Fra
l’oglio e il serio
I
terremoti attraverso i secoli «Quando la terrà tremò e fece eclissare il sole»
Secondo il monaco agostiniano Donato Calvi, a Natale
1222 un sisma provocò a Bergamo il crollo di un centinaio di case e la morte di
800 persone. Disastroso il 1661
Le torri crollate su stradine medievali, i conventi
afflosciati sui monaci, le colline franate nel lago d’Iseo sono un’eco lontana
del cupo brontolio della terra che trema, ormai coperto dal fragore dei secoli.
Ma in periodi in cui i terremoti squarciano l’Italia e da noi ci si spaventa
per un lampadario che dondola, bisogna aprire pagine ingiallite per rendersi
conto che anche la Bergamasca è stata spesso squassata da disastrose scosse.
Secondo Mario Baratta nel suo «I terremoti d’Italia»
(1901) «fra l’Oglio ed il Serio àvvi un centro sismico ben identificato» e «un
focolare sismico si trova nei pressi di Treviglio». Infatti da quando vengono
registrati i terremoti in Italia (cioè da quello che devastò Verona nel 1117)
fino al 1884 ne vengono registrati dodici, fra città, Val Seriana e Bassa. «Non
andò la nostra patria dal commun flagello immune, che crudelmente agitata,
deplorò nelle proprie percosse la generale infelicità», scrive del sisma
veronese il monaco agostiniano bergamasco Donato Calvi nella sua «Effemeride
Sagro Profana» che nel 1676 raccoglie molte vicende legate ai terremoti.
È lui che racconta del sisma del Natale del 1222, che
provoca ottocento vittime a Bergamo con il crollo di un centinaio di case e di
alcune torri: «Insolito, & gagliardissimo terremoto in questo sagro giorno
di Natale tutta la Lombardia, & altre parti d’Italia conquassò, & ciò
per due settimane intiere, due volte al giorno percuotendo la terra». E poi: il
25 luglio 1249 «scosse terribil terremoto la nostra Patria, apportando alle
Case rovine grandissime». Il 17 settembre 1295 «la patria nostra dall’insolito
tremare della terra atterrita, et sgomenta l’ultimo precipitio, et rovina
attendeva. Terminò in breve corso di poche ore con diversi crolli, havendo
nelle case infiniti danni partorito».
Altre scosse tornano sotto le festività natalizie. A
Santo Stefano del 1397 un terremoto fa crollare alcune case a Bergamo. E 1l
Natale del 1347 si scatena un «terremoto terribile con morte di più centinaia
di persone», ricostruisce nel 1815 Carlo Facchinetti nelle sue «Notizie
patrie», nelle quali peraltro attribuisce i sismi «all’urto violento dell’aria
e dell’acqua di cui ripiene si trovano moltissime caverne». Segnala poi che il
16 novembre 1570 «una scossa fece inabissare un monticello a San Martino della
Pigrizia con rovina di alcune case».
Particolarmente disastroso il 1661. L’anno inizia male:
il 18 gennaio un certo Marchese Clemente (citato in «Historical Seismology» di
Mustapha Fréchet) scrive nel suo diario: «Venne un terremoto alquanto gagliardo
che fece danno notabile». È la preparazione per lo scossone del 12 marzo: ha
epicentro in Valle Seriana e una magnitudo oggi stimata a 5.1.
Padre Calvi annota: «Patria nostra fù da fierissimo
terremoto crollata, che cagionò nel territorio moltissimi danni; caduta del
Reffettorio de Padri di Montecchio con morte d’alcuni, conquassamento del
Convento de Capuccini d’Albino, aperture voraginose della terra, staccamento de
Monti dal luogo loro con altre rovine. Fù il terremoto sentito non solo hoggi,
ma anco in altri giorni antecedenti, & susseguenti, ma l’hodierno riuscì
più de gl’altri spaventoso». Solo otto giorni dopo la terra trema sul lago
d’Iseo. Padre Calvi parla di «picciol terremoto». Ma molto «picciol» non
dev’essere, visto che fa crollare una collina e semina il terrore: a «Castre
cadè da un monte mezzo miglio discorso dal vicino lago tanto vasto pezzo di
rupe sassosa che causò più gran rumore di qual si voglia fiero tuono. Si posero
i popoli di Castre in fuga, quelli di Lovere, Pisogni, & altre terre alla
gran furia del lago atterriti rimasto & il rumore dell’aqua, fù per
diciotto miglia sentito. Si sconvolsero de pescatori le barche, & molti, ne
rimasero affogati sembrando volesse il mondo tutto subissare». L’onda, annota
la famiglia bresciana Bianchi «si porta verso la riva opposta, che rese a
quelle terre molto terrore». Non solo: per padre Calvi durante le scosse
«s’ecclissò alle 18 Hore il sole, così durando per quasi quattro». Ma su quello
stava esagerando
di
Fabio Paravisi
Il
Corriere della Sera - Milano, 23 gennaio 2017
L'appuntamento
è per domani alle ore 8 in località Ponte del Becco, dove si prende il sentiero
che porta a Cantiglio (Val Taleggio). L’occasione è la celebrazione del 73°
anniversario dell’eccidio, dove nella notte tra il 3 e il 4 dicembre 1943, ebbe
luogo uno dei primi rastrellamenti nazifascisti nella nostra provincia. La
banda partigiana che si stava organizzando a Cantiglio venne sorpresa. Furono
uccisi tre partigiani: Giorgio Issel, ebreo, imparentato con la famiglia Cima
di San Giovanni Bianco, il sangiovannese Evaristo Galizzi e il pilota
dell’aviazione francese Marcel Jabin.
La storia
dei partigiani di Cantiglio:
Tra la fine
di ottobre e l’inizio di novembre del 1943 a Cantiglio, un gruppo di cascine
abitate solo d’estate ai piedi del Cancervo, si era costituita una banda
partigiana. Ne era comandante il maggiore "Enzo", Vincenzo Aulisio,
originario di Foggia e giornalista a Milano, amico di Ferruccio Parri e
dirigente di Giustizia e Libertà. Aulisio è un uomo limpido e dai saldi ideali
(finirà ucciso a badilate in un lager tedesco), ma non ha la stoffa del capo.
La personalità dominante della formazione diventa così ben presto quella di
Giorgio Issel, ex sottotenente di artiglieria già facente parte della
"Genova bene", dotato di notevole cultura e soprattutto delle
capacità di comando necessarie per dare una prima organizzazione ad alcune
decine di uomini di diversa origine e mentalità. Issel, ebreo nato nel 1919,
era imparentato con la famiglia Cima di San Giovanni Bianco. All’indomani
dell’8 settembre aveva scelto la strada della resistenza attiva entrando a far
parte del gruppo Carenini che operava nel Lecchese.
Disperso
questo gruppo, nel rastrellamento del 18 ottobre, aveva raggiunto, con alcuni
compagni la Valle Brembana, scegliendo appunto Cantiglio per ricostituire la
formazione, incoraggiato in questo anche dalla vicinanza e dall’aiuto della
famiglia Cima. Del gruppo facevano parte numerosi altri elementi che
ritroveremo nelle vicende della Resistenza bergamasca: Penna Nera, Guglielmo, i
fratelli Angiolino e Valentino Quarenghi e Gastone Nulli, un ex tenente del
controspionaggio che diverrà comandante della 86^ Brigata Garibaldi e
soprattutto il personaggio più discusso delle vicende resistenziali in Valle
Brembana. C’erano poi alcuni ex prigionieri neozelandesi, greci, francesi,
inglesi e jugoslavi e una decina di giovani di San Giovanni Bianco.
L’armamento
consisteva in vecchi fucili mod. 91 e un mitragliatore tipo Breda e assai
scarse erano anche le munizioni. L’esistenza della banda non era naturalmente
passata inosservata. Già a fine ottobre il Segretario del fascio di San
Giovanni Bianco Carlo Galiberti ne avevainformato la Federazione fascista di
Bergamo. Ci fu inoltre un delatore, Luigi Viligiardi, uno sfollato milanese che
si era stabilito alla Costa San Gallo il quale, dietro compenso denunciò alla
Kommandantur di Bergamo Issel e compagni. Costui verrà poi fucilato alla fine
della guerra davanti al cimitero di San Giovanni Bianco. A fine novembre dunque
messi sull’avviso che si stava organizzando un’operazione di rastrellamnento,
la maggior parte dei componenti della banda decise di abbandonare Cantiglio,
rifugiandosi sul Cancervo e in Valle Taleggio. A Cantiglio era rimasto solo un
piccolo presidio capitanato da Issel che aveva ritenuto improbabile un
rastrellamento a breve scadenza, vista l’abbondante nevicata che era caduta in
quei giorni rendendo assai disagevoli gli spostamenti in quella zona impervia.
Così invece non fu.
La notte tra
il 3 e il 4 dicembre un centinaio di militi fascisti e una cinquantina di SS
tedesche, al comando del capitano Bussolt, prendono d’assalto Cantiglio da tre
diverse direzioni. Una squadra sale dalla mulattiera che proviene dal Ponte del
Becco, un secondo gruppo parte dall’Orrido della Val Taleggio, i più numerosi
salgono dalla Pianca dove svegliano il parroco don Ugo Gerosa che era in
contatto con i partigiani e, sotto la minaccia delle armi, lo costringono a far
loro da guida verso Cantiglio assieme a due ragazzi, i cugini Giovanni e Guido
Dogadi.
