quando i coniugi Krys sono venuti in Italia né da dove, sono cittadini stranieri e, in quanto ebrei, nemici, vengono internati nel campo di Ferramonti di Tarsia,  presso Cosenza.

Come molti ebrei presenti nei paesi della montagna bergamasca hanno ottenuto di lasciare il campo e sono stati confinati a Gromo, dove abitano nella casa della signora Angelina Giudici.

Sono fra i primi arrestati nella bergamasca: è il 1° dicembre quando il maresciallo dei carabinieri di Gromo si attiva per catturare le due famiglie presenti in paese, quella di Leise Schwamenthal e Alice Redlich e quella degli anziani coniugi Krys.

Alice Radlich, avventurosamente sfuggita alla cattura, ci racconta l’arresto dei coniugi Krys:

“… E allora siamo tornati a casa e in casa c’era ancora il maresciallo che andava su da quei due vecchietti e diceva: “Oggi pomeriggio vi porto, dovete venire a Bergamo con me”. Loro erano molto religiosi e sabato sera si festeggiava, cioè già il venerdì sera si cominciava a festeggiare il sabato ed era venerdì, e loro dicevano: “No, noi il venerdì sera non ci mettiamo in viaggio, non possiamo”. E allora il maresciallo si mise a gridare e gridava anche verso di me dicendo: “Avevate tutto il tempo per scappare, ma adesso io tengo gli occhi bene aperti, adesso non provateci neanche perché ci andrò di mezzo io”.

 I coniugi Krys vengono portati al carcere di Bergamo, e poi al campo di concentramento di Fossoli.

Da qui ci giunge un’ulteriore testimonianza: i signori Krys scrivono ad Angelina Giudici che li aveva ospitati a Gromo una cartolina postale:

 CAMPO DI CONCENTRAMENTO – FOSSOLI (Modena)

“Fossoli 4 aprile 1944

Cara signorina Angelina circa due settimane fa vi abbiamo scritto una cartolina postale alla quale non abbiamo ricevuto nessuna risposta. Siccome dobbiamo domani inevitabilmente partire da qui e non sappiamo dove e non sappiamo il nostro destino. Vi preghiamo caldamente di non inviarci intanto nessuna posta fino riceverete il nostro nuovo indirizzo e di conservare gentilmente i nostri oggetti in un luogo buono e sicuro, perché attualmente non abbiamo indirizzo fisso e dobbiamo ricevere il nostro destino con rassegnazione e sperare alla prossima pace per l’umanità. State tutti bene e tanti tanti cordiali saluti e migliori voti. Coniugi Krys.”

 Il giorno dopo, il 5 aprile 1944 parte il convoglio per Auschwitz, con loro altri 21 ebrei catturati nella provincia di Bergamo; giungeranno ad Auschwitz il 10 aprile 1944, dove troveranno subito la morte nelle camere a gas.


Regina Zimet-Levy, giovane ebrea internata con la famiglia a Serina e sfuggita all’arresto, ci racconta che a Serina nell’autunno del 1943 erano internate altre due famiglie ebree, che non ebbero il coraggio di affrontare i rischi della fuga e furono in seguito catturate e deportate: gli Schrecker  e  gli Stolzberg.

 Il loro arrivo e la loro permanenza a Serina sono documentati dai permessi di soggiorno e altra documentazione burocratica che ci consente di confermare e completare il racconto della Zimet-Levy dando una compiuta identità a queste persone.

 Schrecker Erwin è un ebreo boemo, è nato a Praga (Cecoslovacchia) il 1 agosto 1898, è sposato con Leopolda Kosicek, nata a Ksnova (Cecoslovacchia), non sappiamo in che data.

I coniugi Schrecker sono giunti in Italia il 26 maggio 1939, ufficialmente per cure, in realtà per sfuggire alle persecuzioni naziste dopo che, il 15 marzo 1939, l’esercito tedesco ha invaso la Cecoslovacchia.