"Ero di
turno alla seconda centrale - racconta Giovanni Dogadi - quando un gruppo di
tedeschi armati, dopo aver scavalcalo il cancello, si mise a bussare con forza
al portone. Aprii e i tedeschi mi intimarono di seguirli per far loro strada
verso Cantiglio. Non mi lasciarono nemmeno il tempo di mettermi gli scarponi e
dovetti uscire con gli zoccoli. Fatti pochi passi lungo il ripido e sconnesso
sentiero coperto di neve, gli zoccoli si ruppero e fui costretto a proseguire a
piedi nudi, con continui scivoloni. Arrivati ai prati di Cantiglio, mi fu
ordinato di tornare indietro, cosa che feci di corsa. Lungo la discesa, tra uno
scivolone e l’altro, mi giunse l’eco dei colpi di mitraglia che si sparavano a
Cantiglio”
"Nevicava
a dirotto - racconta dal canto suo don Ugo Gerosa - ed erano circa le tre di
notte. La neve rendeva arduo il cammino. Legato con una corda perché non
potessi fuggire, cercai con ogni mezzo di dare qualche segnale ai partigiani
del nostro arrivo. Già prima, dalla mia canonica, mentre stavano arrivando i
fascisti, avevo acceso ripetutamente la luce, malgrado l’oscuramento, nella
speranza che qualcuno se ne avvedesse e sospettasse che c’era in corso questa
azione. Anche lungo la strada cercai di mettere sull’avviso i partigiani
accendendo, col pretesto di fumare, numerosi fiammiferi. Ma tutto fu inutile.
Arrivati all’inizio dei prati che si distendono sotto il nucleo delle cascine
di Cantiglio, venni liberato e costretto a tornarmene a casa. Così mi fu
impossibile fare altri tentativi per avvertire quei poveri sventurati che credo
stessero dormendo"
E
sicuramente era così. Colti di sorpresa, i partigiani iniziano un disperato
tentativo di resistenza, ma ben presto sono sopraffatti dalle soverchianti
forze nemiche. Sorpresi con le armi in pugno, vengono trucidati lssel, il
francese Raimond Marcel Jabin e il sangiovannese Evaristo Galizzi. Gli altri
riuscirono a stento a mettersi in salvo, mentre quattro partigiani, catturati e
non trovati in possesso di armi, furono risparmiati, per finire poi in un campo
di concentramento tedesco. Jabin, maresciallo aviatore di Fontainebleau,
gollista, era un evaso dalla Grumellina e aveva trovato rifugio in un primo
momento a Villa d’Almé presso Dami e Mazzolà, unendosi al gruppo di lssel dopo
un rastrellamento. Evaristo Galizzi, nato a San Giovanni Bianco nel 1922, era
uno dei tanti che avevano preferito la clandestinità piuttosto che entrare
nell’esercito della Repubblica Sociale.
Prima di tornare a valle, i rastrellatori
saccheggiarono e incendiarono poi tutte le baite e la chiesetta della piccola
frazione. L’operazione si concluse nel primo pomeriggio di quel 4 dicembre. Il
giorno dopo il messo comunale di Taleggio, Abramo Bellaviti, salito a Cantiglio
per ordine dei carabinieri, vi trovò il corpo dei tre partigiani, abbandonati
sopra un mucchio di ghiaia. Erano crivellati di pallottole e Jabin aveva il
ventre squarciato ed il volto segnato da colpi di pugnale. I tre caduti vennero
portati a Pizzino con l’aiuto dei compagni superstiti e là furono sepolti tre
giorni dopo, di notte, senza alcuna cerimonia. I solenni funerali avvennero
solo dopo la Liberazione.
Ai tre
caduti di Cantiglio è dedicata la piazza principale di San Giovanni Bianco.
Tratto da
http://www.sentieriorobici.it/escursioni-estive-/2014/06072014-pianca---cantiglio/
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storia di un sogno nerazzurro spezzato
L’operaio della Dalmine nato nel 1922 ricordato allo
stadio prima di Atalanta-Sassuolo. I coetanei: «Sapeva giocare bene ». Tornò
dalle miniere in Polonia, debilitato, facendosi accompagnare al campo per
sedersi su una sedia e guardare le partite. Morì nel 1946
Correva sui campi da calcio di Curnasco, da bambino.
Erano gli anni in cui a Bergamo si costruiva il Brumana. E lui, Beppino, aveva un sogno:
giocare nell’Atalanta. Si chiamava Giuseppe Marcarini, nato a Treviolo nel
1922: di lui hanno parlato più coetanei in un filmato realizzato degli studenti
del Natta, ricordandolo come uno che con il pallone ci sapeva fare, uno che
aveva classe e sapeva stare in campo. Fino alla chiamata alle armi, nel 1940, e
l’arrivo sul fronte di Trieste.
Ma anche lì aveva tentato di non abbandonare la sua
passione per il calcio. Almeno fino all’8 settembre del 1943 e la renitenza
alla leva della Repubblica Sociale Italiana. Beppino, così lo chiamavano, fu
fatto prigioniero dai tedeschi, nei campi di lavoro in Polonia, in miniera,
dove aveva scritto anche un diario tra le righe di un libro di scienze che
trattava come un tesoro segreto. Tornato a Treviolo nel 1945, era libero, ma
non più in grado di reggersi in piedi, e aveva continuato a coltivare la sua
passione per il calcio facendosi accompagnare su una sedia vicino al campo di
Curnasco, a vedere le partite. Fino a quando le forze lo abbandonarono del
tutto: morì nel 1946.
Una storia di vita nel dramma della Seconda Guerra
Mondiale e della follia nazifascista. Sabato allo stadio, all’inizio di Atalanta-Sassuolo,
il club nerazzurro ha rinunciato a 20 secondi di spazio pubblicitario video a
bordo campo, proiettando spezzoni del filmato curato dagli studenti del Natta
su Marcarini. Uno «spot» per la memoria accolto dalla società e voluto
dall’Istituto per la Storia della Resistenza, dal Comune, dalla Uisp e dalla
Lega Calcio
Armando Di Landro
Tratto dal Corriere della Sera di lunedì 1 febbraio
2016
Oggi, 27 gennaio, si commemora
il "Giorno della Memoria". . È stato così designato dalla risoluzione
60/7 dell'Assemblea generale delle Nazioni
Unite del 1º novembre 2005, durante la 42ª riunione plenaria. La risoluzione fu preceduta da una sessione
speciale tenuta il 24 gennaio 2005 durante la quale l'Assemblea generale delle
Nazioni Unite celebrò il sessantesimo anniversario della liberazione dei campi
di concentramento nazisti e la fine dell'Olocausto.
Questa giornata, nella quale
commemoriamo la liberazione del campo di concentramento di Auschwitz
da parte dell'Armata Rossa, non può e non deve essere una mera celebrazione di
una data bensì il ricordo e la testimonianza, purtroppo sempre meno numerosa di
sopravvissuti, di una tragedia che ricorda altre e più recenti, vissute dalla
nostra generazione.
Senza sottovalutare
l'importanza della Shoah
e di coloro che la subirono, quanti altri "olocausti" si sono
verificati successivamente nel mondo. Quante altre tragedie hanno coinvolto
persone, donne, uomini, bambini, nel nome di un'ideologia terrificante.
Per non dimenticare, mai !
Gallicus
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Quinta ed ultima
parte
La banalità del male
Per la cattura degli ebrei
bergamaschi è stato determinante l'apporto della burocrazia e delle milizie
locali. Quella israelita non era infatti una comunità concentrata, ma era
formata da piccoli nuclei sparsi nei vari paesi della provincia, la cui
presenza poteva essere individuata solo con la collaborazioni delle autorità
italiane. A Bergamo la cattura degli ebrei è stata opera quasi esclusiva di
forze della Repubblica sociale italiana e non di soldati tedeschi: dei 44
catturati, solo 3 sono catturati da
tedeschi, mentre per 6 non vi è notizia certa dell’agente di cattura.
Accanto ai nomi di tanti concittadini che aiutarono la comunità ebraica di Bergamo, mettendo a rischio anche la propria incolumità, si devono purtroppo registrare anche tanti episodi di delazione e di fattiva collaborazione per la solerte applicazione delle leggi razziali e per la cattura deportati da Bergamo. Fra i personaggi più tragicamente attivi nella divulgazione dell’odio antisemita e nella cattura degli ebrei si ricorda il sottotenente della Guardia Nazionale Repubblicana Alessandro Ghisleni, nato a Bergamo il 9 settembre 1902, iscritto al PNF. Con la qualifica di squadrista e sciarpa littorio, fra i primi ad aderire al Partito Fascista Repubblicano il 4 ottobre 1943, è membro del triunvirato che organizza la prima struttura del Pfr. a Bergamo, nella GNR, è addetto all’Ufficio politico; al termine della guerra, il 16 maggio 1945, viene arrestato e processato; il 25 agosto 1945 verrà condannato a 24 anni di reclusione, sentenza annullata dalla Corte di cassazione il 8 gennaio 1947 con rinvio della causa al Tribunale di Brescia; emigrato in Argentina nel 1950, rientra a Bergamo nel 1956. Muore a Nateroi (Brasile) il 20 marzo 1966
Così scriveva su “Bergamo
Repubblicana” il 30 novembre 1943:
“Ebbene signori è ora di finirla! Così come è ora di finirla con gli ebrei.. La guerra l’hanno scatenata loro. Loro l’hanno voluta così come è detto nei Protocolli dei Savi di Sion (e a chi non li ha letti consigliamo di prenderne visione). Sono sempre stati i nostri nemici e ancor più lo sono oggi con la costituzione della Repubblica Sociale. E che aspettiamo a trattarli come tali? Aspettiamo forse che dopo aver nascosti e murati i loro tesori – lasciati in custodia ai servizievoli gentili – se la svignino nella ospitale Svizzera e da là continuino la loro nefanda campagna contro di noi? Basta con le parole. I fatti vogliamo, per il bene di tutti, per la salvezza della Patria” .
Il 30 maggio 1944 Ghisleni
era al comando dei militi della Guardia Nazionale repubblicana (GNR) che effettuano la retata all’istituto
Palazzolo, dove avevano trovato rifugio alcuni ebrei nascosti da un
parroco, Don Tranquillo Dalla Vecchia,
attivo membro della Resistenza che sarà poi arrestato e incarcerato a Milano.
All’origine della retata una delazione: un ricoverato a carico dell'Istituto nazionale fascista assicurazione infortuni sul lavoro (Infail) si era lamentato per iscritto presso il predetto Istituto perché gli ebrei nascosti presso l’Istituto Palazzolo erano trattati meglio di lui; l’Infail ha passato la segnalazione alla Prefettura che l’ha inoltrata al Servizio politico della Federazione fascista di Bergamo. I militi si presentano alle porte dell’Istituto il 30 maggio 1944 cercando gli ebrei di cui il delatore ha fatto i nomi: Colli, Tollentino e Piccini.
Alla fine furono 6 gli arrestati: i tre fratelli Vittorio, Mario e Guido Nacamulli, Gustavo Corrado Coen Pirani, Oscar Tollentini, Giuseppe Weinstein.
Tutti vengono interrogati a
lungo, le versioni fornite dai tre fratelli Nacamulli sono evidentemente
concordate: nessuno accenna alla madre o alle sorelle, mentre del padre dicono
che ormai dovrebbe essere espatriato.
I tre fratelli verranno tradotti prima al carcere di Milano, poi al campo di concentramento di Bolzano e da lì il 24 ottobre 1944 deportati ad Auschwitz, dove Vittorio muore in conseguenza dei patimenti subiti il 28 gennaio 1945, quando il campo era ormai stato liberato; Mario e Guido dovranno invece affrontare la infernale marcia di trasferimento fino a Buchenwald, dove moriranno rispettivamente il 27 febbraio 1945 e il 3 marzo 1945.
Giuseppe Weinstein avrebbe potuto salvarsi: è stato fatto fuggire dal parroco, che è stato arrestato e trattenuto in ostaggio in sua vece; saputolo, ha preferito consegnarsi, ottenendo così il rilascio di don Dalla Vecchia.
La cattura è solo l’inizio
della sua odissea, verrà tradotto al carcere di Milano, e poi, il 7 settembre
1944, al campo di concentramento di Bolzano; da lì il 24 ottobre 1944 verrà
deportato a Auschwitz. Sarà ucciso all’arrivo il 28 ottobre 1944.
Gustavo Corrado Coen Pirani viene tradotto al carcere di Milano e successivamente, il 7 settembre 1944, al campo di concentramento di Bolzano, viene deportato il 24 ottobre 1944 a Auschwitz, dove é ucciso all’arrivo, il 28 ottobre 1944.
Sono 44 gli ebrei arrestati a Bergamo e provincia, Dei 44 deportati, 7 sono ultra sessantenni, 5 hanno meno di 18 anni, fra loro due bambini di 3 e 7 anni.
Riportiamo qui i loro nomi, aggiungendovi anche i 3 componenti della famiglia del direttore dell’ospedale psichiatrico, dottor Giuseppe Muggia, censita come ebraica a Bergamo ma arrestata a Venezia, e i 4 componenti della famiglia Piperno, censita nel 1938 a Scanzorosciate e tornata a Milano nel 1941
L’elenco
quindi comprende 51 nominativi, di questi solo 3 si sono salvati da un destino
atroce.
1 AGASTEIN
CHARLIEL PERLA nata a Horodenka (Polonia) i1 2/03/1904
2 AGASTEIN
STOLZBERG CZAMA nato a Horodenka (Polonia) il 05/07/1900
3 IDA
EUGENIA CANTONI nata a Este (Ferrara) il 24 marzo 1891, figlia di Giulio ed
Eugenia Mortara, coniugata con Tito Finzi. Ultima residenza nota: Milano.
Arrestata a Calolziocorte nell'ottobre del 43 da italiani. Detenuta nel carcere
di Bergamo e nel campo di Fossoli.Deportata da Fossoli ad Auschwitz il 5
aprile1944. Uccisa all'arrivo ad Auschwitz il 10 aprile 1944. Fonte Ia,
convoglio 09.
4
ELENA COEN nata a Milano il 25 gennaio
1893, figlia di Marco e Ida Finzi. Arrestata a Bergamo nel marzo 1944 da
italiani. Detenuta nel carcere di Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportata ad
Auschwitz il 16 maggio 1944. Deceduta in data e luogo ignoti. Fonte la,
convoglio 10
5 GUSTAVO
COEN PIRANI nato a Pisa il 19 maggio 1885, figlio di Achille e Clotilde Di
Veroli,.Ultima residenza nota: Genova. Arrestato a Torre Bordone il 30 maggio
1944. Detenuto nel carcere di Bergamo, in quello di Mlilano e nel campo di
Bolzano. Deportato da Bolzano il 24 agosto
1944. Ucciso all'arrivo ad Auschwitz il 28 ottobre. Fonte Ib, convoglio
18.
6 TITO
FINZI nato a Milano il 5 settembre 1881, figlio di Paolo Fausto ed Erica Guastalla, coniugato con Ida
Cantoni. Ultima residenza nota:Milano. Arrestato a Calolziocorte il primo
febbraio 1943, trasferito nel carcere di Bergamo e nel campo di Fossoli.
Deportato da Fossoli il 5 aprile 1944. Ucciso all'arrivo a Auschwitz nell’aprìle 1944. Fonte la, convoglio 09.
7 ERMANNO
FONTANELLA nato a Parma il 12 gennaio 1906, da Ciro e Jole Tedeschi, ultima
residenza nota: Milano. Arrestato a oltre il Colle il 22 ottobre 1943 da
tedeschi. Detenuto a Milano e nel campo
di Fossoli. Deportato a Auschwitz il 2
agosto 1944. Deceduto in evacuazione da Auschwitz il 19 gennaio 1945. Fonte la, convoglio 14.
26 GUIDO
NACAMULLI nato a Istanbul il 10 aprile 1911, figlio di Davide e Margherita
Raffael. Ultima residenza nota: Milano. Arrestato a Torre Boldone il 30 maggio
1944 da italiani. Detenuto nel carcere di Bergamo, Milano e nel campo di
Bolzano. Deportato da Bolzano ad Auschwitz il 24 ottobre 1944. Deceduto a
Buchenwald il 3 marzo 1945. Fonte la, convoglio 18
35 PILADE
SONNINO nato a Livorno il 26 giugno 1900, figlio di Amieto e Bella Marianna
Ortona. Arrestato a Nossa (Bergamo) il 17 agosto 1944 da (...). Detenuto nel
carcere di Milano e nel campo di Bolzano. Deportato da Bolzano ad Auschwitz il
24 ottobre 1944. Deceduto a Mauthausen il 29 aprile 1945, matricola numero.
126531. Fonte la, convoglio 18. Il suo nome compare anche nell'elenco (4518
nominativi) di deportati italiani morti a Mauthausen, allegato al libro «Tu
passerai per il Camino», di Vincenzo Pappalettera (Mursia 1965).
36 RACHELE
LEA STERNER nata a Tarnopol (Polonia) l'U settembre 1889, figlia di Joseph e
Sofìa Hassner, coniugata con Ma-nas (...). Ultima residenza nota: Fiume.
Arrestata a Treviglio nel dicembre 1943. Detenuta nel carcere di Bergamo e nel
campo di Fossoli. Deportata da Fossoli ad Auschwitz il 22 febbraio 1944.
Deceduta in luogo ignoto dopo il 16 agosto 1944.
37 ISRAEL
STOLZBERG nato a Kamionka (Polonia) il 05/09/1906
38 ADA
TEDESCHI nata a Firenze il 3 febbraio 1883, figlia di Emanuele e Amalia Latis.
Ultima residenza nota: Milano. Arrestata ad Ambi vere il primo dicembre 1943 da
italiani. Detenuta nel carcere di Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportata da
Fossoli il 5 aprile 1944. Uccisa all'arrivo ad Auschwitz il 10 aprile 1944.
Fonte la, convoglio 09.
39 EMMA
BIANCA TEDESCHI nata a Firenze il 13 febbraio 1887, figlia di Emanuele e Amalia
Latis, coniugata con Guido Levi. Arrestata ad Ambivere il primo dicembre 1943.
Detenuta nel carcere di Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportata da Fossoli il
5 aprile 1944. Deceduta in luogo e data ignoti. Ponte la, convoglio 09.
40 OSCAR TOLENTINI nato a Trieste nel
1884, è un maestro di canto, risiede a Milano,arrestato a Bergamo, tradotto nel carcere di Milano, vi troverà la
morte in stato di detenzione il 16/8/1944.
41 MARGHERITA
VTTERBO nata a Torino il 9 giugno 1892, figlia di Gustavo e Amalia Levi,
coniugata con Salvatore Levi. Ultima residenza nota: Milano. Arrestata a Nembro
il 23 febbraio 1944 da italiani. Detenuta nel campo di Fossoli. Deportata da
Fossoli ad Auschwitz il 5 aprile 1944. Deceduta in luogo e data ignoti. Fonte
la, convoglio 09.
42 GIUSEPPINA
WEINBERGER nata a Vienna il 25 ottobre 1878, figlia di Giuseppe e Carlona
Spitz, coniugata con Marco Krys. Ultima residenza nota: Cosenza. Arrestata in
provincia di Bergamo il (...) da italiani. Detenuta nel carcere di Bergamo e
nel campo di Fossoli. Deportata da Fossoli ad Auschwitz il 5 aprile 1944.