Allo scoppio della guerra sono internati nel campo di Ferramonti di Tarsia, dove Erwin insegna nella scuola costituita dagli ebrei all’interno del campo; successivamente è confinato a San Giovanni Bianco, dove reincontra la famiglia Zimet, e da lezioni scolastiche a Regina:

 “Uno dei nuovi arrivati, il signor Schrecker, che era stato fra i miei insegnanti nella scuola del campo, propose ai miei ge­nitori di continuare a darmi lezioni in tutte le materie, date le circostanze. Eravamo contenti: lui di avere un'alunna e io di poter continuare a studiare. C'era solo un guaio: entrando nel mondo degli studi, dimenticava che ero una bambina delle e­lementari e pensava di avere davanti a sé uno dei suoi alunni di liceo. A volte mi terrorizzava perché voleva che imparassi tante materie non adatte alla mia età, così che spesso mio pa­dre doveva intervenire.”

Nel febbraio del 1943 gli Schrecker e gli Zimet sono trasferiti a Serina, come testimonia la carta di soggiorno rilasciata dal Comune di Serina in data 25 febbraio 1943

La firma Schrecker compare anche su un biglietto di condoglianze inviato il 2 novembre 1942 dagli internati liberi presenti nel paese al podestà in occasione della morte del padre: oltre a quella degli Schrecker il biglietto porta la firma di J. Stolzberg e moglie, P. Agadstein, F. Zimet e famiglia.

 Gli Stolzberg sono ebrei polacchi, il marito Israel Stolzberg è nato a Kamionka (Polonia) il 5 settembre 1906.

All’autorità di P.S. del comune di S. Giovanni Bianco dichiara di essere di nazionalità polacca di professione commerciante e di essere venuto in Italia a scopo di commercio; in Italia è giunto l’11 aprile 1938 con la moglie, Agatstein Czama, nata a Horodenka (Polonia) il 5 luglio 1900.

 Ai due coniugi si è aggregata la sorella di lei, Agatstein Chaliel Perla nata a Horodenka il 12 marzo 1904: il permesso di soggiorno di Perla, rilasciato dal Comune di Serina in data 25 febbraio 1943  indica come data di ingresso in Italia l’11 aprile 1938, quale scopo del soggiorno è dichiarato, con burocratica ironia: diporto.

La signora Perla risulta coniugata in Halzel, ma non vi è traccia nelle carte né nel racconto di Regina Zimet del marito.

Anche gli Stolzberg sono stati internati nel campo di Ferramenti e successivamente confinati a S. Giovanni Bianco e a Serina.

 Le due famiglie vengono arrestate il 3 dicembre 1943.

 Contrariamente agli Zimmet non hanno saputo approfittare delle possibilità di fuga che il maresciallo comandante della locale stazione dei carabinieri ha di fatto offerto agli ebrei internati e saranno portati al carcere di Bergamo.

Tutte due le famiglie verranno successivamente internate al campo di transito di Fossoli.

 Gli Stolzberg verranno deportati da Fossoli ad Auschwitz il 16 maggio 1944 e vi troveranno la morte, non sarà possibile accertarne il luogo e la data esatta.

Più lunga è la permanenza degli Schrecker a Fossoli: non vengono inviati ai campi di sterminio in Germania con i primi sei convogli che a partire dal 19 febbraio avevano caricano migliaia di ebrei nella vicina stazione di Carpi.

Giunge però anche il loro turno: I coniugi Schrecker e alcune altre centinaia di deportati vengono trasportati a Verona dove vengono separati e caricati su vagoni diversi.

Il treno, partito il 2 agosto 1944, verrà frazionato lungo il percorso.

 Leopolda Kosicec, giunta a Bergen Belsen il 5 agosto, riesce a sopravvivere  e viene liberata dalle truppe inglesi il 15 aprile 1945.

Erwin Schrecker non ha avuto la stessa fortuna: giunto ad Auschwitz il 6 agosto vi trova la morte,  senza che sia possibile accertare il luogo e la data esatta.


 Pochissime sono le notizia che abbiamo di questa famiglia, poco più dei dati anagrafici ed un elenco di beni, prevalentemente vestiario, contenuti in cinque casse e sequestrati nella Villa dell’erba di Treviglio.

Eppure bastano questi dati per darci conto di una storia terribile, quella di Rachele e del marito, e di una finora sconosciuta storia d’amore e di solidarietà, quella di una delle due figlie.

Rachele Lea  Stern è nata a Tarnopol in Polonia l’11 settembre 1889, non sappiamo dove incontra Simeone Manas, ebreo romeno nato a Galatz il 25 settembre 1884.

A Vienna nascono le due figlie: Charlotte il 25 maggio 1910 e Cecilia l’11 luglio 1923.

 Non sappiamo quando la famiglia Manas giunge in Italia, probabilmente a Milano, fuggendo dall’Austria occupata dai nazisti nel 1939; in tempi successivi si sono o sono stati trasferiti nell’Italia del sud come molti altri ebrei stranieri, all’anagrafe di Treviglio vengono registrati come provenienti da Polla (Salerno) il 15/3/1942.

La registrazione anagrafica presenta alcune anomalie: contrariamente ad altri internati liberi, sono regolarmente iscritti nell’anagrafe, sulle schede non è riportata la loro cittadinanza, benché da un altro documento, rinvenuto presso il Comune di Serina, risulti chiaramente il loro status di stranieri internati liberi.

La figlia Cecilia ha conosciuto probabilmente durante il soggiorno al sud un ufficiale dell’esercito, Gerardo Politi, con cui ha contratto matrimonio religioso, che non ha potuto essere registrato nello stato civile a causa delle leggi esistenti.

E’ da notare che il marito, ufficiale dell’esercito e ingegnere chimico, che ha messo a repentaglio la propria posizione per sposare Cecilia, deve godere di cospicui appoggi se riesce ad ottenere un trattamento di attenzione nei confronti della moglie.

L’ordinanza di polizia della RSI del 30 novembre 1943 sconvolge anche la vita della famiglia Manas: Rachele viene arrestata nello mese di dicembre, portata prima al carcere di Bergamo, poi al campo di Fossoli, partirà per Auschwitz il 22 febbraio 1944, morirà in luogo e data ignoti dopo il 16 agosto 1944.

Simeone troverà la morte prima della moglie: è deceduto il 30 gennaio 1944 per emorragia cerebrale, impossibile sapere se dovuta a cause naturali o a violenza.

Le due figlie sfuggono invece alla cattura.

Sappiamo che a Treviglio altri ebrei hanno trovato rifugio sia presso le suore sia presso famiglie di privati, l’unico dato certo è che Cecilia viene raggiunta dal marito e il 30 gennaio 1945 viene celebrato da monsignor Egidio Bignamini il matrimonio religioso.

Non sappiamo cosa abbia indotto gli sposi a ripetere la cerimonia, ma possiamo supporre l’impossibilità di procurarsi la documentazione del primitivo matrimonio e necessità connesse all’occultamento o alla fuga di Cecilia; il matrimonio è registrato nei registri dello stato civile del Comune di Treviglio al termine della guerra.

 Le sorelle Manas  verranno cancellate d’ufficio dall’anagrafe di Treviglio per irreperibilità al censimento del 1951; troviamo però alcune altre notizie di Cecilia nell’anagrafe del comune di Polla: viene infatti iscritta in quel comune il 23 novembre 1953 proveniente da Napoli, in cui risulta essersi censita; Cecilia si fermerà a Polla fino al 1970 quando verrà cancellata per emigrazione negli Stati Uniti.

Tratto da
http://viali2.altervista.org/documenti/27.htm
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Storie di Ebrei bergamaschi perseguitati

Parte seconda - Le famiglie deportate




I  Numeri della deportazione
Gli ebrei catturati a Bergamo e provincia sono in totale 44, 21 femmine e 23 maschi. Dei 44 deportati 25 sono nati in Italia, 19 all’estero; riguardo all’età: 7 sono ultra sessantenni, 5 hanno meno di 18 anni, fra loro due bambini di 3 e 7 anni.