Uccisa all'arrivo ad Auschwitz il 10 aprile 1944. Fonte la, convoglio 09.
43 Giuseppe Weinstein è di origini cecolosvacche è nato
Banov nel 1876, commerciante, arrestato a Bergamo,verrà deportato a Auschwitz.
Sarà ucciso all’arrivo il 28/10/1944
44 HARRY
ZENGER nato a Vienna (Austria) il 18 agosto 1937, figlio di Bernardino ed
Elisabetta Haftel. Ultima residenza nota:
Cosenza. Arrestato in provincia di Bergamo il (...) da
italiani. Detenuto nel carcere di Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportato da
Fossoli ad Auschwitz il 5 aprile 1944. Ucciso all'arrivo ad Auschwitz il 10
aprile 1944.
Deportati
censiti come ebrei a Bergamo nel 1938, arrestati e deportati da altre città
45 GIUSEPPE
MUGGIA nato a Busseto (Parma) il 25 aprile)I877 ;
figlio di Emilio e Cesira Basola, coniugato con Maria
Ester Levi. Ultima residenza nota: Venezia. Arrestato a Venezia il 5 dicembre
da italiani . detenuto nel carcere di Venezia e nel campo di Fossoli (Modena).
Deportato da Fossoli il 22 febbraio 1944 ad Auschwitz. Ucciso all'arrivo ad
Auschwitz il 26 febbraio 1944. Fonte Ib, convoglio 08.
46 FRANCA
MUGGIA nata a Venezia il 15 aprile 1909, figlia di Giuseppe e Maria Ester Levi.
Ultima residenza nota: Venezia. Arrestata a Venezia il 5 dicembre 1943 da
italiani. Detenuta nel
carcere di Venezia e nel campo di Fossoli. Deportata
da Fossoli il 22 febbraio 1944 ad Auschwitz. Deceduta in luogo e data ignoti.
Fonte Ib, convoglio 08.
47 MARIA
ESTER ANNA LEVI nata a Treviso l’8 giugno1884, figlia di Perfetto e Giuseppina
Coen. Ultima residenza nota: Venezia. Arrestata a Venezia il 5 dicembre 1943 da
italiani. Detenuta nel carcere di Venezia e nel campo di Fossoli. Deportata
da Fossoli il 22 febbraio 1944 ad Auschwitz. Uccisa all'arrivo ad Auschwitz il
26 febbraio 1944. Fonte Ib, convoglio 08.
48 SINIGALLIA
LIVIA nata a Milano il 24/06/1906,
figlia di Mario e Emilia Jacchia
49 PIPERNO
ODORICO nato Alessandria d’Egitto il 18/6/1911 figli di Menotti e Valentina
Benedetti
50 PIPERNO RAMBALDO nato a Milano l’8/09/1930 figlio di Odorico Piperno e Livia Sinigallia
51 PIPERNO RENZO nato a Milano
l’1011932 figlio di Odorico Piperno e Livia Sinigallia
Sono molti gli episodi raccolti nelle memorie di
ebrei fuggiti alla cattura grazie a numerosi atti di eroismo, grandi e piccoli
di nostri concittadini.
I bergamaschi iscritti
nell’elenco dei Giusti fra le nazioni sono : Lydia Gelmi Cattaneo,
il capitano Benedetto de Beni, la famiglia Bonaiti di Calolzio.
Accanto a questi nomi va
ricordata l’azione organizzata da reti quali quella dei gruppi giustizia e
libertà o da sacerdoti come don Eugenio Bussa e Don Tranquillo dalla Vecchia,
un elemento di rilievo nei gruppi che aiutavano ebrei, prigionieri di guerra e
partigiani a nascondersi ed espatriare.
Ma accanto a questi nomi ne
dovrebbero comparirne molti altri, perché furono molti che , anche rischio di
gravose conseguenze e mettendo a repentaglio la loro stessa vita, agirono per
salvare le vite di numerosi ebrei.
Riportiamo qui per tutte le
due testimonianze apparse sull’Eco di Bergamo del 27/1/03
Testimonianza di Eurosia
Frosio : Eurosia Frosio abita in
viale Alle Fonti, a Sant'Omobono. Per decenni ha condotto l'albergo Moderno
quando le terme di Sant'Omobono erano frequentate dai «signori», da gente che
arrivava da ogni parte d'Italia e anche dall'estero. Eurosia ha 88 primavere
sulle spalle, ma la mente è lucida, certi ricordi sono rimasti vivaci, ….
"Qui ce n'erano tanti
di ebrei. Fino a un certo punto erano qui come confinati, io non ricordo di
preciso quando. Poi li portavano via tutti e allora li abbiamo nascosti. Tanti
siamo riusciti a salvarli, qualcuno no.
Li abbiamo nascosti anche
nella chiesa, persino sul pulpito. Qualcuno non l'abbiamo salvato. Come quel
bambino che aveva sei o sette anni ed era a scuola. Qualcuno fece una spiata,
arrivarono le SS a scuola, fecero dire che c'era il papà per il bambino che si
chiamava Haller. Purtroppo il bambino si alzò dal banco. Non l'abbiamo più
visto. Andarono a prendere anche suo padre e sua madre. Ci dissero che vennero
uccisi, a Bergamo. Chissà se è vero. Ma non sono più tornati»….
«Noi abbiamo nascosto qui
una famiglia di ebrei, il Cassetti aveva su almeno venti persone, il Cefis
altre due famiglie. A un certo punto gli ebrei erano nascosti anche nelle
grotte come il Bus del Valù; grazie al parroco don
Filippo Longo, gli ebrei vennero nascosti anche nel campanile e persino sul
pulpito, quello che c'era in alto, in chiesa, da dove il parroco predicava
nell'ora della dottrina. Ne ha aiutati anche lui di ebrei. Una volta c'era un
rastrellamento dei tedeschi, portavano via gli uomini del paese. Era domenica
pomeriggio, c'era dottrina. Il parroco in bergamasco disse: "Tócc i omegn
i e scàpe! Perché gh'è i todè-sc!" e il paese si fece deserto».
….La signora Eurosia è
seduta al tavolo del soggiorno, …dice che la memoria vacilla, fa fatica, non
ricorda bene. Ma non è vero. Racconta: «Ci sono stati tanti episodi, ma io ne
ricordo pochi. Una volta ricordo che c'erano un giovane e una giovane…quel
giovane e quella giovane parlarono con il Piero Moscheni che aveva i roccoli su
alla Passata, dove c'è lo spartiacque fra la nostra valle e Carenno, la zona di
Lecco. Seppi poi che il Moscheni li aveva aiutati a passare davvero a Lecco.
Poi gli ebrei salivano in Valtellina e riparavano in Svizzera».
Realtà che sembra romanzo,
fughe, terrori, ingiustizie terribili. «Un'altra volta - racconta Eurosia
Frosio - era sera e l'albergo era chiuso, io penso fosse la primavera del 1944.
Sentimmo bussare, aprimmo. C'era il Sami e con lui altre sette, otto persone,
erano tutti ebrei. Ricordo che avevano le scarpe ai piedi e un altro paio in
mano e mio papa li fece entrare e gli chiese che cosa facevano con le scarpe in
mano. Il Sami ha risposto che servivano delle scarpe di riserva perché
sarebbero fuggiti su per la montagna e per i boschi. Poi ricordo che mio padre
riattizzò il camino per fare bollire l'acqua per preparare una camomilla,
qualcosa per loro, ma loro gli dissero di spegnere subito perché altrimenti le
SS avrebbero visto il fumo del camino e si potevano insospettire…. Noi in
albergo avevamo una famiglia di quattro persone, papa, mamma e, i due figli,
uno era ingegnere, l'altro studiava. Erano ebrei, erano ricchi, tutti gli ebrei
erano molto ricchi. All'inizio erano qui e tutte le domeniche alle 10 dovevano
andare a firmare in caserma. Dopo 1'8 settembre del 1943 la situazione è
peggiorata e loro sono scappati. Avevano qui da noi quindici bauli. Quando
scapparono, di notte, non presero con loro niente, hanno lasciato qua tutto e
preso soltanto una borsa con soldi e oro. So che si salvarono, che arrivarono
in Svizzera anche se gente della valle gli portò via la borsa. Noi gli
nascondemmo i bauli in solaio, sotto la legna. So che si salvarono perché dopo
la guerra tornarono a prendere la loro roba e restammo amici, mi mandarono un
orologio d'oro per ringraziamento. Brava gente»
Paolo Aresi dall’Eco di
Bergamo del 23/1/03
Testimonianza di Fausto
Asperti. Il ricordo di Fausto
Asperti, 75 anni, conosciuto in città anche per la sua attività di fotografo
come "Foto Express», riporta all'estate del 1944, all'ultimo anno di
guerra. Siamo nel cuore di Bergamo, nella piazzetta Santo Spirito di Borgo
Pignolo, In quell'estate, Fausto Asperti aveva 17 anni, abitava a Valtesse,
sfollato
«Eravamo sfollati a
Valtesse, dalla nonna, era estate. Ricordo perfettamente quel giorno. Tornai a
casa improvvisamente, faceva caldo. Stavamo in piazzetta Santo Spirito. Aprii e
vidi in casa mia dodici o tredici persone... Rimasi di stucco. Seppi poi che
erano ebrei che la mia famiglia alloggiò in attesa che fuggissero verso la
Svizzera… mio padre e mia madre non volevano coinvolgerci in queste vicende,
l'ho capito dopo. Ricordo che facevo le scuole a Calmine e studiavo musica.
Quel giorni mi accorsi che mi mancava un libro, uno spartito, non ricordo bene.