Solo 9 di essi di essi sonora i residenti a Bergamo e provincia, gli altri sono ebrei sfollati, in fuga o internati liberi: vi è un consistente gruppo di venti ebrei milanesi, probabilmente sfollati, un gruppo di 9 persone proveniente da Cosenza presumibilmente ebrei stranieri già internati nel campo di Ferramonti di Tarsia e poi confinati nei paesi montani della bergamasca come “internati liberi”.
I catturati, dopo un primo soggiorno nelle carceri cittadine, vengono avviati verso i campi di concentramento e smistamento italiani: 31 al Campo di Fossoli, 2 al Campo di Verona, 7 al Campo di Bolzano, 3 al Carcere di Milano, 1 da campo ignoto, in attesa di essere avviati ai campi di sterminio.

Uno dei catturati morirà nel carcere di Milano.


Gli ebrei non vengono deportati singolarmente verso i campi di sterminio: nella prima fase sono concentrati nelle carceri di alcune grandi città o nei cosiddetti campi di transito; quando raggiungono un numero sufficiente (tra le mille e le 1300 unità) tale da rendere «economico» sia il trasporto sia le «procedure di accoglimento» alla destinazione vengono avviati ai campi di sterminio in Germania.

Gli ebrei catturati a Bergamo partono con otto diversi convogli:
due il 6 dicembre 1943, uno il 22 febbraio 1944, ventitre il 5 aprile 1944. quattro il 16 maggio 1944, uno il 26 giugno 1944, quattro il 2 agosto 1944, sette il 24 ottobre 1944. Di uno non si conosce la data esatta di deportazione.


La destinazione è comune a quasi tutti i deportati: 42 verranno avviati ad Auschwitz, 1 solo si fermerà Bergen Belsen, 1 invece morirà prima della partenza nel carcere di Milano.
Il destino finale grava sulla nostra storia, anche locale, ed è comune a quasi tutti i deportati: 17 verranno uccisi all’arrivo ad Auscwitz, e altri 3 vi moriranno in date successive, 3 moriranno a Bergen Belsen, 2 a Buchenwald, 1 a Dachau, 1 a Mauthausen.


Degli altri non si conosce l’esatto luogo della morte.


Le famiglie bergamasche deportate


 
La Shoà si abbatte pesantemente sulla comunità Bergamasca: fra i  44 arrestati ci sono i tre membri della famiglia Sonnino, sei componenti della famiglia di Guido Levi, il farmacista di Ambivere.
A questi si devono aggiungere  i tre componenti della famiglia dell'ex direttore dell'ospedale psichiatrico di Bergamo, arrestati a Venezia. Si sono perse le tracce anche di un dell'apolide di origine polacca Jacob Schwarz nato nel 1902 e censito a Bergamo nel 1938.

La famiglia Sonnino: comprendeva Bella Marianna Ortona in Sonnino, nata nel 1875, del figlio Pllade Sonnino nato nel 1900, della figlia Ilda Sonnino nata nel 1904. Vengono arrestati a Nossa  il 17 agosto 1944. Per Pilade Sonnino la triste verità sarà certificata il 15 maggio 1955 dall'apposita Commissione interministeriale e di conseguenza da un atto di morte: è morto infatti a Mauthausen il 29 aprile 1945 in seguito ad esaurimento e a sevizie ed è stato cremato.

La sorte degli altri la scopriamo attraverso il «Libro della memoria» di Lillana Picciotto Fargion (Mursia 1991), frutto della paziente ricerca del Centro di documentazione ebraica di Milano: Bella Marianria Ortona, deportata ad Auschwitz viene qui uccisa  all'arrivo, il 10 aprile 1944; Ilda Sonnino, deportata ad Auschwitz, è deceduta a Bergen Belsen dopo il febbraio 1945.

La famiglia Muggia: continuando a sfogliare il «Libro della memoria» scopriamo la sorte di dell'ex  direttore dell'ospedale psichiatrico, il dottor Giuseppe Muggia, e della moglie, Maria Ester Anna Levi, la figlia Franca Muggia . vengono rrestati a Venezia il 5 dicembre da italiani.