Cosi presi la bicicletta e tornai nella mia casa della piazzetta, salii le
scale, aprii la porta e vidi quella dozzina di ebrei. Dovevano essere tre
famiglie, c'erano anche dei bambini. Si spaventarono, poi facemmo qualche
parola. Erano di provenienza slava, venivano dalla Romania, dalla Jugoslavia,
non ricordo bene. Scesi, andai a chiamare mio padre in pasticceria, lui mi
portò su, mi presentò, disse che ero suo figlio, di non preoccuparsi. Ma
soltanto dopo la guerra venni a sapere che erano ebrei. Mia madre restò in
contatto con loro per molti anni, conservava le tre sterline d'oro che le
donarono quando se ne andarono. Non so bene come fosse il meccanismo, ma penso
che salissero in treno fino a Piazza Brembana e che poi scappassero in Svizzera
attraverso il Passo di San Marco o qualcuno dei passi lì attorno».
Paolo Aresi , dall’Eco di
Bergamo del 27/1/03
Fonti:
Articoli di Silvio Cavati, Mauro Danesi e interviste di Paolo Aresi dall’ Eco di Bergamo del 17 genanio 2003 e 27 gennaio 2004
Silvio Cavati “EBREI A BERGAMO 1938-1945: la deportazione
Parte Prima *- Studi e ricerche di storia contemporanea (rassegna
dell’istituto ISREC”) n.60-dicembre 2004
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Storie di Ebrei
bergamaschi perseguitati - Parte Quarta
Ancora altre famiglie.
Foto di repertorio
Ancora altre famiglie.
Pochissime sono le notizia
che abbiamo di questa famiglia, poco più dei dati anagrafici ed un elenco di
beni, prevalentemente vestiario, contenuti in cinque casse e sequestrati nella
Villa dell’erba di Treviglio.
Eppure bastano questi dati
per darci conto di una storia terribile, quella di Rachele e del marito, e di
una finora sconosciuta storia d’amore e di solidarietà, quella di una delle due
figlie.
Rachele Lea Stern è nata a Tarnopol in Polonia l’11
settembre 1889, non sappiamo dove incontra Simeone Manas, ebreo romeno nato a
Galatz il 25 settembre 1884.
A Vienna nascono le due
figlie: Charlotte il 25 maggio 1910 e Cecilia l’11 luglio 1923.
Non sappiamo quando la famiglia Manas giunge
in Italia, probabilmente a Milano, fuggendo dall’Austria occupata dai nazisti
nel 1939; in tempi successivi si sono o sono stati trasferiti nell’Italia del
sud come molti altri ebrei stranieri, all’anagrafe di Treviglio vengono
registrati come provenienti da Polla (Salerno) il 15/3/1942.
La registrazione anagrafica
presenta alcune anomalie: contrariamente ad altri internati liberi, sono
regolarmente iscritti nell’anagrafe, sulle schede non è riportata la loro
cittadinanza, benché da un altro documento, rinvenuto presso il Comune di
Serina, risulti chiaramente il loro status di stranieri internati liberi.
La figlia Cecilia ha
conosciuto probabilmente durante il soggiorno al sud un ufficiale
dell’esercito, Gerardo Politi, con cui ha contratto matrimonio religioso, che
non ha potuto essere registrato nello stato civile a causa delle leggi
esistenti.
E’ da notare che il marito,
ufficiale dell’esercito e ingegnere chimico, che ha messo a repentaglio la
propria posizione per sposare Cecilia, deve godere di cospicui appoggi se
riesce ad ottenere un trattamento di attenzione nei confronti della moglie.
L’ordinanza di polizia
della RSI del 30 novembre 1943 sconvolge anche la vita della famiglia Manas:
Rachele viene arrestata nello mese di dicembre, portata prima al carcere di
Bergamo, poi al campo di Fossoli, partirà per Auschwitz il 22 febbraio 1944,
morirà in luogo e data ignoti dopo il 16 agosto 1944.
Simeone troverà la morte
prima della moglie: è deceduto il 30 gennaio 1944 per emorragia cerebrale,
impossibile sapere se dovuta a cause naturali o a violenza.
Le due figlie sfuggono
invece alla cattura.
Sappiamo che a Treviglio
altri ebrei hanno trovato rifugio sia presso le suore sia presso famiglie di
privati, l’unico dato certo è che Cecilia viene raggiunta dal marito e il 30
gennaio 1945 viene celebrato da monsignor Egidio Bignamini il matrimonio
religioso.
Non sappiamo cosa abbia
indotto gli sposi a ripetere la cerimonia, ma possiamo supporre l’impossibilità
di procurarsi la documentazione del primitivo matrimonio e necessità connesse
all’occultamento o alla fuga di Cecilia; il matrimonio è registrato nei
registri dello stato civile del Comune di Treviglio al termine della guerra.
Le sorelle Manas verranno cancellate d’ufficio dall’anagrafe
di Treviglio per irreperibilità al censimento del 1951; troviamo però alcune altre
notizie di Cecilia nell’anagrafe del comune di Polla: viene infatti iscritta in
quel comune il 23 novembre 1953 proveniente da Napoli, in cui risulta essersi
censita; Cecilia si fermerà a Polla fino al 1970 quando verrà cancellata per
emigrazione negli Stati Uniti.
Regina Hazan è nata in Turchia a Smirne il 20 dicembre
1905, non sappiamo se ha conosciuto il futuro marito sulle coste dell’Egeo o a
Milano, dove Abraham Levj risiede dal 30 giugno 1927, è certa invece la data
del matrimonio: il 12 novembre 1931.
Milano è la città dove si svolge la vita della coppia
fino all’emanazione delle leggi razziali ed è qui che il 6 novembre 1932 nasce
il primo figlio, Vittorio.
I coniugi Levi non posseggono la cittadinanza
italiana: Abrham Levj, nell’atto di nascita del figlio Vittorio (1932), è
qualificato come cittadino portoghese, la moglie Regina, nell’atto di nascita
della figlia Ester Vittoria (1941), è
qualificata come cittadina portoghese, ma è in possesso anche della cittadinanza
turca, così almeno risulta all’anagrafe di Milano nel 1942.
La promulgazione delle leggi razziali induce la coppia
alla fuga: Levj Abraham viene cancellato dall’anagrafe di Milano per l’estero
il 2 marzo 1939.
La fuga all’estero però non riesce: non ci sono
notizie della famiglia Levj fra il 1939 e il 1941, impossibile quindi dire se
anche loro hanno tentato, senza successo, di raggiungere la Palestina
attraverso la Libia, come molti ebrei stranieri residenti in Italia, o se hanno
cercato di raggiungere un’altra nazione sicura: di certo qualcosa non ha
funzionato, ed entrambe sono di nuovo a Milano, in via Bottesini 18, quando il
19 gennaio 1941 nasce Ester Vittoria; all’anagrafe di Milano risultano però
reiscritti d’ufficio, a quell’indirizzo, soltanto il 6 febbraio 1942: segno
inequivocabile che i coniugi Levj non hanno ritenuto opportuno segnalare il
loro rientro alle autorità.
Forse è da collegarsi alle leggi razziali e a questo
periodo tormentato un altro fatto curioso: Abraham Levj - così compare all’anagrafe e negli atti di
nascita dei figli - preferisce usare il nome italianizzato Levi e farsi
chiamare Alberto, probabilmente un secondo nome, e in tal modo si firma anche
nelle lettere che indirizza al Prefetto di Bergamo dopo la Liberazione.
La presenza in Milano non è destinata a durare a
lungo: nell’anno 1943 Regina Hazan con i figli
e il marito è confinata a Trescore Balneario, come ci informa lo stesso
Comune.
Non conosciamo le condizioni economiche della famiglia
in questo periodo, anche se è facile dedurre una situazione piuttosto critica:
alla nascita del primo figlio (1933), Abraham si dichiara commerciante; alla
nascita della figlia, nel 1941, venditore ambulante; la famiglia doveva avere
raggiunto una certa tranquillità economica: la casa di Milano nel contesto
della documentazione appare di loro proprietà, ma le leggi razziali e la fuga
all’estero hanno certamente aggravato la loro situazione: l’appartamento di
Trescore e i beni lì sequestrati non descrivono una situazione florida, e
Abraham nelle lettere scritte dopo la liberazione dichiara apertamente la
propria difficile situazione economica.
E’ probabilmente la necessità di procurare da vivere
alla famiglia che porta Abraham ad allontanarsi da Trescore ed è questo che lo
salva: non è in casa quando un giorno del febbraio 1944 militi italiani della
Rsi si presentano alla porta dei Levj e
arrestano la madre e i due figli.
Possiamo quasi vedere Regina avviarsi verso la
camionetta dei militi tenendo in braccio
la piccola Ester Vittoria, che ha appena due anni, e Vittorio, che ne ha 11, seguirla impaurito,
ma forse anche eccitato per l’insolita avventura.
La destinazione è prima il carcere di Bergamo, poi il
campo di concentramento di Fossoli.
Malgrado quello che compare nelle comunicazioni del
comune di Trescore, Regina Hazan non è apolide, bensì cittadina turca, paese
ancora neutrale nel 1943, e i figli Vittorio e Ester Vittoria sono cittadini
portoghesi, ed anche il Portogallo è ancora un paese neutrale, ma questo non
basta a salvarli dalla deportazione.
Il 5 aprile 1944 un treno li porterà ad Auschwitz;
sullo stesso treno vi sono altri 19 ebrei catturati in provincia di Bergamo,
fra cui altre due famiglia con eguale cognome: i tre membri della famiglia di
Salvatore Levi e i sette membri della famiglia Levi di Ambivere.