Detenuti nel carcere di Venezia e nel campo di Fossoli (Modena) vengono  deportati a Auschwitz: i genitori vengono uccisi all’arrivo, il 26 febbraio del 1944, anche la figlia subisce la stessa  in data e luogo ignoti.

La famiglia Levi: risiedeva nel comune di Ambivere. Il nucleo familiare era composto da sette donne e dal dottor Guido Levi, farmacista del paese. Guido Levi è nato a Modena il 5 aprile 1891, è farmacista, si è sposato con Emma Bianca Tedeschi, nata a Firenze il 13 febbraio 1887.

Dal matrimonio sono nate tre figlie: Nora, nata a Cengio il 9 dicembre 1920, Laura, nata a Cengio il 11 settembre 1922 e Clara, nata a Cesano Maderno il 1 marzo 1929. Il 26 dicembre 1931 Guido Levi lascia Cesano Maderno per trasferirsi con la famiglia ad Ambivere dove ha rilevato la farmacia “Fumagalli”.

Guido Levi in quanto farmacista ha sicuramente una posizione di rilievo nel paese; è inoltre persona benvoluta e, da quanto riferiscono le testimonianze, attenta ai fatti politici e culturali che accadono in Italia. Non è un oppositore del regime anzi le testimonianze lo descrivono come attivista della campagna “oro per la patria”, voluta dal regime dopo le sanzioni deliberate dalla Società delle nazioni nel 1936, e Guido Levi pensa sicuramente di poter vantare qualche merito verso il regime quando il 18 gennaio 1939  presenta alla Prefettura di Bergamo la domanda per ottenere il provvedimento di discriminazione di cui all'art. 14 R.D.L. 17 Novembre 1938-XVII, n. 1728.

La domanda di discriminazione non è l’unico dei provvedimenti che Guido Levi attua per tutelare la propria famiglia: il 30 settembre 1938 ai componenti della famiglia Levi viene impartito il battesimo dal vescovo Bernareggi, nella Cappella Vescovile di Bergamo, come risulta dai registri dell’archivio parrocchiale di Ambivere. Ad Ambivere, e precisamente il 15 settembre 1941, trasferendosi da una Genova troppo soggetta a bombardamenti, giungono le due sorelle di Guido, Lia Marta Levi, nata a Modena il 23 marzo 1888  e Elda Levi, nata a Modena il 13 agosto 1894. Più tardi saranno raggiunti anche dalla sorella della moglie: Ada Tedeschi, nata a Firenze il 3 febbraio 1883, residente a Milano, presumibilmente sfollata presso la sorella. Il dott. Levi è persona attenta agli avvenimenti, e segue con preoccupazione l’acuirsi della  persecuzione razziale nel corso della guerra; dopo l’8 settembre intuisce i pericoli mortali che corre assieme alla famiglia e comunica le sue preoccupazioni all’amico Perico.

Purtroppo si ammala gravemente; gli sono amputate le gambe ed è ridotto su una carrozzella, muore di lì a poco, l’8 ottobre 1943. Il primo dicembre del '43 il maresciallo dei carabinieri di Ponte San Pietro venne ad arrestare le sei donne della famiglia Levi: aspettò il ritorno della piccola Clara, che era a scuola a Bergamo, e le portò via.

Ecco la testimonianza di Maria Perico, una amica di famiglia, sull’arresto della famiglia Levi : “Di mattino è arrivata una camionetta con il maresciallo dei carabinieri di Ponte San Pietro per prelevare le donne.

Mio padre mi chiama ed insieme andiamo a casa Levi; papà si inginocchia davanti al maresciallo, lo invoca di lasciarle andare, gli suggerisce di dire che non le ha trovate. Il maresciallo risponde: ”Non si preoccupi, signor Perico, è solo per un interrogatorio”. Clara non si trovava in casa, era a scuola a Bergamo (avrà avuto allora 13-14 anni). L’hanno aspettata che arrivasse con il treno e le hanno portate via..”
Le donne furono detenute per un primo breve periodo nel carcere di Bergamo. In seguito vennero trasferite al campo di Fossoli (Modena) e quindi il 5 aprile del 1944, deportate ad Auschwitz. Qui, nel campo di concentramento, vennero uccise nella camera a gas la cognata di Guido, Ada Tedeschi, e la vedova Emma Bianca Tedeschi, le sorelle Lia ed Elda Levi e successivamente Clara Levi (a Bergen Belsen subito dopo la liberazione, il 31 maggio '45) e Nora Levi .

Solo Laura riuscì a sopravvivere: per una febbre altissima, era stata ricoverata in infermerìa. Venne liberata e ritornò ad Ambivere continuando la gestione della farmacia e quindi a Bergamo. Morì, il 10 gennaio 1984, a 61 anni. Vi è una sola testimonianza diretta da parte di Laura sulla sorte della sua famiglia, quella rilasciata al Tribunale di Bergamo nel corso del procedimento per la dichiarazione di morte presunta dei suoi famigliari:

In tale udienza la Levi Laura dichiarava che nel dicembre 1943 insieme con tutta la propria famiglia e le zie Levi Elda e Levi Lia Marta, era stata tratta in arresto dai fascisti e successivamente trasferita nel campo di concentramento tedesco di Birkenau in Polonia, che dopo qualche tempo la madre e le zie erano state soppresse nei forni crematori mentre le altre due sorelle erano state trasferite in altro lager in Germania; e che infine lei era stata liberata dalle truppe russe e quindi rimpatriata. Aggiungeva la ricorrente che, nonostante le ricerche fatte attraverso il Vaticano e la Croce Rossa, non era riuscita ad avere alcuna notizia dei parenti che con lei erano stati deportati in Germania. Argia Sonnino, figlia e nipote di ebrei sterminati dai nazisti, ci riferisce di Laura Levi:

“Nessuno, dopo la cattura, seppe darci notizie. Solamente una signora, si chiamava Levi, di Mapello, che era scampata agli orrori di Auschwitz  poté rivelarci qualcosa. Non molto pero, perché sussurrava di aver visto la nonna, di averle parlato. Ma quando noi le chiedevamo: "e poi, perché non è tornata, che le hanno fatto?" la signora Levi si metteva le mani nei capelli e riusciva dire soltanto: "no, no, no…“

Tratto da 
 
Segue

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Storie di Ebrei bergamaschi perseguitati



 

A Bergamo prima della Shoà

 

La comunità ebraica bergamasca del 1938, anno della promulgazione delle leggi razziali, era numericamente poco rilevante: 73 persone di cui 40 residenti in città. La consultazione delle vecchie schede anagrafiche (su cui compare al scritta “razza ebraica”, a volte vistosamente ma non completamente cancellata), ha consentito di delineare un primo quadro della presenza ebraica a Bergamo. Delle quaranta persone residenti in città,  22 sono maschi e 18 femmine, così divisi per età: due bambini (di 4 e 8 anni), un ragazzo (14 anni), ventisette adulti (nove tra i 30 e i 39 anni, nove tra i 40 e i 49 anni, nove tra i 50 e i 59 anni), dieci oltre i 60 anni.

 

Una piccola comunità, per lo più di recente insediamento. Tutti gli ebrei giungono in città dopo la prima guerra mondiale, con un'unica eccezione datata 1908. Solo due bambini sono nati a Bergamo. Si tratta di una comunità ben integrata e che mostra l'assenza di discriminazioni dell’Italia unitaria delle diciotto coppie coniugali italiane, dodici sono miste.

 

Le posizioni professionali sono di rilievo nell'ambito cittadino: il direttore della Banca d'Italia, l'intendente di finanza, un funzionario statale, il preside dell'Istituto magistrale, il direttore dell'Ospedale psichiatrico, un illustre oculista, un industriale, tre ingegneri, alcuni commercianti. Dei due bambini nati a Bergamo, uno, Andrea Viterbi, riceverà nel 1998 la cittadinanza onoraria «per aver reso possibile con le sue invenzioni la realizzazione della comunicazione digitale» (delibera del Consiglio comunale di Bergamo numero 60723 del 14 dicembre 1998).