Regina e i figli arrivano ad Auschwitz il 10 aprile
1944: Vittorio e Ester Vittoria, troppo piccoli per essere in qualche modo
sfruttati verranno subito uccisi; Regina morirà più tardi, ma non si conoscono
il luogo e la data esatta
L’atto di morte
registrato allo stato civile del comune di Milano ci informa: “La suddetta
Hazan Regina è morta in seguito ad asfissia nelle camere a gas (in
deportazione) ed è stata sepolta e la
salma cremata nel campo stesso”
Le vicende delle famiglie Schwamenthal e Zimet, possono essere assunte come paradigma delle
condizioni degli “internati liberi”.
La famiglia Schwamenthal è internata nel campo di
Ferramonti di Tarsia il 23 luglio 1940, ad oltre un mese dallo scoppio della
guerra e venti giorni prima che l’internamento venga codificato in legge,
evidentemente i primi provvedimenti erano stati presi per pura via
amministrativa.
Il 4 di ottobre, gli Schwamenthal sono trasferiti al nord, prima destinazione
Trescore Balneario e subito dopo Clusone, dove giungono l’ 8 o il 9 di ottobre
Gli internati dovono presentarsi giornalmente a
firmare il registro di presenza alla stazione dei carabinieri e ricevono un
sussidio dallo stato:…
Il sussidio non è sufficiente a garantire la
sopravvivenza, …
Gli internati ebrei cercano pertanto di arrotondare il
magro sussidio con varie attività, come viene riferito da diverse
testimonianze:
Il marito di Alice Redlich riesce a guadagnare
qualcosa rivendendo tessuti che gli vengono affidati da alcuni negozianti di
Ardesio, girando a piedi nelle frazioni tra Gromo e Ardesio.
Diversi si guadagnavano la vita lavorando ritagli di
pellicceria o vendendo le pellicce così confezionate alla popolazione. Il
comportamento esemplare degli internati ha valso a conquistare loro la stima
non solo della popolazione del paese, ma anche delle Autorità.
Gli ebrei ricevono in genere la solidarietà della
popolazione, ma destano anche l’ostilità di esponenti fascisti antisemiti
presenti nei più importanti paesi delle valli: alle lamentele di questi
personaggi viene attribuito lo
spostamento degli internati in paesi più piccoli e decentrati:
La famiglia Schwamenthal viene trasferita a Gromo il
31 maggio 1942, ma l’ordine di trasferimento era già pervenuto il giorno venti.
La famiglia
Zimet e altre due famiglie internate a S. Giovanni Bianco nel corso dell’estate
vengono trasferite a Serina.
Gli Zimet e gli Schwamenthal riescono a fuggire
sottraendosi al terribile destino che hanno incontrato altre famiglie di
“internati liberi” .
Tratto da http://viali2.altervista.org/documenti/27.htm
Segue
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Storie
di Ebrei bergamaschi perseguitati
Terza parte - Altre famiglie
tra salvezza e deportazione
Marco Krys è un ebreo di
origini polacche, è nato a Leopoli (Polonia) il 2 aprile 1877, è sposato con
Giuseppina Weinberger, nata a Vienna il 25 ottobre 1878.
I coniugi Krys vengono
portati al carcere di Bergamo, e poi al campo di concentramento di Fossoli.
CAMPO DI CONCENTRAMENTO –
FOSSOLI (Modena)
Il giorno dopo, il 5 aprile
1944 parte il convoglio per Auschwitz, con loro altri 21 ebrei catturati nella
provincia di Bergamo; giungeranno ad Auschwitz il 10 aprile 1944, dove
troveranno subito la morte nelle camere a gas.
Il loro arrivo e la loro
permanenza a Serina sono documentati dai permessi di soggiorno e altra
documentazione burocratica che ci consente di confermare e completare il
racconto della Zimet-Levy dando una compiuta identità a queste persone.
Schrecker Erwin è un ebreo
boemo, è nato a Praga (Cecoslovacchia) il 1 agosto 1898, è sposato con Leopolda
Kosicek, nata a Ksnova (Cecoslovacchia), non sappiamo in che data.
“Uno dei nuovi arrivati, il
signor Schrecker, che era stato fra i miei insegnanti nella scuola del campo,
propose ai miei genitori di continuare a darmi lezioni in tutte le materie,
date le circostanze. Eravamo contenti: lui di avere un'alunna e io di poter
continuare a studiare. C'era solo un guaio: entrando nel mondo degli studi,
dimenticava che ero una bambina delle elementari e pensava di avere davanti a
sé uno dei suoi alunni di liceo. A volte mi terrorizzava perché voleva che
imparassi tante materie non adatte alla mia età, così che spesso mio padre
doveva intervenire.”
Gli Stolzberg sono ebrei
polacchi, il marito Israel Stolzberg è nato a Kamionka (Polonia) il 5 settembre
1906.
Ai due coniugi si è
aggregata la sorella di lei, Agatstein Chaliel Perla nata a Horodenka il 12
marzo 1904: il permesso di soggiorno di Perla, rilasciato dal Comune di Serina in data 25
febbraio 1943 indica come
data di ingresso in Italia l’11 aprile 1938, quale scopo del soggiorno è
dichiarato, con burocratica ironia: diporto.
Le due famiglie vengono
arrestate il 3 dicembre 1943.
Contrariamente agli Zimmet
non hanno saputo approfittare delle possibilità di fuga che il maresciallo
comandante della locale stazione dei carabinieri ha di fatto offerto agli ebrei
internati e saranno portati al carcere di Bergamo.
Gli Stolzberg verranno
deportati da Fossoli ad Auschwitz il 16 maggio 1944 e vi troveranno la morte,
non sarà possibile accertarne il luogo e la data esatta.
Leopolda Kosicec, giunta a
Bergen Belsen il 5 agosto, riesce a sopravvivere e viene liberata dalle truppe inglesi il 15
aprile 1945.
Pochissime sono le notizia
che abbiamo di questa famiglia, poco più dei dati anagrafici ed un elenco di
beni, prevalentemente vestiario, contenuti in cinque casse e sequestrati nella
Villa dell’erba di Treviglio.
Le sorelle Manas verranno cancellate d’ufficio dall’anagrafe
di Treviglio per irreperibilità al censimento del 1951; troviamo però alcune altre
notizie di Cecilia nell’anagrafe del comune di Polla: viene infatti iscritta in
quel comune il 23 novembre 1953 proveniente da Napoli, in cui risulta essersi
censita; Cecilia si fermerà a Polla fino al 1970 quando verrà cancellata per
emigrazione negli Stati Uniti.
Altre famiglie
tra salvezza e deportazione
Non sappiamo quando i
coniugi Krys sono venuti in Italia né da dove, sono cittadini stranieri e, in
quanto ebrei, nemici, vengono internati nel campo di Ferramonti di Tarsia, presso Cosenza.
Come molti ebrei presenti
nei paesi della montagna bergamasca hanno ottenuto di lasciare il campo e sono
stati confinati a Gromo, dove abitano nella casa della signora Angelina
Giudici.
Sono fra i primi arrestati
nella bergamasca: è il 1° dicembre quando il maresciallo dei carabinieri di
Gromo si attiva per catturare le due famiglie presenti in paese, quella di
Leise Schwamenthal e Alice Redlich e quella degli anziani coniugi Krys.
Alice Radlich,
avventurosamente sfuggita alla cattura, ci racconta l’arresto dei coniugi Krys:
“… E allora siamo tornati a
casa e in casa c’era ancora il maresciallo che andava su da quei due vecchietti
e diceva: “Oggi pomeriggio vi porto, dovete venire a Bergamo con me”. Loro
erano molto religiosi e sabato sera si festeggiava, cioè già il venerdì sera si
cominciava a festeggiare il sabato ed era venerdì, e loro dicevano: “No, noi il
venerdì sera non ci mettiamo in viaggio, non possiamo”. E allora il maresciallo
si mise a gridare e gridava anche verso di me dicendo: “Avevate tutto il tempo
per scappare, ma adesso io tengo gli occhi bene aperti, adesso non provateci
neanche perché ci andrò di mezzo io”.
Da qui ci giunge
un’ulteriore testimonianza: i signori Krys scrivono ad Angelina Giudici che li
aveva ospitati a Gromo una cartolina postale:
“Fossoli 4 aprile 1944
Cara signorina Angelina
circa due settimane fa vi abbiamo scritto una cartolina postale alla quale non
abbiamo ricevuto nessuna risposta. Siccome dobbiamo domani inevitabilmente
partire da qui e non sappiamo dove e non sappiamo il nostro destino. Vi
preghiamo caldamente di non inviarci intanto nessuna posta fino riceverete il
nostro nuovo indirizzo e di conservare gentilmente i nostri oggetti in un luogo
buono e sicuro, perché attualmente non abbiamo indirizzo fisso e dobbiamo
ricevere il nostro destino con rassegnazione e sperare alla prossima pace per
l’umanità. State tutti bene e tanti tanti cordiali saluti e migliori voti.
Coniugi Krys.”
Regina Zimet-Levy, giovane ebrea internata con la
famiglia a Serina e sfuggita all’arresto, ci racconta che a Serina nell’autunno
del 1943 erano internate altre due famiglie ebree, che non ebbero il coraggio
di affrontare i rischi della fuga e furono in seguito catturate e deportate: gli
Schrecker e gli Stolzberg.
I coniugi Schrecker sono
giunti in Italia il 26 maggio 1939, ufficialmente per cure, in realtà per
sfuggire alle persecuzioni naziste dopo che, il 15 marzo 1939, l’esercito
tedesco ha invaso la Cecoslovacchia.
Allo scoppio della guerra
sono internati nel campo di Ferramonti di Tarsia, dove Erwin insegna nella
scuola costituita dagli ebrei all’interno del campo; successivamente è
confinato a San Giovanni Bianco, dove reincontra la famiglia Zimet, e da
lezioni scolastiche a Regina:
Nel febbraio del 1943 gli Schrecker e gli Zimet
sono trasferiti a Serina, come testimonia la carta di soggiorno rilasciata dal
Comune di Serina in data 25 febbraio 1943
La firma Schrecker compare
anche su un biglietto di condoglianze inviato il 2 novembre 1942 dagli
internati liberi presenti nel paese al podestà in occasione della morte del
padre: oltre a quella degli Schrecker il biglietto porta la firma di J.
Stolzberg e moglie, P. Agadstein, F. Zimet e famiglia.
All’autorità di P.S. del
comune di S. Giovanni Bianco dichiara di essere di nazionalità polacca di
professione commerciante e di essere venuto in Italia a scopo di commercio; in
Italia è giunto l’11 aprile 1938 con la moglie, Agatstein Czama, nata a
Horodenka (Polonia) il 5 luglio 1900.
La signora Perla risulta
coniugata in Halzel, ma non vi è traccia nelle carte né nel racconto di Regina
Zimet del marito.
Anche gli Stolzberg sono stati internati nel campo
di Ferramenti e successivamente confinati a S. Giovanni Bianco e a Serina.
Tutte due le famiglie verranno
successivamente internate al campo di transito di Fossoli.
Più lunga è la permanenza
degli Schrecker a Fossoli: non vengono inviati ai campi di sterminio in
Germania con i primi sei convogli che a partire dal 19 febbraio avevano
caricano migliaia di ebrei nella vicina stazione di Carpi.
Giunge però anche il loro
turno: I coniugi Schrecker e alcune altre centinaia di deportati vengono
trasportati a Verona dove vengono separati e caricati su vagoni diversi.
Il treno, partito il 2
agosto 1944, verrà frazionato lungo il percorso.
Erwin Schrecker non ha
avuto la stessa fortuna: giunto ad Auschwitz il 6 agosto vi trova la
morte, senza che sia possibile accertare
il luogo e la data esatta.
Eppure bastano questi dati
per darci conto di una storia terribile, quella di Rachele e del marito, e di
una finora sconosciuta storia d’amore e di solidarietà, quella di una delle due
figlie.
Rachele Lea Stern è nata a Tarnopol in Polonia l’11
settembre 1889, non sappiamo dove incontra Simeone Manas, ebreo romeno nato a
Galatz il 25 settembre 1884.
A Vienna nascono le due
figlie: Charlotte il 25 maggio 1910 e Cecilia l’11 luglio 1923.
Non sappiamo quando la famiglia Manas giunge
in Italia, probabilmente a Milano, fuggendo dall’Austria occupata dai nazisti
nel 1939; in tempi successivi si sono o sono stati trasferiti nell’Italia del
sud come molti altri ebrei stranieri, all’anagrafe di Treviglio vengono
registrati come provenienti da Polla (Salerno) il 15/3/1942.
La registrazione anagrafica
presenta alcune anomalie: contrariamente ad altri internati liberi, sono
regolarmente iscritti nell’anagrafe, sulle schede non è riportata la loro
cittadinanza, benché da un altro documento, rinvenuto presso il Comune di
Serina, risulti chiaramente il loro status di stranieri internati liberi.
La figlia Cecilia ha
conosciuto probabilmente durante il soggiorno al sud un ufficiale
dell’esercito, Gerardo Politi, con cui ha contratto matrimonio religioso, che
non ha potuto essere registrato nello stato civile a causa delle leggi
esistenti.
E’ da notare che il marito,
ufficiale dell’esercito e ingegnere chimico, che ha messo a repentaglio la
propria posizione per sposare Cecilia, deve godere di cospicui appoggi se
riesce ad ottenere un trattamento di attenzione nei confronti della moglie.
L’ordinanza di polizia
della RSI del 30 novembre 1943 sconvolge anche la vita della famiglia Manas:
Rachele viene arrestata nello mese di dicembre, portata prima al carcere di
Bergamo, poi al campo di Fossoli, partirà per Auschwitz il 22 febbraio 1944,
morirà in luogo e data ignoti dopo il 16 agosto 1944.
Simeone troverà la morte prima della moglie: è
deceduto il 30 gennaio 1944 per emorragia cerebrale, impossibile sapere se
dovuta a cause naturali o a violenza.
Le due figlie sfuggono
invece alla cattura.
Sappiamo che a Treviglio
altri ebrei hanno trovato rifugio sia presso le suore sia presso famiglie di
privati, l’unico dato certo è che Cecilia viene raggiunta dal marito e il 30
gennaio 1945 viene celebrato da monsignor Egidio Bignamini il matrimonio
religioso.
Non sappiamo cosa abbia
indotto gli sposi a ripetere la cerimonia, ma possiamo supporre l’impossibilità
di procurarsi la documentazione del primitivo matrimonio e necessità connesse
all’occultamento o alla fuga di Cecilia; il matrimonio è registrato nei
registri dello stato civile del Comune di Treviglio al termine della guerra.
Tratto da
http://viali2.altervista.org/documenti/27.htm
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Storie
di Ebrei bergamaschi perseguitati
Parte seconda - Le famiglie deportate
I Numeri della deportazione
Gli
ebrei catturati a Bergamo e provincia sono in totale 44, 21 femmine e 23
maschi. Dei 44 deportati 25 sono nati in Italia, 19 all’estero; riguardo
all’età: 7 sono ultra sessantenni, 5 hanno meno di 18 anni, fra loro due
bambini di 3 e 7 anni.
Solo 9
di essi di essi sonora i residenti a Bergamo e provincia, gli altri sono ebrei
sfollati, in fuga o internati liberi: vi è un consistente gruppo di venti ebrei
milanesi, probabilmente sfollati, un gruppo di 9 persone proveniente da Cosenza
presumibilmente ebrei stranieri già internati nel campo di Ferramonti di Tarsia
e poi confinati nei paesi montani della bergamasca come “internati liberi”.
I
catturati, dopo un primo soggiorno nelle carceri cittadine, vengono avviati
verso i campi di concentramento e smistamento italiani: 31 al Campo di Fossoli,
2 al Campo di Verona, 7 al Campo di Bolzano, 3 al Carcere di Milano, 1 da campo
ignoto, in attesa di essere avviati ai campi di sterminio.Uno dei catturati morirà nel carcere di Milano.
Gli
ebrei non vengono deportati singolarmente verso i campi di sterminio: nella
prima fase sono concentrati nelle carceri di alcune grandi città o nei
cosiddetti campi di transito; quando raggiungono un numero sufficiente (tra le
mille e le 1300 unità) tale da rendere «economico» sia il trasporto sia le
«procedure di accoglimento» alla destinazione vengono avviati ai campi di
sterminio in Germania.
Gli
ebrei catturati a Bergamo partono con otto diversi convogli:
due il
6 dicembre 1943, uno il 22 febbraio 1944, ventitre il 5 aprile 1944. quattro il
16 maggio 1944, uno il 26 giugno 1944, quattro il 2 agosto 1944, sette il 24
ottobre 1944. Di uno non si conosce la data esatta di deportazione.
La
destinazione è comune a quasi tutti i deportati: 42 verranno avviati ad
Auschwitz, 1 solo si fermerà Bergen Belsen, 1 invece morirà prima della
partenza nel carcere di Milano.
Il
destino finale grava sulla nostra storia, anche locale, ed è comune a quasi
tutti i deportati: 17 verranno uccisi all’arrivo ad Auscwitz, e altri 3 vi
moriranno in date successive, 3 moriranno a Bergen Belsen, 2 a Buchenwald, 1 a
Dachau, 1 a Mauthausen.
Degli
altri non si conosce l’esatto luogo della morte.
Le
famiglie bergamasche deportate
La Shoà
si abbatte pesantemente sulla comunità Bergamasca: fra i 44 arrestati ci sono i tre membri della
famiglia Sonnino, sei componenti della famiglia di Guido Levi, il farmacista di
Ambivere.
A
questi si devono aggiungere i tre
componenti della famiglia dell'ex direttore dell'ospedale psichiatrico di
Bergamo, arrestati a Venezia. Si sono perse le tracce anche di un dell'apolide
di origine polacca Jacob Schwarz nato nel 1902 e censito a Bergamo nel 1938.La famiglia Sonnino: comprendeva Bella Marianna Ortona in Sonnino, nata nel 1875, del figlio Pllade Sonnino nato nel 1900, della figlia Ilda Sonnino nata nel 1904. Vengono arrestati a Nossa il 17 agosto 1944. Per Pilade Sonnino la triste verità sarà certificata il 15 maggio 1955 dall'apposita Commissione interministeriale e di conseguenza da un atto di morte: è morto infatti a Mauthausen il 29 aprile 1945 in seguito ad esaurimento e a sevizie ed è stato cremato.
La sorte degli altri la scopriamo attraverso il «Libro della memoria» di Lillana Picciotto Fargion (Mursia 1991), frutto della paziente ricerca del Centro di documentazione ebraica di Milano: Bella Marianria Ortona, deportata ad Auschwitz viene qui uccisa all'arrivo, il 10 aprile 1944; Ilda Sonnino, deportata ad Auschwitz, è deceduta a Bergen Belsen dopo il febbraio 1945.
Detenuti nel carcere di Venezia e nel campo di Fossoli (Modena) vengono deportati a Auschwitz: i genitori vengono uccisi all’arrivo, il 26 febbraio del 1944, anche la figlia subisce la stessa in data e luogo ignoti.
Dal matrimonio sono nate tre figlie: Nora, nata a Cengio il 9 dicembre 1920, Laura, nata a Cengio il 11 settembre 1922 e Clara, nata a Cesano Maderno il 1 marzo 1929.