 

Le leggi razziali sconvolgono questo tranquillo quadro da media borghesia di provincia: chi ricopre incarichi pubblici viene cacciato dal posto di lavoro oppure obbligato alla pensione: nel giro di pochi mesi ben tredici persone su quaranta abbandonano la città dirette verso sedi di comunità ebraiche più ampie, altri sei le seguiranno nei due anni successivi.


A fronte di questa piccola emigrazione da Bergamo altri ebrei arrivarono nei paesini delle nostra valli: erano i cosiddetti “internati liberi”, stranieri costretti quindi a trasferirsi al confino in comuni delle zone montane del nord.
Altri ancora arrivarono a Bergamo in  cerca di rifugio o semplicemente sfollati dalle grandi città.

Ed è proprio fra coloro che erano arrivati a Bergamo come confinati o da sfollati che si registra il maggior numero di arrestati, forse perché, al contrario dei residenti da lunga data, essi potevano contare meno sulla rete di conoscenze e approfittare con minor successo delle  informazioni e della solidarietà che molti concittadini seppero esprimere.

La cattura
 
 
 
La cattura degli ebrei finalizzata al loro trasferimento nei campi di sterminio tedeschi inizia già nel mese di ottobre del 43. La caccia metodica è condotta dalle forze della Guardia Nazionale Repubblicana ed ha inizio con l’ordinanza di polizia n. 5 emanata il 30 novembre 1943 dal Ministro dell’Interno della RSI Buffarini Guidi che ordina l’invio di “tutti gli ebrei, anche se discriminati a qualunque nazionalità appartengano e comunque residenti nel territorio nazionale” nei campi di concentramento e che i loro beni “mobili e immobili debbono essere sottoposti a immediato sequestro in attesa di essere confiscati nell’interesse della Repubblica Sociale Italiana".
 
Scattano subito gli arresti: nel giro di due o tre giorni vengono catturati 17 dei 44 deportati della Bergamasca, l’incarico è svolto per lo più dalle normali forze di pubblica sicurezza, carabinieri in particolare, confluite nella Guardia nazionale repubblicana. Gli arresti si configurano come piccole operazioni di polizia contro gente inerme e considerata non pericolosa, da qui la facilità della cattura, ma anche la facilità della fuga (in alcuni casi, come ad esempio per la famiglia Zimet, chiaramente agevolata dal comportamento del comandante della stazione di Serina).

Quello che emerge dal quadro delle testimonianze non è un particolare livore antisemita dei militi, bensì la burocratica obbedienza tipica delle forze dell’ordine professionali, in questo caso per lo più carabinieri, rimasti al loro posto al cambiare dei vari regimi.
 
E’ il caso di sottolineare che il numero degli internati liberi presenti sul territorio è ben superiore a quello degli arrestati: tredici sono gli internati liberi deportati, mentre dai documenti esaminati è stato possibile identificarne almeno 38; molti quindi sono stati messi per tempo sull’avviso e sono riusciti a fuggire, come è documentato anche dalle carte della Prefettura e da numerose testimonianze.
 
Fra gli arrestati qualcuno riesce ad evitare la deportazione Olga Levi residente a Milano, sfollata dopo il bombardamento del 14 febbraio 1943 a Calolziocorte presso il fratello Levi Gerolamo, è arrestata il 2 dicembre 1943; sarà liberata dopo 3 mesi di carcere il 9 marzo 1944 in quanto riconosciuta figlia di matrimonio misto e discendente da “ramo materno ariano, cattolico, cristiano”.
Non vengono registrati altri arresti nella bergamasca nella seconda metà di dicembre e nel gennaio 1944.
 

Tratto da
Fine

 
 
 

 

 
 
 
 
 
 
 
 


 

  
 
 
 

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