Guido Levi in quanto farmacista ha sicuramente una posizione di rilievo nel paese; è inoltre persona benvoluta e, da quanto riferiscono le testimonianze, attenta ai fatti politici e culturali che accadono in Italia.
La domanda di discriminazione non è l’unico dei provvedimenti che Guido Levi attua per tutelare la propria famiglia: il 30 settembre 1938 ai componenti della famiglia Levi viene impartito il battesimo dal vescovo Bernareggi, nella Cappella Vescovile di Bergamo, come risulta dai registri dell’archivio parrocchiale di Ambivere. Ad Ambivere, e precisamente il 15 settembre 1941, trasferendosi da una Genova troppo soggetta a bombardamenti, giungono le due sorelle di Guido, Lia Marta Levi, nata a Modena il 23 marzo 1888 e Elda Levi, nata a Modena il 13 agosto 1894.
Purtroppo si ammala gravemente; gli sono amputate le gambe ed è ridotto su una carrozzella, muore di lì a poco, l’8 ottobre 1943.
Ecco la testimonianza di Maria Perico, una amica di famiglia, sull’arresto della famiglia Levi :
Mio
padre mi chiama ed insieme andiamo a casa Levi; papà si inginocchia davanti al
maresciallo, lo invoca di lasciarle andare, gli suggerisce di dire che non le
ha trovate. Il maresciallo risponde: ”Non si preoccupi, signor Perico, è solo
per un interrogatorio”. Clara non si trovava in casa, era a scuola a Bergamo
(avrà avuto allora 13-14 anni). L’hanno aspettata che arrivasse con il treno e
le hanno portate via..”
Le donne furono detenute per un primo breve
periodo nel carcere di Bergamo. In seguito vennero trasferite al campo di
Fossoli (Modena) e quindi il 5 aprile del 1944, deportate ad Auschwitz. Qui,
nel campo di concentramento, vennero uccise nella camera a gas la cognata di
Guido, Ada Tedeschi, e la vedova Emma Bianca Tedeschi, le sorelle Lia ed Elda
Levi e successivamente Clara Levi (a Bergen Belsen subito dopo la liberazione,
il 31 maggio '45) e Nora Levi .Solo Laura riuscì a sopravvivere: per una febbre altissima, era stata ricoverata in infermerìa. Venne liberata e ritornò ad Ambivere continuando la gestione della farmacia e quindi a Bergamo. Morì, il 10 gennaio 1984, a 61 anni.
In tale udienza la Levi Laura dichiarava che nel dicembre 1943 insieme con tutta la propria famiglia e le zie Levi Elda e Levi Lia Marta, era stata tratta in arresto dai fascisti e successivamente trasferita nel campo di concentramento tedesco di Birkenau in Polonia, che dopo qualche tempo la madre e le zie erano state soppresse nei forni crematori mentre le altre due sorelle erano state trasferite in altro lager in Germania; e che infine lei era stata liberata dalle truppe russe e quindi rimpatriata. Aggiungeva la ricorrente che, nonostante le ricerche fatte attraverso il Vaticano e la Croce Rossa, non era riuscita ad avere alcuna notizia dei parenti che con lei erano stati deportati in Germania.
“Nessuno, dopo la cattura, seppe darci notizie. Solamente una signora, si chiamava Levi, di Mapello, che era scampata agli orrori di Auschwitz poté rivelarci qualcosa. Non molto pero, perché sussurrava di aver visto la nonna, di averle parlato. Ma quando noi le chiedevamo: "e poi, perché non è tornata, che le hanno fatto?" la signora Levi si metteva le mani nei capelli e riusciva dire soltanto: "no, no, no…“
Segue
Storie di Ebrei bergamaschi perseguitati
A Bergamo prima della Shoà
La comunità ebraica bergamasca del 1938, anno della promulgazione delle leggi razziali, era numericamente poco rilevante: 73 persone di cui 40 residenti in città. La consultazione delle vecchie schede anagrafiche (su cui compare al scritta “razza ebraica”, a volte vistosamente ma non completamente cancellata), ha consentito di delineare un primo quadro della presenza ebraica a Bergamo. Delle quaranta persone residenti in città, 22 sono maschi e 18 femmine, così divisi per età: due bambini (di 4 e 8 anni), un ragazzo (14 anni), ventisette adulti (nove tra i 30 e i 39 anni, nove tra i 40 e i 49 anni, nove tra i 50 e i 59 anni), dieci oltre i 60 anni.
Una piccola comunità, per lo più di recente insediamento. Tutti gli ebrei giungono in città dopo la prima guerra mondiale, con un'unica eccezione datata 1908. Solo due bambini sono nati a Bergamo. Si tratta di una comunità ben integrata e che mostra l'assenza di discriminazioni dell’Italia unitaria delle diciotto coppie coniugali italiane, dodici sono miste.
Le posizioni professionali sono di rilievo nell'ambito cittadino: il direttore della Banca d'Italia, l'intendente di finanza, un funzionario statale, il preside dell'Istituto magistrale, il direttore dell'Ospedale psichiatrico, un illustre oculista, un industriale, tre ingegneri, alcuni commercianti. Dei due bambini nati a Bergamo, uno, Andrea Viterbi, riceverà nel 1998 la cittadinanza onoraria «per aver reso possibile con le sue invenzioni la realizzazione della comunicazione digitale» (delibera del Consiglio comunale di Bergamo numero 60723 del 14 dicembre 1998).
Le leggi razziali sconvolgono questo tranquillo quadro da media borghesia di provincia: chi ricopre incarichi pubblici viene cacciato dal posto di lavoro oppure obbligato alla pensione: nel giro di pochi mesi ben tredici persone su quaranta abbandonano la città dirette verso sedi di comunità ebraiche più ampie, altri sei le seguiranno nei due anni successivi.
A fronte di questa piccola emigrazione da Bergamo altri ebrei arrivarono nei paesini delle nostra valli: erano i cosiddetti “internati liberi”, stranieri costretti quindi a trasferirsi al confino in comuni delle zone montane del nord.
Altri ancora arrivarono a Bergamo in cerca di rifugio o semplicemente sfollati dalle grandi città.
Ed è proprio fra coloro che erano arrivati a Bergamo come confinati o da sfollati che si registra il maggior numero di arrestati, forse perché, al contrario dei residenti da lunga data, essi potevano contare meno sulla rete di conoscenze e approfittare con minor successo delle informazioni e della solidarietà che molti concittadini seppero esprimere.
La cattura
La cattura degli ebrei finalizzata al loro trasferimento nei campi di sterminio tedeschi inizia già nel mese di ottobre del 43. La caccia metodica è condotta dalle forze della Guardia Nazionale Repubblicana ed ha inizio con l’ordinanza di polizia n. 5 emanata il 30 novembre 1943 dal Ministro dell’Interno della RSI Buffarini Guidi che ordina l’invio di “tutti gli ebrei, anche se discriminati a qualunque nazionalità appartengano e comunque residenti nel territorio nazionale” nei campi di concentramento e che i loro beni “mobili e immobili debbono essere sottoposti a immediato sequestro in attesa di essere confiscati nell’interesse della Repubblica Sociale Italiana".
Scattano subito gli arresti: nel giro di due o tre giorni vengono catturati 17 dei 44 deportati della Bergamasca, l’incarico è svolto per lo più dalle normali forze di pubblica sicurezza, carabinieri in particolare, confluite nella Guardia nazionale repubblicana. Gli arresti si configurano come piccole operazioni di polizia contro gente inerme e considerata non pericolosa, da qui la facilità della cattura, ma anche la facilità della fuga (in alcuni casi, come ad esempio per la famiglia Zimet, chiaramente agevolata dal comportamento del comandante della stazione di Serina).
Quello che emerge dal quadro delle testimonianze non è un particolare livore antisemita dei militi, bensì la burocratica obbedienza tipica delle forze dell’ordine professionali, in questo caso per lo più carabinieri, rimasti al loro posto al cambiare dei vari regimi.
E’ il caso di sottolineare che il numero degli internati liberi presenti sul territorio è ben superiore a quello degli arrestati: tredici sono gli internati liberi deportati, mentre dai documenti esaminati è stato possibile identificarne almeno 38; molti quindi sono stati messi per tempo sull’avviso e sono riusciti a fuggire, come è documentato anche dalle carte della Prefettura e da numerose testimonianze.
Fra gli arrestati qualcuno riesce ad evitare la deportazione Olga Levi residente a Milano, sfollata dopo il bombardamento del 14 febbraio 1943 a Calolziocorte presso il fratello Levi Gerolamo, è arrestata il 2 dicembre 1943; sarà liberata dopo 3 mesi di carcere il 9 marzo 1944 in quanto riconosciuta figlia di matrimonio misto e discendente da “ramo materno ariano, cattolico, cristiano”.
Non vengono registrati altri arresti nella bergamasca nella seconda metà di dicembre e nel gennaio 1944.
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A fronte di questa piccola emigrazione da Bergamo altri ebrei arrivarono nei paesini delle nostra valli: erano i cosiddetti “internati liberi”, stranieri costretti quindi a trasferirsi al confino in comuni delle zone montane del nord.
Ed è proprio fra coloro che erano arrivati a Bergamo come confinati o da sfollati che si registra il maggior numero di arrestati, forse perché, al contrario dei residenti da lunga data, essi potevano contare meno sulla rete di conoscenze e approfittare con minor successo delle informazioni e della solidarietà che molti concittadini seppero esprimere.
La cattura
Quello che emerge dal quadro delle testimonianze non è un particolare livore antisemita dei militi, bensì la burocratica obbedienza tipica delle forze dell’ordine professionali, in questo caso per lo più carabinieri, rimasti al loro posto al cambiare dei vari regimi.
Tratto da
Fine
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